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L’intervento del sottosegretario alla Giustizia a Catanzaro: «Non ho mai creduto nella riforma Cartabia»

Delle Vedove alla tavola rotonda sulle “Riforme possibili”. Guarascio e il tema delle proroghe sulle indagini preliminari. Curcio: «Non terapia d’urto ma cure palliative»

Pubblicato il: 18/12/2022 – 18:54
L’intervento del sottosegretario alla Giustizia a Catanzaro: «Non ho mai creduto nella riforma Cartabia»

CATANZARO «Non ho mai creduto nella riforma della Giustizia Cartabia». Senza troppi giri di parole ha espresso il proprio personale giudizio il sottosegretario al ministero della Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove che è intervenuto alla tavola rotonda organizzata a Catanzaro sul tema “Le riforme possibili. Riflessioni sull’immediato futuro della giustizia, problematiche e prospettive”.
«Mi trovo – ha detto il sottosegretario – nella fatale condizione di dovere dare corpo ad una riforma della Giustizia che non ho votato. Non ho mai creduto nella riforma della Giustizia Cartabia. Non ho creduto neanche che questa riforma ce la chiedesse l’Europa: l’Europa ci chiedeva una riforma della Giustizia che ponesse al centro garanzie per l’imputato, desse certezza sui tempi della Giustizia e sulla certezza della pena. In questa riforma io, fin da subito, ho visto delle difficoltà: non accorcia i tempi della Giustizia, li allungherà, non dà alcuna certezza della pena, anzi, la riforma ruota intorno alla fuga dal processo con l’allargamento oltre misura di istituti quali la messa alla prova, la particolare tenuità del fatto, non reintroduce un diritto sostanziale a presidio del cittadino che è quello della prescrizione…»
Secondo il sottosegretario l’introduzione dell’improcedibilità in appello è «una vera e proprio corsa ad ostacoli posta contro l’accertamento della verità storica dei fatti ed è una corsa ad ostacoli posta contro la magistratura. Io ero contrarissimo, non è accettabile che si rischi la prescrizione di interi processi, anche gravi, perché abbiamo posto l’improcedibilità in appello. Vorrei essere confortato da qualche magistrato, sapere se esistono altri sistemi in tutta l’Europa che prevedono quel Frankenstein giuridico, quell’ibrido per cui vi è un eco pallida della prescrizione sostanziale in primo grado e una prescrizione processuale in secondo grado. Già solo questo la racconta lunga».

Le proroghe sulle indagini preliminari

Alla tavola rotonda è intervenuto anche il sostituto procuratore della Dda di Catanzaro, e segretario distrettuale di Magistratura indipendente, Domenico Guarascio, il quale ha delle problematiche legate alle riforme sulle indagini preliminari.
«Sulla riforma Cartabia spesso si parla di improcedibilità in appello ma uno dei temi centrali, che riguardano la riforma, sono le indagini preliminari», ha detto Guarascio.
Secondo il magistrato, il legislatore si è reso conto che uno dei problema del sistema giustizia sia la giacenza di innumerevoli fascicoli che si accumulano nelle procure «è questo è sicuramente uno dei problemi della giustizia penale italiana».

Il pm della Dda di Catanzaro Domenico Guarascio


Per quanto riguarda le indagini preliminari, «non c’è più un meccanismo di proroga ripetuto ma soltanto una proroga, di sei mesi, e il legislatore interviene dicendo che non si può più richiedere la proroga per giusta causa ma deve esplicitarsi in motivazione un criterio di complessità delle indagini». «Il problema – dice Guarascio – è che questo sconta la difficoltà organizzativa degli uffici, o meglio, l’organizzazione, le risorse disponibili all’interno degli uffici quando, iscritto un procedimento nei termini previsti, sei mesi, si debba arrivare a una conclusione del procedimento. Richiedere a un giudice per le indagini preliminari, motivando il perché della complessità delle indagini, significa, allo stesso tempo, responsabilizzare un giudice che, di fatto, non è titolare di quel fascicolo. E’ quello che certa dottrina chiama giurisdizione senza fascicolo: si carica il gip di una valutazione che non può essere certo fatta in maniera efficace. Per cui questo meccanismo della riduzione a uno di una proroga diventa complesso, soprattutto nei casi di indagini sulla criminalità organizzata. Immaginate per il termine massimo previsto per le indagini di criminalità organizzata a due anni. Significa giungere a un convincimento del pubblico ministero. Perché l’indagine preliminare pensata nella riforma Cartabia è come se il pubblico ministero, dirigendo le indagini, ricevesse immediatamente le informazioni da parte della polizia giudiziaria così da poterle comprendere e tradurre in una imputazione o anche in una richiesta di archiviazione».

Curcio: «Non terapia d’urto ma cure palliative»

Secondo il procuratore di Lamezia Terme Salvatore Curcio, riguardo alla riforma Cartabia, per risolvere i problemi della giustizia «si è scelto di ricorrere più che ad una vera e propria terapia d’urto, come ci è stata presentata la riforma Cartabia, a qualcosa di assimilabile in realtà alle cure palliative somministrate ai malati terminali. Nella piena consapevolezza che l’unico target pienamente raggiungibile da questa riforma è quello di alleviare, se vogliamo le “sofferenze” del processo penale. Altro avrebbero dovuto essere gli interventi da programmare, e che per dire la verità, nessun governo ha mai cercato fattivamente di porre in essere». Il procuratore di Lamezia Terme si è riferito al fenomeno della proliferazione delle fattispecie penali, negli ultimi 30 anni, più che altro figlio del convincimento, assolutamente fuorviante, del legislatore che una buona legge fosse tale soltanto se corredata da una sanzione in ipoteso di una sua violazione.

Il procuratore di Lamezia Terme Salvatore Curcio


«Tutto ciò ha comportato, e comporta, una esondazione della giurisdizione penale che ha praticamente invaso ogni settore della vita umana. Alimentando, inevitabilmente, l’antitesi e i contrasti tra i diversi poteri dello Stato, spesso in nome di un’attività di supplenza e/o surrogatoria, che dir si voglia, della giurisdizione penale mai sollecitata dai magistrati rispetto a settori di competenza di altre amministrazioni. Ma… siamo nel 2022, molta gente non è a conoscenza del fatto che il magistrato penale è chiamato ad occuparsi di reati come per esempio la violazione dell’obbligo dell’istruzione elementare, reato contravvenzionale previsto dall’articolo 731 del codice penale, punito nella migliore delle aspettative sanzionatorie, con un’ammenda pari a 20 euro. Ma, dico io – afferma Curcio – non sarebbe più incisivo e corretto prevedere un illecito amministrativo con obbligo di comunicazione alla giustizia minorile perché vada a valutare se è il caso di mandare o meno, in capo a quel babbo o a quella mamma che non mandano il bimbo a scuola la responsabilità genitoriale. Ma nel 2022 le Procure possono incardinare ancora oggi processi per il classico box di alluminio anodizzato che chiude parte del balcone di casa? Eppure, incardinare questi procedimenti, portarli a giudizio, ha un costo per il contribuente, ha costo per tutta la comunità. E allora non può prescindersi da una drastica e ormai improcrastinabile depenalizzazione che limiti l’intervento penale a ciò che è effettivamente rilevante, falciando centinaia di fattispecie penale previste dal nostro codice delle leggi penali speciali. E non vi tocco il campo delle violazioni urbanistico-edilizie. Perché là è tutto un teatrino e un balletto tra sindaci, Procure, Prefetture, enti regionali e via dicendo, con situazioni di diseguaglianze enormi: perché magari in una stessa strada ci sono due fratelli che hanno costruito due immobili abusivi, per uno la Procura trova i soldi per poterlo demolire – a capitolo di spese imputabili al ministero della Giustizia – mentre per l’altro il sindaco non demolisce. Così uno avrà la casa demolita e l’altro no. Situazioni di iniquità evidenti. E poi non si può prescindere da una revisione della geografia giudiziaria e della razionalizzazione delle poche risorse che abbiamo. Ma nessuno ha mai pensato che è inutile mantenere un collegio, in grado d’appello per i reati a citazione diretta? Ma vi è mai capitato – dice Curcio rivolgendosi ai colleghi della Corte d’Appello – che per un reato bagatellaro a citazione diretta tutti e tre i componenti del collegio si studiano il fascicolo? Le cose le dobbiamo dire chiaramente. Introduciamo – propone Curcio – la figura del giudice monocratico d’appello quantomeno per i reati a citazione diretta e recuperiamo due unità lavorative, quantomeno».
Curcio è intervenuto anche sul tema della separazione delle carriere: «La magistratura non la sente come un vero problema per il processo penale. Si può arrivare alla separazione delle carriere anche senza toccare la Carta costituzionale. Basterebbe una legge ordinaria che modifichi l’ordinamento giudiziario che crei una sezione autonoma in seno al Consiglio superiore della magistratura e vieti definitivamente il passaggio da giudicante e requirente e viceversa. Ma non è questo il problema perché i pubblici ministeri e i giudici sono separati ormai dal 2006, dalla legge Mastella. E questo ce lo dobbiamo dire. Non è questo il problema».
Sull’obbligatorietà dell’azione penale il magistrato ha parlato di apertura al dialogo anche se ha ribadito una sua personale contrarietà di fondo «perché lo ritengo un paradigma costituzionale essenziale per garantire la piena eguaglianza e parità di trattamento di tutti i cittadini difronte alla legge. Però siamo aperti. Parliamone. Obbligatorietà dell’azione penale, discrezionalità dell’azione penale: ma guardate – ha detto Curcio – che esiste anche un tertium genus, per tutti quegli uffici giudiziari che sono coperti da fascicoli – il mio è uno di questi – esiste un tertium genus di azione penale che è l’azione penale casuale. Perché quando il povero sostituto che ha mille fascicoli sulla scrivania è costretto a prelevarne uno, l’esercizio dell’azione penale è casuale», ha detto provocatoriamente Curcio. «Certo – ha aggiunto Curcio – mi spaventa un po’ che il Parlamento, assumendosi tutte le responsabilità, detti le linee guida in tema di criteri di priorità delle materie da trattare. Mi spaventa ancora di più il fatto che il progetto organizzativo di una Procura sia sottoposto a una sorta di visto del ministro della Giustizia. Non per altro, perché questo sono spie luminose che propenderebbero per una fuoriuscita del pubblico ministero dall’alveo della giurisdizione e questo sinceramente lo reputerei un errore fondamentale, anche perché tutto il mondo viaggia in senso contrario».

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