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L’intervista

Gratteri: «Nemici? Tantissimi. Il potere non vuole essere controllato» – VIDEO

Intervista a tutto tondo con il procuratore di Catanzaro. La libertà di «dire quello che penso anche se so perfettamente di danneggiarmi la carriera»

Pubblicato il: 06/01/2023 – 12:12
di Alessia Truzzolillo
Gratteri: «Nemici? Tantissimi. Il potere non vuole essere controllato» – VIDEO

CATANZARO «Chi mi conosce sa che io dico quello che penso anche se mentre lo dico so perfettamente di danneggiarmi dal punto di vista della carriera. Ma non mi interessa, sono pronto a pagare qualsiasi prezzo, perché io mi sono costruito la vita in modo tale da poter dire quello che penso su qualsiasi cosa senza dover pagare cambiali o pagare assegni, nel senso di avere le mani libere, non dipendere da nessuno». Il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri ci accoglie nel suo ufficio, una stanza ampia e soleggiata. Alle sue spalle una parete con pietre a vista. Sono le vestigia di un antico convento del ‘400, ex ospedale militare e, dopo un pregevole restauro, nuova sede della Procura della Repubblica di Catanzaro. La chiacchierata col Corriere della Calabria è lunga e spazia dal suo ultimo libro, “Fuori dai confini. La ‘ndrangheta nel mondo”, ai ricordi della sua vita da ragazzo, quando faceva a botte coi figli dei capi mafia o quando giocava a piedi nudi coi ragazzini che anni dopo, da magistrato, ha arrestato. Ma Nicola Gratteri non lesina sferzate anche all’incoerenza di Fratelli d’Italia nel nuovo governo che quando erano all’opposizione hanno votato contro la legge Cartabia e oggi «leggo che il ministro ha dichiarato che la ministra Cartabia è stata un ottimo ministro, che ha fatto delle cose buone, delle cose importanti che bisogna proseguire». Gratteri si dichiara deluso da questa incoerenza.
Il procuratore parla e denuncia anche se sa, negli anni, di essersi fatto dei nemici «in particolare da parte di settori che avevano o hanno potere». E sa che questo suo dire quello che pensa gli danneggia la carriera. Racconta di quando è arrivato a Catanzaro, dell’accoglienza da parte dei poteri «più in vista del territorio» che pian piano hanno cominciato ad abbandonare le prime file ai suoi convegni. Racconta dei capannelli di gente nei corridoi della Procura: «C’era molta gente che camminava nei corridoi senza motivo». Scherza: «Sembrava la pubblicità “porte aperte alla Renault”». Ha fatto ordine, ha chiuso le porte, attirandosi altre antipatie. Per il suo futuro starà «alla professionalità dei componenti del Csm e alla coscienza dei componenti del Csm decidere chi è il più idoneo» per i posti per cui ha fatto domanda. Una cosa non lo abbandona mai, dice, i valori di onestà e generosità che ha appreso dalla sua (numerosa) famiglia. E che trasmette, ogni volta che può, ai ragazzi che incontra.

L’accumulo «preventivo» di armi da parte della ‘ndrangheta

Le mafie crescono anche con la guerra. Gli interessi della ‘ndrangheta attecchiscono là dove si manifesta il male del mondo come sta avvenendo, negli ultimi mesi, con il conflitto in Ucraina.

Il timore per gli inquirenti – spiega il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri – è che si ripeta quello che è accaduto dopo la guerra nell’ex Jugoslavia quando gli investigatori scoprirono che la ‘ndrangheta andava a comprare plastico o kalashnikov a prezzi stracciati. L’argomento fa parte anche del primo capitolo del nuovo libri di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, “Fuori dai confini. La ‘ndrangheta nel mondo”.
«Abbiamo visto nel corso di questi mesi – dice Gratteri – l’uso di armi potentissime e abbiamo pensato che dopo la fine della guerra tra Ucraina e Russia possa accadere la stessa cosa accaduta nell’ex Jugoslavia, cioè che le mafie vadano in Ucraina a comprare le armi rimaste. Anche perché non mi risulta che sia stata creata una sorta di tracciabilità di queste armi, la possibilità di mettervi un gps per capire che fine hanno fatto: se sono state tutte utilizzate – perché vi sono anche armi potentissime usa e getta – o qualcuno, magari spregiudicato ha pensato di crearsi un tesoretto nascondendo queste armi per poi poterle rivendere una volta finita questa guerra». Nel libro è stato posto l’accento su questo conflitto proprio perché «le armi che sono arrivate e che stanno arrivando sono talmente tante al punto che molti Paesi europei hanno svuotato i loro depositi». Il rischio è che una volta acquistate queste armi dalle mafie il loro percorso sarà «a ritroso», dice Gratteri. Per esempio «la ‘ndrangheta si comporta con l’uso delle armi come se fosse un “tesoretto”, cioè ogni famiglia di ‘ndrangheta deve avere 4/5 bazooka, 10 kalashnikov, deve avere 10 chili di esplosivo». In sostanza le famiglie di ‘ndrangheta devono avere una propria «forza militare, non solo in termini di uomini, di killer, ma anche di arsenale. L’avere armi non vuol dire doverle utilizzare subito ma in caso di bisogno in caso di conflitti tra locali di ‘ndrangheta o con altre organizzazioni. È un accumulo preventivo».

L’omicidio Pecci e le mafie che controllano i social

Una frase significativa chiude il capitolo che tratta della Tripla Frontiera e dell’omicidio, in Colombia, del procuratore paraguayano Marcelo Pecci Albertini: «… restano fondamentali gli snodi, dove si incontrano mafiosi, politici, imprenditori, faccendieri e gente senza scrupoli. E sono gli snodi che muovono il mondo. Degli affari e degli intrecci».
Cosa sono e dove troviamo questi snodi?
«Pecci – dice Gratteri – stava facendo delle indagini delicate. Il Sud America è un continente effervescente da un punto di vista della violenza e dei traffici e sappiamo che Colombia, Bolivia e il Perù sono i Paesi produttori di cocaina e i Paesi che stanno a sud di questa fascia equatoriale, in Sud America, sono Paesi di transito e di partenza di tonnellate di cocaina verso l’Europa e verso gli Stati Uniti e Canada. Perché si muovano queste partite di 10/20 tonnellate di cocaina abbiamo visto, in alcune occasioni e in alcuni processi giudiziari e storici, il coinvolgimento della politica».
Il procuratore di Catanzaro racconta di quando ha interrogato a Washington Salvatore Mancuso Gomez, capo del gruppo paramilitare colombiano Autodefensas Unidas de Colombia (Auc), il quale ha raccontato di avere sul suo libro paga decine di parlamentari colombiani, così come il direttore dell’aeroporto di El Dorado a Bogotà.
Pecci è stato ucciso, come raccontato anche nel libro, in viaggio di nozze, sulla spiaggia, un omicidio organizzato in pochissimo tempo. «Non si voleva nemmeno aspettare il tempo che lui tornasse», spiega Gratteri. Fatale è stata la leggerezza della moglie incinta di postare sui social un foto della luna di miele. Individuato il luogo, per gli assassini è stato un attimo organizzare l’agguato.
«Come le polizie controllano i social – dice Gratteri – anche i mafiosi controllano i social dei poliziotti e dei magistrati». 

Per contare i soldi della droga non basta una notte

Gratteri racconta di indagini durante le quali gli investigatori sono rimasti per intere nottate ad ascoltare il rumorio delle macchinette conta soldi, tipo quelle usate dalle banche, che contavano il denaro provento del traffico di droga «e non riuscire in una notte a contarlo». Talmente tanto è il denaro accumulato dai narcos da riempire camion refrigeranti. «Nelle indagini di respiro internazionale che hanno riguardato il Sud America abbiamo visto più volte stanze piene di dollari provenienti dal traffico di cocaina». Si parla di cifre enormi che riguardano sempre di più l’Europa. Oggi i cartelli boliviani, peruviani e colombiani preferiscono essere pagati in Europa, spiega Gratteri, non più in Sud America, «solo il 9 per cento del valore della vendita della cocaina viene pagato in Sud America» perché si preferisce «investire in un continente più ricco e più remunerativo dove è anche più facile mimetizzare la ricchezza».
In questo panorama si muove, perfettamente inserita, la ‘ndrangheta.
«Il grande trafficante di droga di estrazione ‘ndranghetistica si muove da Roma in su. E lo vediamo tranquillamente a Roma, Milano, Bologna o nelle più grandi città europee ed è lì per importare e vendere all’ingrosso tonnellate di cocaina e con quei soldi riciclare». Ma lo ‘ndranghetista medio non sa riciclare in maniera raffinata, dice Gratteri, al limite compra pizzerie, ristoranti, alberghi o latifondi. «Quando parliamo di riciclaggio sofisticato, quindi di fare operazioni finanziarie e bancarie, lo ‘ndranghetista non è in grado di farlo e, per forza di cose, si deve rivolgere a professionisti. Quindi deve andare a pescare nel mondo delle professioni persone capaci, esperte di finanza che facciano queste transazioni per riciclare, lavare questi soldi. Meglio se portandoli all’estero».

La nuova frontiera delle droghe sintetiche. La cocaina rosa

Se tracciare le rotte della cocaina è diventato possibile, è sempre più difficile tracciare i percorsi delle droghe sintetiche, composte da sostanze ancora non classificate, acquistabili su internet, e da sostanze psicotrope di comunissimo uso farmaceutico.
«Le droghe sintetiche sono la nuova frontiera di arricchimento da parte delle mafie», dice Gratteri. Dimostrare l’esistenza di queste droghe oggi è molto più difficile. Nel traffico fai da te è possibile acquistare dal Vietnam o dalla Cina consistenti quantità di sostanze con le quali creare dei cocktail per preparare le droghe sintetiche «che spesso – spiega il procuratore – hanno delle piccole varianti, tali da non farle rientrare nelle tabelle previste e vietate come sostanze stupefacenti. Questo è un dato significativo e in crescendo nel mondo occidentale».
Ma quello che oggi preoccupa ancora di più gli investigatori è la cocaina sintetica, la cosiddetta “cocaina rosa”. «Si sta cercando di lavorare su larga scala e di promuovere questa cocaina rosa che è inodore ed è difficile scovarla. Questo ci preoccupa abbastanza».
Il principale produttore al mondo di questa sostanza è la Bolivia. In Europa, invece, il Paese leader di droghe sintetiche è l’Olanda, racconta il magistrato. «Si cerca di guardare con attenzione a questi Paesi produttori di droghe sintetiche – spiega Gratteri – per cercare di capire come arginare, intercettare, come trovare il filo d’Arianna quando si inizia un’indagine di questo tipo».

«La mia vita da ragazzo raccontata ai ragazzi»

Lo dice sempre, lo ribadisce: «Parlare con i giovani non è mai tempo perso».
Nicola Gratteri va nelle scuole e parla ai ragazzi dal 1988. «Ho iniziato a fare il magistrato nel 1986 – ci dice –. Ho pensato che non bastava per me fare solo il magistrato». «Ho pensato che bisogna spiegare alla gente quello che si fa, qual è il nostro lavoro e rispondere alle loro domande, curiosità, o alle loro false informazioni avute da gente in malafede che tende non ad informare ma a diffamare o calunniare. Parlare ai ragazzi è importante quanto fare indagini». Gratteri si è sempre ritagliato degli spazi per andare a parlare ai ragazzi, ha sfruttato le ferie. L’ultimo incontro è avvenuto un paio di giorni fa a Battipaglia.
Ai giovani Gratteri parla semplice e racconta aneddoti di quando aveva la loro età ed «ero studente alle scuole medie. Io venivo da un paesino che era Gerace e andavo scuola a Locri. Vedevo davanti alla scuola i figli dei capi mafia terrorizzare tutti noi». «Anch’io, all’epoca – racconta il procuratore di Catanzaro –, quasi sfidavo questi ragazzi, mi ribellavo, contestavo questi loro soprusi. Qualche volta abbiamo fatto anche a botte. Dentro la scuola media ricordo il mio compagno di banco taciturno, non parlava, non rispondeva quando gli parlavo, aveva lo sguardo nel vuoto. Poi abbiamo saputo che gli era stato ammazzato il padre in una faida. Questo bambino, appena 18enne, è stato ammazzato mentre scendeva dalla sua macchina blindata. Cercava i killer, i mandanti dell’omicidio di suo padre». Gratteri ricorda i compagni di giochi, quando andava in campagna da sua zia, e giocava con l’amichetto di un cugino «che dopo qualche hanno ho ritrovato, arrestato perché aveva a casa un arsenale. Era un deposito di armi della famiglia di ‘ndrangheta alla quale nel frattempo era appartenuto. Sono cose che lasciano il segno perché quando te lo vedi difronte ti vengono in mente quelle immagini da bambino, quando giocavi scalzo e andavi alla fiumara a vedere i girini. E pensi che quella persona da adulto ha depositato armi, sicuramente le avrà anche usate», dice Gratteri.  Il procuratore ha trovato compagni di giochi arrestati anche all’estero, negli Stati Uniti «perché era stato trovato con 800 chili di cocaina», o andare in Germania e vedere dei ragazzi coinvolti in guerre di mafia. «Partendo da questi racconti cominci a spiegare la non convenienza a delinquere, cosa rischi, cosa può accadere». Importante per il magistrato è spiegare ai ragazzi i falsi miti, come il trafficante di droga tutto agghindato che i giovani vedono fermo al bar. Un personaggio che in realtà «è un utile idiota», un servo. Smitizzare queste figure coi macchinoni che appaiono agli occhi di ragazzini che magari vanno a scuola con pochi euro in tasca, è una missione che il procuratore persegue da anni. «Solo raccontando, facendo esempi, puoi fare cambiare idea alle persone. E, per una buona percentuale, riusciamo a fare cambiare idea a questi ragazzi che ci ascoltano. Sono sempre più convinto che non è mai tempo perso parlare ai ragazzi. Forse, mi dispiace dirlo, è tempo perso parlare agli adulti perché gli adulti non cambiano idea. Molte volte, quando facciamo convegni e incontri con adulti, io penso che chi è onesto torna a casa onesto e chi è disonesto torna a casa disonesto. Spesso si va ad un incontro per contarsi». 

I “papaveri” abbandonano le prime file

Tempo fa, alla presentazione di uno dei suoi libri, il procuratore disse che in quell’occasione in sala mancavano politica e “papaveri” e che la cosa era un buon segno. Cosa intendeva dire?
Il procuratore sorride, «è una brutta domanda», scherza. Poi spiega: «Ormai sono qui a Catanzaro dalla primavera del 2016 e nel corso degli anni, tornado negli stessi paesi o nelle stesse città, vedo ai miei incontri sempre più gente. Ma ci sono persone diverse. Appena sono arrivato qui, nelle prime, seconde, terze file c’erano le persone più importanti, più in vista del territorio. Forse molti avevano l’idea che fossi venuto per arginare il fenomeno della droga. In certi contesti ero considerato uno specialista nel contrasto al traffico internazionale di cocaina. Questa non era una considerazione fatta con affetto, era una cattiveria detta per cercare di limitare o delegittimarmi, perché io a Reggio Calabria avevo fatto tante indagini antimafia. Ma quella gente ometteva, nel racconto, indagini importanti sull’associazione mafiosa. Certa gente era tranquilla che ci saremmo concentrati sul traffico di stupefacenti. Invece siamo passati alla pubblica amministrazione, al rapporto ‘ndrangheta-pubblica amministrazione-politica, alla droga, armi, abusivismo edilizio, tutto quello che era possibile indagare e dimostrare».

«Il potere non vuole essere controllato»

La domanda sorge spontanea, ma, se vogliamo, è anche retorica. «Procuratore, si è fatto dei nemici, in questi anni a Catanzaro?»
La risposta arriva senza tentennamenti: «Sì, tantissimi, certo. In particolare da parte di settori che avevano o hanno potere».
Ce l’hanno ancora questo potere?
«Molto diminuito. Chi ce l’ha cerca di essere, magari, formalmente garbato, formalmente affettato però poi nella sostanza la storia ci ha sempre insegnato che il potere non vuole un sistema giudiziario forte, un sistema giudiziario che contrasti i reati. Il potere non vuole essere controllato».

Capannelli di gente che passeggiava in Procura e fughe di notizie

Nicola Gratteri ha cominciato a guidare la Procura di Catanzaro il 16 maggio 2016. Quando è arrivato il racconto su questo territorio era che «Catanzaro era un’isola felice, nella provincia di Catanzaro non c’era mafia. Il racconto era che la situazione era sotto controllo, che c’era una ‘ndrangheta di serie B/serie C rispetto alla ‘ndrangheta della Jonica o della Piana di Gioia Tauro o Reggio Calabria, che non c’era tanto da fare. Forse per questo mi hanno mandato – ironizza –, perché Catanzaro non era considerata appetibile, importante, da trincea. Appena mi sono insediato ho avuto grande accoglienza sia sulla stampa, sia tra i quadri della pubblica amministrazione, tra il potere, diciamo. Grande accoglienza, entusiasmo, complimenti».
«Sono venuto in Procura e c’erano dei magistrati intelligenti, preparati, per bene. Ma erano un po’ spenti, un po’ quasi rassegnati. E poi una cosa che notavo è che c’era molto disordine, c’era molta gente che camminava nei corridoi senza motivo. Molti erano non addetti ai lavori, non erano avvocati, non erano parti offese, era gente che non aveva motivo. Per fare una battuta dissi “ma qua la gente che fa la mattina, esce di casa e dice che facciamo? ci facciamo una passeggiata sul corso o andiamo in Procura?”. E poi ogni 48 ore c’era una fuga di notizie. C’era una volta una pubblicità della Renault “porte aperte alla Renault”, chi entrava e chi usciva – scherza Gratteri –. La prima cosa che ho fatto è stata di chiudere le porte, creare un po’ di ordine. Vedevo la gente nei corridoio e chiedevo chi erano, cosa facevano in Procura. C’erano capannelli di gente». Sistemata la Procura, sono iniziati i «viaggi della speranza a Roma, al comando generale di Carabinieri, Guardia di finanza, Polizia, per farmi mandare più uomini e più mezzi. Ci sono stati anche i viaggi per aumentare la pianta organica della Procura».

La nuova Procura

Il pallino era anche quello di sganciarsi da un fitto da un milione e 700mila euro al mese nella ristretta e malandata Procura nel palazzo della Corte d’Appello di Catanzaro. «Sapevo che c’era questo palazzo del 1400, ex convento divenuto poi ospedale militare ormai fatiscente e chiuso da 12 anni. Mi sono detto, perché non facciamo la nuova Procura lì. All’inizio ho avuto degli sbarramenti, anche pubblici, anche ufficiali, da parte di persone in vista della città che hanno protestato contro questa mia idea dicendo che qui non bisognava fare la Procura ma un centro culturale. Ho risposto che c’era il teatro Casalinuovo che mediamente era chiuso 350 giorni all’anno. Ci sono tre cinema chiusi. Quindi tutto questo bisogno di luoghi per fare centri culturali non lo vedo».
Riprendono i viaggi della speranza al ministero della Giustizia, al ministero dei Lavori Pubblici. Il palazzo è stato inaugurato in tempi record, lo scorso 15 novembre. 

Quattro mesi e mezzo per costruire l’aula bunker

Mentre si procedeva alla ristrutturazione del convento del ‘400, il 19 dicembre 2019 è scattata la maxi operazione Rinascita-Scott, oltre 300 arresti contro la ‘ndrangheta vibonese. Ci si rende da subito conto che non c’era un’aula bunker adatta a contenere il processo che sarebbe seguito.
«Da subito mi sono messo in moto per avere l’aula bunker – dice Gratteri – che siamo riusciti a individuare a Lamezia Terme perché a Catanzaro non c’era un altro edificio idoneo, così come a Vibo. Come criterio residuale abbiamo individuato nella fondazione Terina (ente regionale, ndr) un capannone di 3.300 metri quadrati» che l’allora presidente della regione, Jole Santelli «ci ha dato gratuitamente». «Eravamo in un momento di grande difficoltà nell’aula Livatino a Roma, c’erano sei/sette opzioni ma nessuna andava bene. Ho chiamato Jole Santelli, lei subito ha detto sì e ci ha dato questo capannone poi trasformato in aula bunker in quattro mesi e mezzo», racconta Gratteri.
Di recente, dice il magistrato, «siamo riusciti a ottenere, dal nuovo presidente della giunta regionale Occhiuto, il palazzo Alemanni, ex sede della giunta regionale, chiuso da 10 anni, dove da qui a poco si insedierà la nuova Procura europea più le tre sezioni di polizia giudiziaria di questa Procura».

Le contraddizioni dell’attuale governo. La delusione di Gratteri

Gratteri, si sa, non manca di denunciare le storture che può denunciare, non usa mezzi termini, se può parlare parla. Si è fatto dei nemici, lo conferma lui stesso. Ma sta pagando questa sua libertà anche in termini di carriera?
«Chi mi conosce sa che io dico sempre quello che penso – ribadisce –. Se non posso dire la verità sto zitto. Chi mi conosce sa che io dico quello che penso anche se mentre lo dico so perfettamente di danneggiarmi dal punto di vista della carriera. Ma non mi interessa, sono pronto a pagare qualsiasi prezzo, perché io mi sono costruito la vita in modo tale da poter dire quello che penso su qualsiasi cosa senza dover pagare cambiali o pagare assegni, nel senso di avere le mani libere, non dipendere da nessuno. Io ho criticato la riforma Cartabia perché la ritenevo e ritengo dannosa, non fosse altro ai fini della velocizzazione dei processi. Questa riforma Cartabia ha creato esattamente il contrario di quello che ci aveva chiesto l’Europa. E l’ho criticata e la critico come anche ho criticato i primi provvedimenti di questo governo. Per esempio, se Fratelli d’Italia, stando all’opposizione, ha votato contro la riforma Cartabia ritenendola non utile o dannosa per il sistema giudiziario italiano, per coerenza oggi dovrebbe riformarla, modificarla, dovrebbe abrogarla e invece leggo che il ministro ha dichiarato che la ministra Cartabia è stata un ottimo ministro, che ha fatto delle cose buone, delle cose importanti che bisogna proseguire. E quindi vedo, sostanzialmente, una contraddizione tra Fratelli d’Italia prima di far parte del governo e dopo. Questa è stata la mia delusione: non aver visto la coerenza tra il prima e il dopo».

Il futuro

Dove si vede Gratteri tra due anni?
«Come ho già detto – risponde il procuratore – il mio sogno era quello di rimanere qui a Catanzaro. Io finisco qui a Catanzaro il 16 maggio 2024. Mi trovo molto bene, c’è un ufficio bellissimo, ci sono magistrati di altissimo livello, c’è un ufficio amministrativo ormai oleato. I grossi spostamenti li ho già fatti. Vorrei rimanere qui ma non è possibile perché rimanendo qui, il 17 maggio 2024 tornerei sostituto procuratore della Repubblica all’ordinaria e poi, a quell’età è difficile tornare indietro… Ho fatto domanda per la Procura di Napoli, si dovrebbe decidere nella prima parte del 2023». Se dovesse sfumare Napoli Gratteri dice «vedrò altre opzioni, altre soluzioni per la mia vita. Il 16 gennaio si aprono i termini per la Procura Generale di Roma. Farò domanda. Vediamo. Io faccio le domande, poi sta alla professionalità dei componenti del Csm e alla coscienza dei componenti del Csm decidere chi è il più idoneo per quel posto».

«I miei capisaldi: onestà e generosità»

Quali sono i capisaldi della vita di Nicola Gratteri?
«Mah, io ho una vita molto semplice. Per me è automatico, è normale comportarmi in un certo modo. Mi guidano le cose semplici che mi hanno insegnato mia madre e mio padre. Mi guidano le cose semplici che mi hanno insegnato i miei nonni e i miei zii. La mia era una famiglia numerosa. Certi giorni mangiavamo 16/20 persone a tavola. Sono cresciuto con tanti nonni, tanti zii e sono stati stato cresciuto da loro. Grandi insegnamenti di onestà e di generosità. La cosa che mi hanno più insegnato sono questi due valori: essere onesto ed essere generoso. Questa è la caratteristica della mia famiglia. Questi valori mi accompagnano ancora. Spero di essere riuscito a trasmetterli a migliaia di giovani che ho incontrato nella mia vita. Continuerò a trasmettere questi valori perché li ritengo fondamentali e basilari non solo per ciascun individuo ma anche per la collettività, per l’umanità, per il territorio». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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