Joseph Ratzinger è stato il più grande teologo del novecento. O forse del post illuminismo. Benedetto XVI è stato un Papa immenso che ha pagato, forse, il suo carattere asburgico nella non comprensione. Un Papa che sì dimette e coabita di fatto con un altro Pontefice è stata,di per sé, una grande novità. Tedesco, formatosi in una scuola straordinaria quale quella di Tubinga che ha generato un altro grandissimo teologo ( divenuto poi suo avversario feroce) come Hans Kung, Ratzinger è stato di fatto un conservatore illuminato, capace di un gesto così progressista e rivoluzionario quale quello delle dimissioni otto secoli dopo Celestino V. Sarebbe troppo dispendioso ricordarne le gesta, l’esperienza da Prefetto della Congregazione della Fede che lo pose a custode di una fede intangibile.
Nella sintesi del suo papato, iniziata con una stagione riformatrice, spicca la lectio magistralis di Ratisbona, nella quale apri una fronda con il mondo musulmano richiamando fede e ragione a una convivenza necessaria. In quel discorso la sintesi del rifiuto di una legittimazione divina alla guerra e alla violenza era anche una visione retroattiva delle crociate medievali. La sua evidente cultura, a tratti siderale, lo ha posto a volte fuori da una visione popolare, seppure egli sia stato di fondo agganciato alla testimonianza di Cristo come significato autentico di catarsi. Rispetto a Papa Francesco è stato meno capace di partecipazione attiva nella sua vita pastorale ma, come Bergoglio, ha tanto amato la vocazione conciliatoria della fede. Quando fu eletto dopo la morte di Wojtyla che lo aveva tanto apprezzato, il Manifesto titolò “Il pastore tedesco” con un accenno alla tradizione ritenuta con malcelato disprezzo come fonte di conservazione retrograda. Eppure Ratzinger è stato realmente conservatore nei valori e progressista nelle idee. Ha pagato l’austerità di una timidezza figlia della sua sobrietà ma era nei fatti un valente protagonista della collaborazione con i laici, che stonava con la freddezza della sua immagine. Era un degno figlio di quella grande e colta Germania che ha regalato al mondo pensatori inarrivabili. E in quel proscenio oggi merita la prima fila.
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