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L’analisi

Affitti brevi. La Corte di Giustizia europea mette ko i grandi portali?

Airbnb, HomeAway, Booking, Wimdu. Sono solo alcuni dei grandi portali attraverso vengono messi in contatto affittuari e persone in cerca di un alloggio per brevi periodi. Ebbene, per questi, sembr…

Pubblicato il: 09/01/2023 – 16:12
di Domenico Lo Duca
Affitti brevi. La Corte di Giustizia europea mette ko i grandi portali?

Airbnb, HomeAway, Booking, Wimdu. Sono solo alcuni dei grandi portali attraverso vengono messi in contatto affittuari e persone in cerca di un alloggio per brevi periodi. Ebbene, per questi, sembra essere arrivato il momento di fare i conti con il fisco in materia di cedolare secca sugli affitti.
Una sentenza della Corte di Giustizia Europea infatti, pronunciata a conclusione della vertenza iniziata nel 2017, è stata chiara: Airbnb, e di contro tutte le altre piattaforme similari, dovrà riscuotere e versare allo Stato italiano la cedolare secca sugli affitti brevi (che ricordiamo ammonta al 21%). La Corte ha dato parzialmente torto ad Airbnb nel ricorso sul regime fiscale italiano per le locazioni brevi. Da una parte la legge può chiedere di raccogliere informazioni e dati sulle locazioni effettuate, e soprattutto di applicare la ritenuta d’imposta alla fonte prevista dal regime fiscale nazionale. Dall’altro Airbnb non è obbligata a designare un rappresentante fiscale in quanto questo elemento è stato giudicato “una restrizione sproporzionata alla libera prestazione dei servizi”.
Secondo quanto emerge dal dibattito in aula, le somme che Airbnb avrebbe dovuto versare annualmente in Italia, rapportate ai ricavi del 2016, sarebbero state pari a circa 130 milioni di euro. Considerando che, dall’inizio del contenzioso ad oggi sono passati all’incirca sei anni e che nel frattempo il numero di annunci pubblicato sul portale è cresciuto a dismisura, facendo un rapido calcolo si può stimare che Airbnb abbia riscosso  circa 7,5 miliardi di euro e abbia omesso di trattenere e versare al fisco italiano oltre 1,5 miliardi di euro, senza dimenticare che l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che gli intermediari sono sanzionabili per le omesse o incomplete ritenute da effettuare a partire dal 12 settembre 2017. Le sanzioni applicabili possono arrivare al 140% delle ritenute non effettuate, di cui il 20% per non aver effettuato la ritenuta e il 120% per omessa presentazione della dichiarazione del sostituto di imposta. La legge stabiliva infatti che, a partire dal primo giugno 2017, i redditi derivanti da contratti di locazione non commerciali non superiori a 30 giorni fossero soggetti a una ritenuta del 21% dovuta all’erario, qualora i proprietari interessati abbiano optato per tale aliquota preferenziale, e i dati relativi ai contratti di locazione dovessero essere trasmessi all’amministrazione fiscale. Quando si incassano i canoni o si svolge un ruolo nella loro riscossione, i soggetti che svolgono attività di intermediazione immobiliare devono effettuare, in qualità di sostituti d’imposta, la ritenuta sull’ammontare dei canoni e provvedere al relativo versamento all’Erario. I soggetti non residenti privi di una stabile organizzazione in Italia hanno l’obbligo di nominare, in qualità di responsabili d’imposta, un rappresentante fiscale.
Nella sentenza, la Corte ha constatato che i tre obblighi introdotti nel diritto italiano nel 2017 rientrano nel settore fiscale e sono, di conseguenza, esclusi dall’ambito di applicazione di talune direttive fatte valere da Airbnb. In sintesi, l’obbligo di ritenuta dell’imposta alla fonte s’impone, secondo i giudici europei, tanto ai prestatori di servizi di intermediazione immobiliare stabiliti in uno Stato membro diverso dall’Italia, quanto alle imprese che hanno ivi uno stabilimento. La Corte esclude, dunque, che sia possibile ritenere che l’obbligo vieti, ostacoli o renda meno attraente l’esercizio della libera prestazione dei servizi. Rispetto alla parte della sentenza in cui il tribunale ha dato invece ragione ad Airbnb, ovvero sull’obbligo di designare un rappresentante fiscale, il fatto che l’amministrazione fiscale disponga già delle informazioni ad essa trasmesse relative ai contribuenti, segnala la Corte, è tale da semplificare il suo controllo e dà ancor più rilevanza al carattere sproporzionato dell’obbligo di designazione di un rappresentante fiscale.

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