COSENZA Anni di indagini, una immensa pila di verbali, intercettazioni, annotazioni e informative hanno permesso ai magistrati dell’antimafia di far luce su affari, omicidi ed evoluzioni della mala cosentina. Una minuziosa ricostruzione attraversando gli anni sanguinosi della guerra per strada, quelli della pax e delle nuove leve. Fino al “Sistema”, la confederazione che mette insieme i sette e più importanti gruppi criminali cosentini. La malavita cosentina è riuscita a sopravvivere alle operazioni di polizia, cambiando pelle e lasciando immutata la sostanza. In carcere sono finiti gregari, picciotti e vertici dei clan, costretti ad avviare un deciso processo di riorganizzazione. I collaboratori di giustizia – nel corso degli anni – hanno cristallizzato fatti e personaggi principali degli apparati criminali operanti in città. Tra i pentiti, vi è Luciano Impieri per anni fedelissimo del clan Rango-Zingari.
Impieri si è sempre mosso mostrandosi particolarmente diffidente rispetto alla politica rigorosa e violenta di Maurizio Rango, preferendo accostarsi a chi riteneva assai più diplomatico: Daniele Lamanna (anch’egli pentito). Luciano Impieri. è considerato «un quadro intermedio del clan Rango-Zingari, in diretto collegamento sia con i vertici che con i livelli più bassi dell’organizzazione». Un uomo capace di muoversi tra le diverse componenti etniche della criminalità cosentina, fino al distacco dal clan dovuto dai dissidi con Maurizio Rango. Dopo l’addio al suo vecchio sodalizio, si avvicina agli “Italiani” mettendosi a disposizione di Franco Bruzzese e Giovanni Abbruzzese. Si ricicla come autista ma partecipa a diverse rapine ai portavalori con il compito di staffetta. «Nel 2009 riceve il battesimo di ’ndrangheta in carcere, durante la sua detenzione per il tentato omicidio di Francesco Sbano commesso a Paola». Riuscirà a ritagliarsi un ruolo importante nel business delle estorsioni tanto da guadagnarsi «il soprannome di Piccolo Patitucci in ossequio alla sua conclamata abilità nell’esercizio del racket».
Prima dell’addio agli “Zingari”, Luciano Impieri si ritrova «coinvolto nel progetto di uccidere il suo amico Daniele Lamanna». E’ lo stesso collaboratore di giustizia a confessarlo il 17 aprile del 2018. «(…) per evitare che gli succedesse qualcosa io gli avevo detto che se andavo a suonare al citofono ed ero di fronte non doveva aprire, mentre se mi trovavo di lato o di spalle poteva farlo; io questa cosa la dissi a Lamanna perché ci tenevo a lui come lui teneva a me; una volta mi hanno fatto anche andare a casa della madre di Lamanna Casale; c’erano con me Tonino Abbruzzese Banana, Ettore Sottile e Maurizio Rango, lo abbiamo anche aspettato sotto casa della suocera». Lamanna era in sintonia con il gruppo, a confessarlo è stato il pentito Franco Bruzzese nel corso di una udienza del processo sull’omicidio Bruni. «Non mi fidavo di Foggetti e Lamanna, perché erano amici di Luca Bruni e non sapevo nemmeno se fossero stati capaci di portare a termine l’omicidio».
Il nuovo assetto dei gruppi criminali cosentini, dunque, deve fare i conti con l’instabilità patologica del “Sistema”. I dissapori interni si manifestano frequentemente e molto spesso vengono seguiti da clamorosi eventi. Come il pentimento di Impieri, che in difficoltà a ricollocarsi nel contesto criminale locale matura il proposito di collaborare con la giustizia. Prima, di pentirsi, Luciano Impieri «apprende dei rapporti sempre più tesi tra Roberto Porcaro e un suo ex fedelissimo come Antonio Illuminato e raccoglie i malumori e l’avversione di Salvatore Ariello sempre nei confronti di Porcaro». Una circostanza importante per l’evoluzione del crimine bruzio perché – secondo chi indaga – è il prologo alla decisione di Ariello di formare «un gruppo di fedelissimi per dedicarsi allo spaccio di stupefacenti». «Ariello Salvatore, quando nel gennaio del 2018 è uscito dal carcere, venne a dirmi a casa quello che stava succedendo e, tra le altre cose, mi disse che aveva litigato con Roberto Porcaro in quanto gli aveva mandato a chiedere 1.500 euro mentre era in carcere, per un credito di usura che avevano assieme e, poiché questa persona non pagava più, Ariello gli consentiva di temporeggiare, mentre Porcaro voleva comunque le 1.500 euro, ovvero la parte sua. Ariello disse che i soldi ai carcerati non si chiedono e (…) Porcaro gli rispose che prima doveva imparare a fare l’uomo e poi poteva rispondere in quel modo, da allora i due si sono divisi e Ariello ha fatto il suo gruppo».
(f.benincasa@corrierecal.it)
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