CROTONE La sua storia è quella di un rapinatore “battezzato” ‘ndranghetista in carcere dai clan di Cosenza. Un passato da corriere della droga lo ha portato in giro per la Calabria. Ha stretto mani, chiuso affari, conosciuto i “capi” di altre due province. Non per questioni mafiose ma per amore Giuseppe Zaffonte ha vissuto a Rocca di Neto: ha sposato una ragazza del posto. La sua presenza in quel territorio, però, gli ha consentito di «conoscere le dinamiche del paese», seppure mantenendo «un comportamento defilato rispetto alle “famiglie” storiche». Un suo verbale – porta la data del 17 ottobre 2022 – è finito nel decreto emesso dalla Dda di Catanzaro che ha portato, lunedì 19 dicembre, al fermo di 18 persone considerate membri del clan Corigliano-Comito.
Zaffonte, originario di Rende, è un ex affiliato del clan Di Puppo-Lanzino. Finito in un pericoloso giro di debiti di droga, ha scelto di collaborare con la giustizia e raccontare i segreti della ‘ndrangheta confederata di Cosenza. Ha frequentato Rocca di Neto «per circa quindici anni» e lì ha avuto «diverse attività». Era nella cosca rendere da dieci anni quanto si è sposato con una ragazza del posto. «Al cospetto dei crotonesi – spiega ai magistrati – fui presentato da Michele Di Puppo e Umberto di Puppo. Non mi presentai agli esponenti ‘ndranghetistici di Rocca di Neto, perché non mi interessava avere a che fare con loro; tuttavia, conoscevo tutti. Allo stesso modo nessuno venne a cercarmi a Rocca di Neto, pur sapendo chi io fossi».
Faccenda diversa per quanto riguarda Crotone: «Per un’estorsione, ebbi contatti anche con Mico Megna, a cui giunsi tramite la presentazione di Renato Piromallo, un esponente della ‘ndrangheta cosentina». L’incontro con “don Mico”, considerato il capo del clan di Papanice sarebbe avvenuto in un carrozziere. A Rocca di Neto, invece, Zaffonte conosce «i Corigliano, i Comito e i Lagani».
«Il paese – dice – era sotto la gestione ‘ndranghetistica dei Corigliano e dei Comito. Mi informai con gli esponenti della mia cosca sulla composizione della criminalità di Rocca di Neto». La sua fama di corriere della droga per le cosche bruzie lo accompagna e rischia di creargli qualche guaio. «I Comito, e in particolare Salvatore Comito, detto “Scienziato”, si occupavano principalmente di stupefacenti, tanto è vero che pensavano che io movimentassi stupefacente a Rocca e diverse volte discutemmo con Salvatore, il quale insinuava che trafficassi a Rocca. Lui faticava a credermi e pretendeva l’esclusiva e allora una volta arrivammo anche alle mani». Fatti che risalirebbero al 2012-13. Quei dissidi si riproposero quando un uomo di Crotone che Zaffonte riforniva di cocaina «venne a Rocca di Neto per chiedermi una fornitura di stupefacente. Lui, non trovandomi, andò a chiedere di me proprio a Salvatore Comito».
I magistrati chiedono dettagli sulla famiglia considerata egemone a Rocca di Neto assieme ai Corigliano: «I Comito – racconta Zaffonte – abitano in una parallela della ss 107, in una zona chiamata “Bonifica”; Salvatore spaccia, unitamente a una ragazza di Santa Severina, sotto il ponte della ss 107 all’altezza dello svincolo per Rocca di Neto. So tutto ciò per averlo visto e per averne sentito dire da alcuni assuntori. La cocaina era affidata a questa ragazza perché sarebbe stato più difficile perquisirla. (…) Sentii dire anche che Salvatore – qui il pentito fa riferimento a eventuali fornitori – si recava a Vibo e a Rosarno».
Non erano i Comito, però, il ramo più autorevole della ‘ndrangheta in quel territorio. Per Zaffonte «i Corigliano venivano visti in maniera più seria per quanto riguarda la ‘ndrangheta. Gli esponenti erano Martino e soprattutto Pierino, che veniva considerato il capo di Rocca di Neto. Con loro c’era un soggetto soprannominato Yoshera (…). Umberto Comito, per quello che si sapeva, era reggente del paese in caso di assenza di Pietro Corigliano. Ma non so essere più preciso». (ppp)
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