Giacinto Nanci è un medico di famiglia che vive e lavora a Catanzaro. Da tempo, con lettere, conferenze e iniziative pubbliche, il professionista denuncia «la gravissima ingiustizia dei criteri vigenti di ripartizione del Fondo sanitario», che ritiene «la causa principale del Piano di rientro, coperta dalla narrazione dominante secondo cui noi calabresi siamo incapaci, mafiosi, corrotti e spreconi». In pratica, spiega Nanci nell’intervista che ci ha concesso, «dalla fine degli anni ’90 le Regioni e le Province autonome ricevono le risorse statali per la sanità sulla base del calcolo della popolazione pesata».
Che cosa vuol dire?
«Significa che per un bambino di dieci anni – continua il medico – lo Stato ha corrisposto 70 centesimi di euro e per un anziano di 75 anni, invece, due euro e sette centesimi. Pertanto, regioni come la Calabria, con più giovani in rapporto al totale della popolazione, hanno preso meno fondi per il loro Servizio sanitario. Le regioni con più anziani, per esempio l’Emilia-Romagna e la Liguria, hanno invece avuto molte più risorse. Così si è giunti anche a cifre astronomiche. Per esempio, nelle recenti ripartizioni l’Emilia-Romagna è riuscita ad avere 400,5 euro in più pro capite rispetto alla Calabria. In breve, se noi avessimo avuto i fondi della Regione Emilia, in un anno avremmo preso 779 milioni in più di quelli che abbiamo avuto, visto che siamo quasi due milioni di abitanti».
Così i bisogni di salute sono trascurati?
«Come tutte le Regioni del Sud, per il proprio Servizio sanitario la Calabria ha ottenuto meno fondi rispetto alle necessità dei malati che vi risiedono. Ma l’aspetto ancora più grave è un altro: la Calabria è la regione che ha più malati cronici rispetto al resto dell’Italia. Il decreto numero 103 del commissario al Piano di rientro dal disavanzo sanitario, varato nel 2015, ha certificato che ci sono oltre il 14% di malati cronici in più in Calabria, nei suoi circa due milioni di abitanti rispetto a due milioni di altri italiani. La nostra regione ha più malati cronici, per cui avrebbe dovuto avere più finanziamenti. Anche un bambino sa che è un malato cronico che non si cura poi peggiora, sicché curarlo tardi costa molto di più. Il malato cronico che risiede in Calabria deve quindi rivolgersi ai centri di eccellenza del Nord. Nel 2021 siamo arrivati alla cifra stratosferica di 329 milioni di spesa sanitaria per prestazioni eseguite fuori regione».
Il Piano di rientro ha degli effetti collaterali?
«Il Piano di rientro, che ha imposto ulteriori tagli rispetto ai fondi ordinari già insufficienti, ha prodotto un effetto collaterale gravissimo: i malati cronici non si possono curare nel proprio territorio. La spesa è allora aumentata. Per questo, dopo 13 anni di Piano, avviato il 9 dicembre 2009, nonostante i diversi commissari del governo abbiamo visto che la spesa è cresciuta. È un circolo vizioso, i tagli non permettono cure adeguate nella regione, i pazienti cronici peggiorano e i costi sanitari lievitano».
Insomma, la Calabria ha più malati cronici ma meno risorse per curali.
«Non credo affatto che ci abbiano mandato dei commissari imbecilli. Il problema che ho riassunto doveva essere posto da tutti. I commissari sono a regola nominati per assumere decisioni veloci e senza impedimenti. Ma, se in 13 anni non hanno risolto i guai della sanità calabrese, significa che ci deve essere qualche altra causa più grave alla base dello stato del sistema. Il punto vero è proprio che noi abbiamo più malati, ma ci arrivano meno fondi».
I dati dell’ultimo rapporto “Health Search”, del 2022, sembrano confermarlo. Riferiti al 2020, indicano una maggiore prevalenza, per l’ipertensione arteriosa, pari a quasi il 35 per cento e, per le malattie ischemiche del cuore, superiore al cinque per cento.
«Sì. Riporto un altro esempio. La Calabria arriva all’11 per cento di diabete, mentre la Lombardia ha il 4 per cento. Ebbene, in una regione che ha l’11 per cento avremmo dovuto avere almeno cinque o sei centri per la cura del piede diabetico. Consideri che la Lombardia ne ha dieci. Purtroppo, i miei pazienti sono dovuti andare a farsi amputare il piede in Lombardia. Infatti, in Calabria non abbiamo i centri che occorrono, non avendo i soldi per realizzarli. Si tratta di strutture di eccellenza che costano dai 40 ai 50 milioni. Se noi avessimo la giusta ripartizione del Fondo sanitario, di questi centri potremmo realizzarne quattro o cinque all’anno, invece che costringere i malati ad emigrare nel Nord. Peraltro, nel merito talvolta ci hanno perfino preso in giro. Ci sono dei procedimenti in corso: le spese per le cure non venivano controllate bene e il ministero dava i soldi direttamente alla Lombardia. Quindi c’era qualcuno che segnava tutto quello che voleva, sicché i costi lievitavano ancora di più. E questa, diciamo, è un’altra storia bruttissima».
Però ci fu un rimedio, seppure parziale, rispetto alla ripartizione del Fondo sanitario.
«Vero. Nel 2017, per bocca del suo presidente, la Conferenza Stato-Regioni, cioè l’organo che definisce la ripartizione delle risorse, annunciò una parzialissima modifica: invece del mero calcolo della popolazione pesata, fu considerato anche l’indice di deprivazione, che tiene conto della mortalità al di sotto dei 75 anni, dei livelli di disoccupazione e di altri fattori. Ebbene, nel 2017 la Calabria prese 29 milioni in più rispetto al 2016 e tutto il Sud ebbe 408 milioni in aggiunta. Se quella modifica fosse stata invece completa, moltiplicando almeno per quattro i riferiti importi, noi avremmo avuto 100 milioni in più su base annua e tutto il Sud avrebbe avuto quasi due miliardi in più ogni anno. Ebbene, per il 2018 questa parzialissima modifica non fu poi ampliata né riproposta».
Per quale motivo?
«Ne parlai con il delegato regionale che partecipava alla Conferenza Stato-Regioni, cioè Franco Pacenza, il quale rappresentava l’allora presidente della Regione Calabria, Mario Oliverio. Pacenza mi disse che arrivavano Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia con le carte già pronte. Precisò che bisognava firmarle e basta, perché ce l’avrebbero fatta pagare altrimenti. Perciò nessuno ebbe il coraggio di opporsi, malgrado la prassi dell’unanimità nella Conferenza Stato-Regioni. Quest’anno è successo un fatto nuovo. Vincenzo De Luca, presidente della Campania, che è un po’ nella stessa situazione della Calabria, ha proposto ricorso al Consiglio di Stato proprio contro il riparto attuale del Fondo sanitario. Da ministro, Roberto Speranza ha corretto subito il tiro. Diversamente, a novembre la Conferenza Stato-Regioni non avrebbe avuto l’unanimità e si sarebbe bloccato tutto. In pratica, nella seduta dello scorso novembre, la Conferenza Stato-Regioni ha di conseguenza riconosciuto che per l’anno venturo saranno modificati i criteri di ripartizione».
Come si sono comportati i rappresentanti calabresi?
«Alcuni deputati del Movimento 5 Stelle presentarono specifiche proposte di legge per modificare i criteri di ripartizione, ma non furono mai discusse. Negli anni precedenti, invece, quando Giuseppe Scopelliti ne era il presidente, la Regione Calabria si lamentò, uscendo dalla Conferenza Stato-Regioni, del calcolo della popolazione pesata e dei costi standard. Per inciso, la Calabria, che non ha fondi neppure per migliorare le unità di Pronto soccorso, non può garantire dei servizi organizzati a costi normali. Per esempio, un elettrocardiogramma in Lombardia costa un euro; in Calabria costa invece un euro e mezzo. Questo è un ulteriore aspetto che ci penalizzava e ci penalizza. Ai tempi di Scopelliti vi furono proteste all’uscita della Conferenza Stato-Regioni, però nessuno votò contro. De Luca ha avuto tanta forza, per cui dall’anno venturo sarà di nuovo preso in considerazione il criterio della deprivazione, ai fini del riparto delle risorse disponibili. Questo è il momento giusto per lottare, per pretendere una ripartizione basata, lo dico con chiarezza, sui dati epidemiologici. Ora sappiamo quanto costa curare una patologia cronica e sappiamo quante patologie croniche ci sono nei vari territori. Quindi è facile calcolare quanto serva a ciascuna Regione. Adesso bisogna approfittarne. Se verrà riproposto l’indice di deprivazione, la Calabria e il resto del Sud resteranno comunque penalizzati».
La Calabria ha ricevuto meno trasferimenti statali ma si è indebitata con lo Stato?
«Sì. Nel 2011 lo Stato ha concesso un prestito forzoso alla Calabria, cioè un’anticipazione di cassa per risanare il presunto deficit. Mi riferisco ai 422 milioni che noi stiamo restituendo in 30 anni, che alla fine saranno 924 milioni, con un tasso del 5,89 per cento. Tra parentesi, il tasso da usura è del 6,3 per cento. Normalmente un prestito del genere si fa ad un tasso dell’1 per cento. Ma c’è qualcosa di ancora peggio, per cui i nostri politici dovrebbero ribellarsi. A causa del Piano di rientro, i calabresi pagano più tasse di tutti gli altri italiani, perfino in questo momento in cui lo Stato fa debito per sostenere le famiglie sulle bollette. Da oltre 10 anni, noi paghiamo più tasse di tutte le altre regioni. Con un imponibile di 20mila euro lordi, il contribuente calabrese paga 408 euro in più di Irpef a causa del Piano di rientro, che “centra” due obiettivi sbagliati: fa ammalare i cittadini e penalizza del tutto la nostra economia».
Quanto sono conosciuti questi aspetti?
«Tanti calabresi non sanno che paghiamo più tasse per colpa del Piano di rientro. Tra l’altro è immorale è applicare un tasso quasi usurario alle persone e alla regione più povere d’Italia. Siamo stati proprio penalizzati, condannati per un reato non commesso. L’unico reato che abbiamo commesso è quello di avere più malati, per curare i quali servono più risorse. Tra l’altro, la Calabria ha più malati cronici proprio perché ha dovuto, per questioni economiche, abbandonare lo stile di vita mediterraneo. Traduco: oggi sono aumentati i cittadini che mangiano solo la pasta in quanto non riescono a comprare il pesce, la carne, la verdura e la frutta. Tanti mangiano soltanto carboidrati. Ecco perché il diabete arriva all’11 per cento e l’ipertensione al 35 per cento. I malati in più dipendono dalla modifica dello stile di vita mediterraneo, che ci aveva salvati in passato. È un assurdo che non finirà, se prima non si cambia il meccanismo della ripartizione. Con l’autonomia differenziata si andrà ancora peggio, perché il divario tra le regioni si estenderà ben oltre l’ambito della sanità».
Che cosa chiede alle forze politiche?
«Non serve a nessuno lasciare un’ingiustizia del genere, cioè aumentare le tasse nelle regioni più povere per non permettere ai loro abitanti di curarsi. Bisogna modificare i criteri di ripartizione del Fondo sanitario. Potremmo anche concordare un nuovo riparto modulato nel tempo, cioè che non sia poi penalizzante per le regioni del Nord. In ogni caso non possiamo permettere che l’assegnazione delle risorse segua il criterio del calcolo della popolazione pesata».
Pensa che il nuovo governo possa cambiare rotta?
«Dal 2010 la Regione Calabria è commissariata per l’attuazione del Piano di rientro e dal 2019 tutte e cinque le Asp calabresi e i tre ospedali regionali più importanti della Calabria sono a loro volta commissariati. Questo accanimento indica che c’è una grande miopia davanti alla realtà. La sanità calabrese è paralizzata, perché lo stesso commissario non può pubblicare alcun decreto, se prima non è stato validato dal ministero dell’Economia, che ne valuta la conformità rispetto ai rigidi paletti del Piano di rientro, e poi dal ministero della Salute, che ne verifica gli aspetti relativi all’organizzazione sanitaria. In altri termini, prima vengono i tagli e i risparmi, poi viene la salute dei calabresi. Questo schema non ha funzionato, perché la salute dei calabresi è peggiorata. Vedremo se il nuovo governo cambierà rotta».
Troppi commissariamenti, anche se nella nuova legge Calabria ci sono segnali di una volontà di ritorno al regime ordinario?
«Negli anni scorsi ci avevano commissariato anche le commissioni per l’invalidità civile. Ci accusavano che in Calabria si dava l’invalidità a tutti quanti. Ci dicevano che eravamo degli imbroglioni. Ebbene, c’è un dato ufficiale nel decreto numero 103 del 2015 che ho citato prima. La Calabria ha 153 malati su 1000 con tre o più malattie rispetto ai 129 del resto dell’Italia. Ciò significa che noi abbiamo 50mila malati cronici che hanno tre o più malattie ciascuno. Che cosa vuol dire questo? L’invalidità è data dalla presenza di più malattie croniche nella stessa persona. Ebbene, dopo anni di commissariamento da parte dell’Inps, le pensioni di invalidità sono aumentate. Perciò i malati cronici ci sono davvero e gli invalidi sono quelli che hanno più malattie. Si tratta dell’ulteriore conferma della cattiva salute dei calabresi, che poi non si possono curare. In proposito, mi rivolgo all’attuale presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, originario della provincia di Cosenza, chiedendogli di guardare con maggiore attenzione alle esigenze dei suoi concittadini, ai suoi corregionali. Infine, le commissioni Inps che hanno commissariato le nostre commissioni ne hanno utilizzato personale medico e non medico. Per ogni verbale, la Calabria ha dovuto pagare 40 euro, cioè circa 10 milioni all’anno. È stato un buon affare». (redazione@corrierecal.it)
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