La Democrazia Cristiana, al netto di De Gasperi e Andreotti, ha vissuto su due grandi uomini, Aldo Moro e Amintore Fanfani. Entrambi allievi di Bottai, entrambi destinati a lasciare un’impronta sul novecento italiano. Aretino, classe 1909, Amintore Fanfani è stato il più brillante esponente del corporativismo cattolico fascista, più dì Padre Agostino Gemelli, fino a segnare concretamente la Costituente, diventando nei fatti l’uomo della transizione , capace di rappresentare il meglio della sintesi fascista nell’ideologia sociale del dopoguerra. Laureatosi giovanissimo alla Cattolica di Milano, della quale divenne docente a soli 27 anni, Fanfani incarno straordinariamente l’idea della terza via sociale. Fu progettista attivo del superamento della diarchia socialismo liberalismo, ingaggiando un’alta battaglia intellettuale per la realizzazione di uno Stato corporativista. Tutti i suoi lavori scientifici e le propalazioni politiche stampate sulla Carta risalgono alla sua formazione fascista, Intesa nella via essenziale tra corporazione e individuo. Fu lui a ingaggiare una dura battaglia con Palmiro Togliatti, nella Costituente, per l’indicazione del primo articolo della Costituzione. Il “ migliore “ avrebbe voluto la dicitura:” l’Italia è una Repubblica dì lavoratori “ ma alla fine la spunto luì con l’accezione della Repubblica democratica fondata sul lavoro. Trasbordò il senso del codice civile del 42 nella magna carta e fece approvare l’inattuato art. 46 che sigillava in modo più temperato la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese , viatico della condivisione degli utili. Di quella linea sociale del regime portò con sé la formulazione di un attacco sistemico al liberismo sfrenato, al punto di divenire il fautore del centrosinistra. Sei volte Presidente del Consiglio, più volte del Senato, frenato il 71 nella corsa al Quirinale, poi compensata con la nomina di senatore a vita, fu mandato al macero dal partito nel referendum del 74 sul divorzio. Gaetano Rasi, il più grande studioso del corporativismo, ne trasse la figura di una sorta di guerriero del pensiero di Ugo Spirito, destino che avrebbe accomunato nel post fascismo molti esponenti comunisti e democristiani. Fanfani non indosso’ mai completamente, per pudicizia, l’ immagine dell’antifascista militante seppure la sua connotazione fosse intrinseca più a una parte del vissuto sociale del regime che non a un’adesione all’idea oligarchica. La socializzazione dell’industria lo convinceva come ricetta di affermazione della terza posizione, anche legata all’anticomunismo della Chiesa e al rifiuto del capitalismo come alternativa. Fu il promotore insieme a Moro del centrosinistra e fu anche e soprattutto una figura morale di altissimo spessore. Accettò Il nominativo del “rieccolo” montanelliano con scarso umorismo ma non se ne dolse più di tanto. Ha vissuto 91 anni di grande dignità e per questo merita di essere autenticamente ricordato.
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