Un sistema informatico per fare luce sulla forza espansiva della ‘ndrangheta. «Un complesso database governato da numerosi algoritmi in grado di estrarre e mettere a sistema informazioni provenienti da molteplici fonti in modo da individuare ricorrenze, unire i puntini, collegare tracce». Su Wired l’analisi del sistema attualmente in via di sviluppo da parte delle forze dell’ordine italiane, per contrastare quello che appare come un potere inarrestabile, come evidenza una delle ultime relazioni della Direzione investigativa antimafia, la «capillare ramificazione della ‘ndrangheta fuori dai confini nazionali». «Anche all’estero – scrivono gli inquirenti – le cosche sono in grado di sfruttare tutte le opportunità offerte dai differenti sistemi normativi». «La parte più tecnologica di questo sistema informatico – evidenza Wired – sarà caratterizzata da un’infrastruttura che mette gli investigatori nelle condizioni di esplorare in modo interattivo informazioni provenienti da milioni di fonti diverse: sarà il fiuto dei detective e l’applicazione delle regole della statistica classica a trasformarle in piste investigative o vere e proprie inchieste transnazionali».
Lo strumento, è inserito all’interno del programma di collaborazione internazionale contro la ‘ndrangheta “I-Can”, presentato nel 2020 a Reggio Calabria dal prefetto Vittorio Rizzi, vicedirettore generale del dipartimento di Pubblica sicurezza del ministero dell’Interno e direttore della polizia criminale, e dall’allora capo della polizia Franco Gabrielli. Una iniziativa guidata dall’Italia e alla quale partecipano tredici paesi: Argentina, Australia, Austria, Brasile, Belgio, Canada, Colombia, Francia, Germania, Spagna, Stati Uniti, Svizzera e Uruguay. I 14 paesi dell’alleanza I-Can si scambiano regolarmente informazioni, e sulla base di esse si lavora a un software di analisi dei dati. «Solo in un secondo momento entrerebbero in azione tecniche di machine learning allo scopo di individuare le variabili più significative, anche a livello temporale, che contraddistinguono il disegno criminoso della ‘ndrangheta. E quindi poter “predire” una mossa delle cosche». Si tratta di uno strumento che in una nota della polizia viene definito «di analisi documentale capace di correlare le informazioni di polizia con quelle raccolte sul web, anche in modo automatico. Nell’ultimo stadio della sua evoluzione sarà dotato di capacità predittive». «Non una tecnologia che governa l’indagine, ma uno strumento in grado di accelerare il ragionamento e l’analisi di chi la conduce, automatizzando la ricerca di indizi e collegamenti tra le informazioni che giornalmente vengono archiviate dal Viminale».
«Sono i metodi tipici dell’analista, che si basa anche sulla statistica per scoprire correlazioni e autocorrelazioni che ci permettano di intuire cosa potrebbe succedere domani – spiega a Wired il criminologo e dirigente della polizia di Stato Carlo Bui -. Quando il prefetto Rizzi ci ha chiamato voleva sapere se fossimo in grado di accelerare questi processi, ed è quello che stiamo tentando di fare con il supporto della tecnologia». «Il problema principale riguarda l’estrazione dei dati, che arrivano giornalmente alla direzione centrale di polizia criminale e che oltre a essere in molteplici lingue, talvolta possono anche avere contenuti dialettali», spiega Bui. «A correre in aiuto della lotta alla ‘ndrangheta – si legge su Wired – è stata prima di tutto la suggestiva evoluzione dei motori di ricerca che, sempre più precisi ed elastici, sono ormai in grado di capire non solo quello che l’utente richiede, ma anche quello che effettivamente intendeva chiedere. È il caso di Bert (Bidirectional encoder representations from transformers), componente sviluppato da Google nel 2019 e progressivamente inserito “sotto il cofano” del più utilizzato motore di ricerca al mondo, che da qualche anno ha permesso un enorme salto in avanti di questa tecnologia. In breve, Bert è la ragione per la quale se l’utente cerca la parola “moon” (luna), i risultati forniranno anche contenuti che includono l’aggettivo “lunar” (lunare), anziché – per esempio – il nome del batterista degli Who (Keith Moon)». Proprio Bert è uno dei componenti del software in via di sviluppo al Viminale: «Nessuno ha mai specificamente applicato modelli di questo genere in un contesto investigativo, peraltro così specifico e peculiare come quello della ‘ndrangheta – prosegue Bui -. Addestrare una rete a conoscere un fenomeno che di per sé è molto complesso significa prima di tutto capire il fenomeno, poi bisogna farlo capire alla rete». L’intuito e l’esperienza investigativa saranno poi dovranno poi far emergere la traccia che può essere seguita per attivare tempestivamente un servizio di osservazione o una intercettazione. «Alcuni eventi possono anche non essere di natura criminosa – aggiunge Bui – Come il movimento di persone di interesse che si spostano per un compleanno o in una specifica data, che ci permette di conoscere eventuali ricorrenze importanti e di inferire cosa potrebbe accadere in futuro al ricorrere di tali date».
Dalla Bocconi, segnala ancora Wired, arriva un’altra idea nella lotta alla ‘ndrangheta. L’idea, venuta a un team di ricercatori guidato da Daniele Durante, docente di statistica dell’ateneo, è stata quella di analizzare le reti criminali come si fa per quelle sociali. E il risultato è che il modello statistico sviluppato ha individuato ruoli all’interno dell’organizzazione criminale che non erano emersi in sede di indagine. Lo ha fatto sulla base degli atti dell’inchiesta “Infinito”, filone milanese di un’operazione contro la ‘ndrangheta che nel 2010 portò all’arresto di 300 persone tra Milano e Reggio Calabria. A quei documenti della quale i ricercatori hanno applicato un extended stochastic block model, come lo definiscono nell’articolo che racconta i risultati della loro ricerca.
«Nel nostro modello combiniamo tecniche di community detection con metodi più avanzati capaci di individuare strutture più complesse, come quelle core-periphery», spiega Durante a Wired.
Gli algoritmi individuano le relazioni reciproche tra i nodi della rete, in questo caso gli affiliati. E identificano come membri di una locale gli affiliati che si riuniscono solo tra loro distinguendoli dai boss che, oltre alla riunioni con la famiglia che guidano, si incontrano anche tra loro per prendere decisioni più strategiche. A questo tipo di analisi, l’algoritmo elaborato per analizzare Infinito ne affianca una che valuta gli elementi di ridondanza. Un po’ come avviene nei data center, dove ogni infrastruttura è duplicata per evitare che un guasto mandi in crash il sistema, anche la criminalità organizzata presenta strutture replicate. Ad esempio le piazze dello spaccio: se le forze dell’ordine ne chiudono una, le organizzazioni accusano certamente il colpo, ma sono in grado di rimpiazzarla in fretta. E se ci fosse invece una figura che le cosche non sono in grado di sostituire in maniera così agile?
È esattamente una figura di questo tipo che l’algoritmo di Durante e soci è riuscita ad individuare analizzando i dati dell’operazione Infinito. Ovvero un individuo che è spesso presente negli incontri tra diverse locali. «Si tratta di uno dei membri più anziani, che gli inquirenti definiscono come un semplice affiliato», spiegano dal team. E che però non appare avere un’affiliazione univoca, visto che prende parte agli incontri di diverse locali ‘ndranghetiste. In fase inquirente questa peculiarità non era pienamente emersa. «Negli atti del processo viene invece riconosciuto questo ruolo di mediazione», dice il docente bocconiano, che rifiuta di fare il nome di questo soggetto e vuole che l’attenzione resti sul modello matematico. Chissà, però, cosa sarebbe successo se le forze dell’ordine avessero avuto a disposizione l’algoritmo che ha sviluppato durante la fase di indagini.
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