Una polemica sterile e anacronistica, quella che si è innescata a seguito della notizia relativa all’apertura di un corso di Laurea in Medicina e Tecnologie Digitali presso l’Università della Calabria nel capoluogo cosentino. Meraviglia la violenza delle polemiche, la loro pretestuosità. Come noto, l’Unical è stata istituita con la legge n.442 del 12 marzo 1968, che dettava criteri e modalità per l’attivazione dei corsi che avrebbero avuto inizio ad avvenuta realizzazione del primo stralcio di opere edilizie, ivi comprendendo l’istituzione di un centro residenziale, diventato negli anni la struttura logistica di riferimento per studenti e docenti. L’UniCal ha segnato una crescita costante sia per numero di studenti che per qualità della didattica e delle attività di ricerca, ed è considerata oramai una Università di primo livello tra gli Atenei italiani. Si rammenta che le altre due Università statali sono nate in Calabria in virtù della Legge n.590 del 14 agosto 1982 (quattordici anni dopo!), che prevedeva l’istituzione dell’Università degli Studi di Reggio Calabria e, incidentalmente, due corsi di laurea in Medicina e Chirurgia e in Giurisprudenza, con sede a Catanzaro. La polemica sollevata ha come riferimento il “Pacchetto Colombo”, basato sulla delibera Cipe n.1 del 28 gennaio 1971, che risulta, in realtà, essere un programma di investimenti industriali predisposto per aziende pubbliche e private a fini produttivi e occupazionali per le due regioni Calabria e Sicilia. Null’altro contiene l’atto su richiamato, emanato dal Cipe sull’onda della rivolta di Reggio Calabria per la questione del capoluogo di Regione. Una analisi storica retrospettiva sulla vicenda offrirebbe ulteriori argomenti, a dimostrazione della pretestuosità della polemica. Il problema, a mio avviso, è altro ed è afferente alle mutate condizioni sociali e alla domanda pressante di una migliore qualità dei servizi sanitari e socio-assistenziali che nella nostra regione sono drammaticamente carenti. L’università di Medicina di Catanzaro è certamente una realtà cresciuta molto in pochi anni e deve dare risposte in un contesto condizionato dalla ridotta qualità infrastrutturale viaria e ferroviaria della regione. Credo che un esame di quanto avvenuto nel corso degli ultimi anni nel nostro Paese possa consentire un approccio più razionale e sereno al problema della sanità. La Calabria non può legare il proprio destino a soluzioni straordinarie e contingenti, quali ad esempio la chiamata dei medici cubani, che non risolvono il problema alla radice, ma eventualmente solo le emergenze. C’è bisogno di strumenti nuovi pensati nell’ottica di una più alta qualificazione professionale che ponga fine alla emigrazione delle intelligenze più vive che arricchiscono altre aree del Paese, ma impoveriscono ulteriormente la Calabria. La polemica di casa nostra mi ha indotto a verificare cosa è avvenuto in territori strutturalmente comparabili alla Calabria. Un esempio concreto è quello delle due Regioni Abruzzo e Molise che, seppure istituzionalmente separate, coincidono con la regione originaria di appartenenza. Abruzzo e Molise assommano una popolazione di circa 1.600.000 abitanti, con una superficie territoriale di 15.290 kmq. La Calabria ha numeri quasi identici: la popolazione è di 1.855.000 abitanti ed una superficie territoriale di 15.221 kmq. In Abruzzo le Facoltà di Medicina sono almeno tre (L’Aquila, Chieti-Pescara, Teramo); nella porta accanto, in Molise, funziona regolarmente un’ulteriore Facoltà di Medicina. E ancora, nella sola Sicilia orientale ci sono ben tre facoltà di Medicina: Messina, Catania, Enna. La sopravvivenza di un Ateneo non passa per la difesa dello status quo, consolidato negli ultimi decenni, o attraverso la rivendicazione del primato del campanile. Essa passa piuttosto attraverso la rete di aziende ospedaliere, attraverso l’osmosi di ricerca scientifica e offerta sanitaria. Offrire cultura, istruzione universitaria, lavoro, non può che giovare all’intera Regione, che invece viene sistematicamente depauperata di risorse economiche e intellettuali a vantaggio di altri territori. Qui non si discute sulla inopportunità di aprire una seconda facoltà di Medicina, si discute del futuro della nostra terra. La polemica divide e disperde risorse. C’è bisogno di una visione comune, una visione di crescita per tutto Mezzogiorno.
* Vicesindaco di Cosenza
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