Il vento è maschio. La bora è femmina. Carla Reschia su “La Stampa” di qualche anno fa fece l’elogio del vento che è il simbolo di Trieste. Città mitteleuropea che ha dato i natali a Italo Svevo, Umberto Saba, Fulvio Tomizza, Claudio Magris, Paolo Rumiz, Susanna Tamaro, Lelio Luttazzi. E scusate se è poco. Scrisse l’autrice: «Imprevedibile, selvaggia, spensieratamente distruttiva, la Bora è un vento femmina che, come molte “cattive ragazze”, nonostante i periodici, inevitabili sconquassi provocati dal suo soffio da Est-Nord-Est, e le hanno dedicato anche un museo». Che meraviglia, il museo del vento! Qui in Calabria aspettiamo ancora il museo del mare di Vibo Marina, come reclama il maestro ceramista Antonio Montesanti, storico delle tonnare. Intanto, intorno al museo triestino ruota il progetto “Centoventi”. Dalla Tramontana di Cupramontana al Mistral provenzale, dal Libeccio di Viareggio al Ponentino romano al Meltemi, fino alle brezze più esotiche e lontane dell’Africa e dell’Asia. E il vento di Catanzaro? Non pervenuto. Eppure il vento dei Tre Colli è nel blasone della città che è chiamata delle tre V. V di San Vitaliano, santo patrono; V di vento in quanto costantemente battuta da forti brezze provenienti dal Mar Ionio e dalla Sila; V di velluto in quanto importante centro serico fin dai tempi dei Bizantini. E poi l’antico proverbio: «Trovare un vero amico è così raro come un dì senza vento a Catanzaro». Nulla. Hanno persino cambiato il nome della villa comunale, da villa Trieste e Villa Margherita, ripristinando il vecchio nome. I paragoni sono antipatici. Ma Trieste, non era male.
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