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Tumori, Caputo: «Ci mancano undici anni di dati epidemiologici»

Il punto sulla situazione dei servizi locali per i malati di tumore con l’oncologo che dirige l’ambulatorio dell’ospedale di San Giovanni in Fiore

Pubblicato il: 21/12/2022 – 9:30
di Emiliano Morrone
Tumori, Caputo: «Ci mancano undici anni di dati epidemiologici»

La regione Calabria ha quattro ospedali montani, quelli di Acri, Serra San Bruno, Soveria Mannelli e San Giovanni in Fiore, che devono dare risposte anche ai pazienti oncologici. Con l’oncologo Antonio Caputo, che dirige l’ambulatorio di Oncologia dell’ospedale di San Giovanni in Fiore, abbiamo fatto il punto sulla situazione dei servizi locali per i malati di tumore: sulle dotazioni disponibili e su quelle mancanti, su ciò che esiste e su quanto servirebbe. Secondo Caputo, occorre migliorare l’organizzazione del sistema pubblico; il Registro tumori della provincia di Cosenza è fermo al 2011 e quindi non c’è un quadro epidemiologico aggiornato; l’emigrazione sanitaria continua ma potrebbero esserci cambiamenti di rilievo grazie alla nomina dell’oncologo Gianfranco Filippelli quale coordinatore della Rete oncologica regionale.

Dottore come funzionano i servizi oncologici locali? È in atto una loro riorganizzazione?

«È d’obbligo una premessa. Ho parlato di recente con il direttore del nostro ospedale spoke di riferimento, quello di Paola-Cetraro. La situazione di San Giovanni in Fiore va regolamentata. Il precedente commissario, Vincenzo La Regina, su mia sollecitazione si attivò e, con l’avallo del mio direttore, Gianfranco Filippelli, subordinò l’Unità oncologica di San Giovanni in Fiore a quella complessa di Paola. A lungo eravamo stati a servizio del reparto ospedaliero di Medicina. Ad oggi i farmaci oncologici vengono preparati nell’ospedale di Crotone, che fa parte di un’altra Asp».

Sta dicendo che occorre modificare degli aspetti organizzativi?

«I farmaci arrivano qui in perfetta sicurezza e vengono somministrati ai pazienti oncologici. Gli ambulatori di Oncologia non sono più come una volta, che dovevano fare il day hospital: noi adesso facciamo tutto secondo i Pac, che sono Prestazioni ambulatoriali complesse. In pratica il cittadino viene con una ricetta rossa e riceve la chemioterapia, non c’è regime di degenza o di day hospital che tenga. In sintesi, con questa forma di semplificazione si consente ad ambulatori di montagna come il nostro di praticare tutte le terapie possibili come in un reparto di Oncologia. Tra l’altro, molti non sanno che qui c’è un ambulatorio oncologico che somministra le chemioterapie, benché io stia cercando di pubblicizzarlo al massimo».

Quali sono, dunque, le sue proposte?

«Invece che da Crotone, poiché l’ambulatorio di San Giovanni in Fiore dipende dall’Unità operativa complessa di Paola, per maggiore utilità i farmaci potrebbero arrivare dall’ospedale paolano. Sarebbe molto più funzionale e si potrebbe stipulare una specifica convenzione in proposito. Ancora, prima che il commissario La Regina andasse via, il direttore Filippelli aveva immaginato di unire le quattro Oncologie dell’Asp di Cosenza, cioè Paola, che è Unità complessa, Castrovillari, Rossano e San Giovanni in Fiore. Era un bellissimo progetto, nel senso che queste quattro Oncologie venivano messe insieme sotto la direzione dell’Unità operativa complessa di Paola. Avremmo avuto una certa uniformità operativa e degli scambi tra l’uno e l’altro centro. Insomma, avremmo fatto tutti capo all’Unità funzionale di Paola. Al momento, nella condizione in cui siamo, io non posso avere quell’interazione completa che vorrei. Tra l’altro il problema più serio è che non posso accedere al registro dell’Aifa. Il medico oncologo, per poter prescrivere dei farmaci soggetti al registro in questione, deve entrare in una piattaforma, cui io non ho accesso a causa dell’organizzazione attuale. In sostanza, devo chiedere all’Unità operativa di Paola, che poi fa la prescrizione per i miei pazienti».

È un passaggio evitabile?

«Così si perde del tempo, ma è un problema risolvibile».

Come lavorate?

«Al commissario aziendale Graziano ho detto di recente che noi abbiamo già l’integrazione ospedale-Territorio, forse l’unica in Calabria per l’Oncologia. Io in ospedale e il collega Scalise nel Territorio curiamo i pazienti con un rapporto di stretta collaborazione professionale. Insieme ci occupiamo delle loro problematiche: in ospedale vengono somministrate le terapie e poi i pazienti sono seguiti a livello territoriale dal collega, tramite l’Adi. Un recente regolamento ministeriale punta a rilanciare l’assistenza territoriale, ridefinendone gli standard dopo l’esperienza della pandemia. Noi abbiamo già da tempo una sinergia operativa, per cercare di dare ai nostri pazienti la migliore assistenza possibile. Sarebbe auspicabile potenziare, magari con l’aggiunta di un altro oncologo, questo servizio che offriamo. In futuro le chemioterapie saranno somministrate a domicilio. La tendenza è questa».

Che cosa, allora, servirebbe?

«Con una buona rete, anche i miei infermieri potrebbero andare a casa dei pazienti, senza che gli stessi siano ospedalizzati. Con l’integrazione fra l’Adi e l’ospedale, il sistema delle cure si sposterebbe verso il paziente. Sarebbe utile un oncologo in più e il reparto darebbe maggiori risposte».

Però avete un problema: mancano radiologi.

«Sì, però ci sarebbe la teleradiologia».

Ma per gli esterni non si fa.

«Sì, attualmente la possibilità della teleradiologia non è sfruttata, anzi non è attivata. Ecco perché bisognerebbe tenere un’apposita riunione. Lei ha toccato un punto nodale. La mia attività è programmabile, a meno che non ci sia un evento acuto. Per esempio, un caso più problematico potremmo trattarlo con il chirurgo dell’ospedale, se avessimo la teleradiologia a regime».

Riguardo alla possibilità di interagire con il chirurgo dell’ospedale di San Giovanni in Fiore, nei mesi scorsi si era parlato di attività senologica e di biopsie con la collaborazione dell’Azienda ospedaliera di Cosenza. Che cosa si potrebbe fare, nello specifico?

«Sarebbe utile un protocollo d’intesa con l’Azienda ospedaliera, cioè con la Breast Unit dell’ospedale di Cosenza. Così, i pazienti che avessero bisogno di una biopsia potrebbero farla nell’ospedale di San Giovanni in Fiore con la collega chirurga Chiarello. Siglare il riferito protocollo con l’ospedale di Cosenza potrebbe aiutare nelle diagnosi e per la chirurgia, a livello locale, di alcune patologie del seno».

L’associazione Donne e Diritti è tornata ancora sulla mancanza del mammografo digitale.

«Per quanto riguarda il mammografo, so che il primo che dovesse arrivare toccherebbe a San Giovanni in Fiore».

Però poi mancherebbe il radiologo e con alta probabilità l’eventuale intervento chirurgico sarebbe eseguito fuori regione. Il cerchio non si chiuderebbe. Come la vede?

«Lo so. Visto che non c’è il radiologo, si potrebbe gestire in due modi. Il primo è che potrebbe venirne uno due volte alla settimana oppure si potrebbe utilizzare la teleradiologia. Le nuove workstation consentono l’invio delle immagini per la lettura a distanza. Il problema si affronta attraverso le belle riunioni che qualche anno fa si facevano e adesso purtroppo non si fanno. Sono comunque fiducioso che l’attuale management dell’Asp di Cosenza affronti la situazione per rilanciare l’ospedale. Per gli interventi al seno, va tenuto conto che la Regione li ha previsti soltanto negli Hub».

Sulla possibilità, invece, di attivare la Chirurgia generale negli ospedali montani della Calabria, si può leggere l’approfondimento di Corriere Suem cliccando qui.

Ci sarebbero le condizioni per una certa attività di chirurgica senologica.

«Sì, per esempio per l’asportazione di un fibroadenoma. Certo in ambito locale non si può eseguire un intervento di mastectomia, perché, come lei sa, ormai anche alle cliniche è stata tolta la chirurgia mammaria. Ripeto, la Regione ha stabilito che soltanto le quattro Breast Unit esistenti possono operare il tumore della mammella».

Quali sono le patologie oncologiche più presenti nel territorio?

«Le patologie più comuni che afferiscono al nostro ambulatorio sono quelle mammarie. In particolare, adesso noi vediamo tumori della mammella nelle giovani donne tra i 40 e i 50 anni. Poi ci sono le patologie polmonari e quelle del colon retto. Ne vediamo molte. Le terapie che pratichiamo maggiormente riguardano i tumori della mammella, del colon retto, dell’ovaio, dell’utero e del polmone, che sono in linea con gli andamenti nazionali. In passato ci fu qualche studio in cui si evidenziava un aumento, a livello locale, dei tumori epatici, probabilmente legati all’alcolismo, che nelle zone montane è più elevato. Si registrava un incremento dei tumori epatici primitivi per la presenza di grandi bevitori, che in genere sono anche grandi fumatori. Tuttavia, uno studio epidemiologico completo non si può condurre perché mancano i dati del Registro tumori. Lei sa benissimo che, per avere dei dati certi, bisogna far riferimento al Registro tumori della provincia di Cosenza, che però è fermo al 2011. Dunque, ci mancano undici anni di dati epidemiologici».

Questo è grave.

«Manca personale nel Registro tumori. I dati vengono acquisiti con difficoltà perché molta gente va a curarsi fuori. Peraltro, i dati non sono centralizzati, quindi se uno va in Emilia-Romagna deve avere i dati da lì. Allora andrebbe rivista tutta la problematica dei Registri tumori, che ti danno i numeri con cui devi fare i conti».

Come siete messi con le liste d’attesa per le visite?

«Io non ho liste d’attesa. I pazienti li visito subito».

Tra i pazienti che lei segue, quelli che ricorrono alla chirurgia fuori regione sono prevalenti?

«Le pazienti che vedo, cui faccio diagnosi precoce di tumore al seno, io le indirizzo a Cosenza, che ha la Breast Unit. Poi noi facciamo molte diagnosi precoci a pazienti che riferiscono di avere parenti o contatti a Roma oppure a Milano, che dunque vanno nei centri delle due città».

Come valuta la prevenzione nel territorio?

«Faccio numerose ecografie. Non sto a discutere su ciò che mi compete e su ciò che non mi compete; penso al paziente. Le diagnosi precoci sono fondamentali per la cura dei tumori. Bisognerebbe disporre di un mammografo di ultima generazione e potenziare la prevenzione».

Quali sono le terapie che somministrate a San Giovanni in Fiore?

«Tutte le terapie antineoplastiche, anche l’immunoterapia. A tale ultimo riguardo, si tratta di sostanze che vanno a potenziare i linfociti che attaccano il tumore. Il futuro della lotta al cancro sono i vaccini, ritornati come immunoterapia. Ci sono degli studi, su alcuni tumori avanzati, che ci dicono che, somministrando questi vaccini, per esempio nel caso dei melanomi, tu riesci a fermare la patologia per molti anni. Il melanoma metastatico aveva una sopravvivenza a due anni del 20 per cento. Adesso la sopravvivenza a dieci anni è del 90 per cento. Quindi con l’immunoterapia ci sono risultati straordinari, anche nel polmone e in tanti altri tipi di tumore. Si tratta di farmaci di facile somministrazione, con degli effetti collaterali molto ridotti e facilmente gestibili: diarrea, leucopenia eccetera. Tra l’altro, parliamo di farmaci che non hanno affatto la tossicità delle chemioterapie».

Che cosa si augura?

«Se veramente si vuole mettere mano all’Oncologia, bisogna fare un discorso serio. Molti pazienti non sanno che noi esistiamo e che diamo buone risposte. Siamo una struttura pubblica, sottolineo. In più, sono certo che il nuovo coordinatore della Rete oncologica regionale, Gianfranco Filippelli, che è il mio primario, riorganizzerà e riqualificherà tali servizi. Mi auguro che la mia intervista serva a costruire, perché l’obiettivo è questo. Soprattutto adesso, non avrebbero senso le divisioni e le polemiche. Ho cercato di formulare delle proposte e auspicato un confronto, in cui confido, tra tutti gli addetti ai lavori. Ringrazio il Corriere della Calabria per l’ampio spazio che mi ha concesso, sapendo bene che date sempre una mano in termini di informazione puntuale e di stimolo dei decisori».

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