COSENZA Il collaboratore di giustizia Roberto Presta ancora protagonista di una lunga udienza tenuta dinanzi al tribunale di Cosenza, in composizione collegiale, chiamato a giudicare gli imputati coinvolti nell’inchiesta denominata “Valle dell’Esaro” che ipotizza l’esistenza di un gruppo in grado di garantire l’arrivo di ingenti quantità di droga. La figura di Roberto Presta è chiave nel processo. E’ diventato il primo pentito del sodalizio egemone ai piedi del Pollino e della zona jonica del Cosentino. In base alle indagini condotte dalla squadra mobile di Cosenza, sarebbe stato al vertice dell’organizzazione orfana di Franco Presta, recluso al regime di carcere duro, insieme al fratello Antonio. Ad oggi, però non esiste da un punto di vista processuale un clan Presta. Non è stato riconosciuto. E proprio per questo motivo, il presidente del Collegio giudicante Carmen Ciarcia ha chiesto al collaboratore di giustizia di chiarire alcune parti del suo racconto.
Roberto Presta, ha sostenuto – ancora una volta – di aver acquistato la droga dal fratello Antonio per poi rivenderla. «A lui la pagavo meno, mi faceva un prezzo più basso. La prendevo a 40 e la vendevo a 50 e il saldo avveniva dopo la vendita», precisa il pentito. Che aggiunge: «Lo stupefacente lo cedevo ai pusher che lo rivendevano ai loro clienti». Presta ha sempre ribadito l’appartenenza al Gruppo omonimo e criminale operante nel Cosentino. «Ma chi faceva parte del gruppo e chi aveva ruoli decisionali?», chiede il giudice Ciarcia. «Tutti gli imputati del procedimento fanno parte del gruppo, tranne Sonia Presta e il marito Gianfranco Mariotta. Noi non davamo conto a nessuno perché comandavamo. Mio cugino Franco Presta aveva carisma, in sua assenza c’era mio fratello. Era di fatto già formato il nostro Gruppo», asserisce il pentito. Antonio Presta avrebbe, dunque, preso il posto di Franco Presta al vertice del presunto gruppo criminale affiancato dal fratello Roberto Presta e da altri fedelissimi legati al clan dal denaro.
«Acquistavano cocaina o erba da noi ad un prezzo e la vendevano ad un altro e poi avevamo la “bacinella” (cassa comune) dove finiva tutto il guadagno della droga e con quei soldi si pagavano gli stipendi. Se c’era da fare un affare per l’acquisto di un immobile venivano usati quei soldi». Il presidente Ciarcia sollecita il collaboratore di giustizia a chiarire la circostanza legata agli stipendi presumibilmente elargiti solo ad una stretta cerchia di sodali. «Gli stipendi erano da 1000 a 1500 euro al mese e il resto veniva reinvestito. Io lo prendevo saltuariamente e mio fratello decideva a chi concederlo». Il giudice elenca alcuni dei nomi degli imputati, e il pentito annuisce quando vengono pronunciati i cognomi Marsico, Scorza e Sollazzo. Antonucci non lo percepiva sempre». L’elargizione dello “stipendio” non era regolare. «Di solito si dava ogni mese, ma quando non si riusciva perché nella bacinella non c’erano soldi non si riceveva. Nel libro paga – sempre secondo il racconto del collaboratore – sarebbero presenti i nomi di «Giuseppe Presta e Francesco Ciliberti». Il resto degli imputati elencati dal giudice, secondo quanto riferito da Roberto Presta non avrebbero ricevuto nessun benefit in termini di guadagno sicuro mensile ma avrebbero ottenuto dei ricavi «acquistando la droga ad un prezzo e rivendendola ad un costo più alto».
Il lungo racconto del pentito, collegato dal sito riservato, si interrompe per una breve pausa e quando riprende – ancora sollecitato dalle domande del presidente Ciarcia – si riempie di interessanti e particolari aneddoti. Il giudice chiede al collaboratore se conosce Francesco Patitucci. «Mio fratello, mio nipote e Ciliberti erano al corrente che Francesco Patitucci si prendeva la droga o da Mario Palermo o da Mauro Marsico», risponde Presta che cristallizzare il legame esistente con il clan: «Franco Presta era vicino al gruppo Lanzino- Patitucci-Ruà e quando sono andato in carcere sono stato affiliato. Nel 2012, mi hanno arrestato a seguito dell’operazione Santa Tecla». Roberto Presta si era dato alla macchia salvo poi essere rintracciato e fermato dalle forze dell’ordine. «Ho trascorso la detenzione in carcere a Cosenza, dove c’erano Patitucci, Gatto e Piromallo e dopo che hanno parlato con mio fratello, mi hanno dato lo “sgarro”». Roberto Presta, dunque, confessa di essere stato “battezzato” così come accaduto precedentemente al fratello Antonio «anche se non mi ricordo che grado avesse». «Che rapporto ha avuto con il clan?», insiste Carmen Ciarcia: «Se a loro serviva della droga e se avevamo la possibilità di cederla lo facevamo e viceversa se avevamo bisogno di qualcosa chiedevamo a loro». (f.benincasa@corrierecal.it)
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