LAMEZIA TERME «La notte tra il 2 e il 3 dicembre 2015, Antonio Luciano Galati, su indicazione del cugino Gaetano Ruscio, posiziona una bottiglia contenente liquido infiammabile e un accendino di colore nero davanti al portone di ingresso che conduceva all’abitazione di Vincenzino Provenzano». L’obiettivo non è un uomo comune: Provenzano, infatti, era il titolare di una tabaccheria oltre che presidente della Federazione Italiana Tabaccai per la provincia di Vibo Valentia. «Sarà proprio quest’ultimo a denunciare l’episodio di intimidazione subìto ai Carabinieri della Stazione di Filadelfia». A parlare è il maresciallo Rocco Rinaldi appartenente al Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Catanzaro, tra i testi del processo “Imponimento” il cui troncone principale è in corso di svolgimento nell’aula bunker di Lamezia Terme. L’episodio intimidatorio ricostruito in aula era da inquadrarsi in uno scenario ben preciso: lo scopo era, infatti, quello di intimidire la vittima perché «aveva firmato presso la Prefettura di Vibo Valentia un protocollo d’intesa per l’installazione di un sistema di videosorveglianza collegato con le sale operative delle Forze di Polizia a tutela della categoria dei tabaccai della provincia vibonese».
Rispondendo alle domande del pm, Romano Gallo, nel corso dell’udienza presieduta da Angelina Silvestri, il maresciallo ha delineato alcuni episodi di intimidazioni eseguite sul territorio del Comune di Filadelfia, feudo del potente clan di ‘ndrangheta Anello-Fruci, il cui boss, Rocco Anello, è stato già condannato a vent’anni in abbreviato. Ad essere chiamati in causa sono, in questa circostanza, Gaetano Ruscio, 37enne di Filadelfia, e il cugino Antonio Luciano Galati, cl. ’96, già condannato a 11 anni e 2 mesi in abbreviato. Dopo l’episodio che ha visto coinvolto il tabaccaio, a distanza di qualche giorno i finanzieri intercettano una conversazione «durante la quale – racconta Rinaldi – Tommaso Anello (cl. ’64) chiedeva più volte a Gaetano Ruscio se fosse stata messa una bottiglia a tale Enzo, dicendo testualmente: “E gli hanno messo la bottiglia là a Enzo u Pullanu?”. Da qui l’appellativo che identifica Vincenzino. Ruscio non rispondeva in modo diretto, ma la sua ilarità e lo scambio di battute tra i due evidenziavano la conoscenza e il pieno coinvolgimento nell’atto intimidatorio».
In un’altra conversazione risalente al 21 febbraio del 2016 e ricostruita in aula nel corso del dibattimento, emerge il coinvolgimento, ancora una volta di Gaetano Ruscio e Antonio Luciano Galati, in altri atti intimidatori. I due, quel giorno, avrebbero effettuato un sopralluogo «per individuare degli obiettivi da colpire e, nel momento in cui transitano in via Vittorio Veneto, nel Comune di Filadelfia, Ruscio diceva al cugino Galati di prestare attenzione alle istruzioni che gli avrebbe dato, facendo così riferimento a dover forare tutti e quattro gli pneumatici di due autovetture. Galati chiedeva quale mezzo avesse dovuto prendere in considerazione per compiere l’azione illecita e Ruscio rispondeva di agire indifferentemente su entrambe le autovetture della vittima designata». «Subito dopo – racconta ancora Rinaldi – Ruscio e Galati si spostano in una via poco distante da via Veneto sempre nel Comune di Filadelfia. Ruscio dice al cugino di fare attenzione alle telecamere dell’abitazione dell’ex Comandante dei Vigili Urbani attualmente in pensione». «Anche in questo caso Ruscio ribadisce di agire anche in questo caso su tutti e quattro i pneumatici». Dopo il sopralluogo, l’8 marzo i due passano all’azione. E insieme a loro c’è anche Antonio Attisani (cl. ’95). «Ruscio Gaetano e Antonio Attisani dicevano a Galati di coprirsi la testa prima di scendere dall’auto (…) e quest’ultimo – spiega Rinaldi – effettivamente scende dalla macchina e fa esplodere, servendosi di un coltello, lo pneumatico di un veicolo parcheggiato nelle immediate vicinanze». Il gruppo – secondo la ricostruzione in aula del maresciallo Rinaldi – si spostano in auto verso un’altra destinazione, sempre nel Comune di Filadelfia, per colpire un altro obiettivo. «Arrivati qui alle 22.05 Ruscio e Galati – spiega – scendono dall’auto per farvi rientro quasi tre minuti dopo per raccontare ad Attisani alcuni dettagli su quanto accaduto. Era lo stesso Ruscio a riferire di avere tentato invano per ben sei volte di danneggiare lo pneumatico di un veicolo, fino poi all’intervento risolutivo di Galati che invece era riuscito a portare a termine l’azione delittuosa rapidamente». «Il gruppo – racconta ancora Rinaldi – si allontana velocemente, dirigendosi fuori dal paese, incrociando una pattuglia di militari, tanto è che Ruscio consigliava a Galati di buttare il coltello».
Nel corso della deposizione in aula bunker, il maresciallo Rinaldi poi ricostruisce un altro episodio intimidatorio, quest’ultimo commissionato da Giovanni Mastrandrea, lametino classe ’84. «Mastrandrea, l’11 aprile 2016, chiedeva a Ruscio della fattibilità di una azione delittuosa proprio nei confronti di una persona appena vista. Ruscio si mostra disponibile senza esitazione, e domanda così a Mastrandrea di mostrargli la macchina». Quest’ultimo indica a Ruscio la strada da percorrere «ovvero via Umberto Zanotti Bianco, così come riportato da tracce Gps, sempre nel Comune di Francavilla Angitola, indicandogli l’abitazione della vittima e specificando quale autovettura colpire. In questa circostanza Mastrandrea inoltre chiede a Ruscio di effettuare tutto in quella stessa serata, o al massimo l’indomani. Questo ultimo però risponde negativamente dicendo che tutta la situazione andava studiata in modo tale da fare una cosa pulita».
Punto chiave sottolineato dal maresciallo è lo scambio di messaggi tra Galati e Ruscio. «Il loro classico modus operandi era il messaggio di conferma inviato da Galati a Ruscio. Il 16 aprile, dopo aver di fatto messo in atto il danneggiamento nei confronti della vittima designata che loro non hanno mai nominato ma che è stato identificato in un giovane classe ’88 di Soriano, si scrivono “Buonanotte zio Tano” e “Buonanotte Casper”, che è l’appellativo riferibile a Galati». «Ed effettivamente – spiega infine Rinaldi – nelle conversazioni i due parlano di due autovetture e viene detto testualmente: “Non questa però, quell’altra, quella lunga” e quindi emerge dall’interrogazione delle banche dati che la vittima fosse realmente intestatario di due autovetture, una Fiat Punto e una Skoda Octavia, che corrisponde alla descrizione auto lunga, essendo una station vagon». (g.curcio@corrierecal.it)
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