CATANZARO «Digli chi c’era lì a Cirò, Gì… il capo di Cirò, il capo di Melissa, il capo di Papanice». Pietro Marangolo, 45 anni, è su di giri quando, il 18 settembre 2021, parla del summit che si è svolto a Cirò e al quale hanno preso parte, oltre allo stesso Marangolo, Antonio Bruno Virgilio, Marco Otranto Godano, Pietro Corigliano, Daniele Tallarico e Cataldo Poerio. Inoltre, da quello che risulta dalle intercettazioni, vi avrebbe preso parte anche il boss di Papanice Domenico Megna. Marangolo, tratto in stato di fermo il 19 dicembre scorso insieme ad altre 17 persone in una operazione condotta dalla Squadra Mobile di Catanzaro e coordinata dalla Dda del capoluogo, è considerato uomo di fiducia del capo locale di Rocca di Neto, Pietro Corigliano, anche lui tratto in arresto prima di Natale.
«I plurimi e pregnanti elementi investigativi convergono nel senso di affermare la gravità indiziaria in ordine all’esistenza e persistenza sul territorio di Rocca di Neto di una strutturata e pericolosa locale di ‘ndrangheta, pienamente attiva (cosca Corigliano-Comito)», scrive il gip di Catanzaro Arianna Roccia nell’ordinanza di custodia cautelare che ha comminato 15 arresti in carcere per:
BRUNO Virgilio Antonio, detto “Egidio”, classe ’70, di Rocca di Neto;
COMITO Francesco, detto “Capa 58”, classe ’89, di Rocca di Neto;
COMITO Michele Antonio, detto “Totonno”, classe ’91, di Rocca di Neto,
COMITO Michele Antonio, detto “Totonnello”, classe ’63, di Rocca di Neto;
COMITO Salvatore, detto “U scienziato”, classe ’87, di Rocca di Neto;
COMITO Umberto, classe ’68, di Rocca di Neto
CORIGLIANO Luigi, detto “Capa ianca”, classe ’95, di Rocca di Neto;
CORIGLIANO Luigi, detto “Catammino”, classe ’96, di Rocca di Neto;
CORIGLIANO Martino, classe ’66, di Rocca di Neto;
CORIGLIANO Pietro, classe ’68, di Rocca di Neto;
CUNDARI Patrizia, classe ’67, di Rocca di Neto;
MARANGOLO Pietro, detto “Ioscera”, classe ’77, di Rocca di Neto;
MARINO Pantaleone, classe ’61, di Rocca di Neto;
STEFANIZZI Gabriele, classe ’93, di Rocca di Neto;
ZITO Giuseppe Martino, detto “U’ Curnacchia”, classe ’70 di Rocca di Neto.
Disposti gli arresti domiciliari per:
BARBARO Domenico, classe ’91, di Rocca di Neto;
BARBERIO Rosario, detto “Sarino”, classe ’69, di Scandale;
BARONE Fortunato, classe ’69, di Rocca di Neto.
Ma tornando al summit del 18 settembre 2021. Pietro Marangolo fa un «resoconto avvincente», scrivono gli investigatori della Mobile in un carteggio di 1500 pagine finito sulle scrivanie dei sostituti della Dda di Catanzaro Domenico Guarascio e Paolo Sirleo. Prospetta al proprio interlocutore la possibilità di fargli incontrare lo «Zio Mico», ovvero il boss Domenico Megna. «Vuoi venire dallo zio Mico con me? Da quando non lo vedete voi?», chiede Marangolo.
Qualche ora più tardi Marangolo racconta ancora dell’incontro a un altro interlocutore e riferisce della partecipazione all’assemblea dei rappresentanti della ‘ndrangheta di Torre Melissa, dello «zio Giggino” [Luigi] e di tale “Turuzzo” [Salvatore]. Hai capito? Ci hanno fatto bere! C’erano i melissioti [esponenti della ‘ndrina di Torre Melissa], lo zio Giggino [Luigi] quell’altro stupido…, C’è Turuzzo… [Salvatore] eh! Sono amici con loro… [con i papaniciari] con loro! Sono fegato e trippa!». «Eh! Abbiamo preso tutti l’uva – racconta ancora –! Abbiamo fatto una tavolata in un magazzino…».
Secondo la Dda di Catanzaro questo incontro è significativo «perché dimostra l’operatività della compagine che, al di là di attività poste in essere sul proprio territorio, mostrava di interagire con altre articolazioni della stessa, in importanti summit».
«Altro episodio – scrivono i magistrati – che dimostra il forte afflato tra la cosca Megna e la Cosca Corigliano riguarda l’incarico affidato dal boss papaniciano ai rocchitani per individuare l’autore del furto di una motopompa».
Il fatto è il seguente: il 13 settembre 2021 le telecamere degli investigatori individuano la presenza di Mico Megna e Pietro Corigliano a casa di Pietro Marangolo. Dalle intercettazioni si apprende che Megna avrebbe lamentato il furto di una motopompa fatta ai danni del proprio autista. Dalle tracce lasciate dai ladri, questi si sarebbero diretti verso Strongoli. Megna si era rivolto ai rocchitani per ritrovare la refurtiva e per verificare se il ladro fosse stato tale Giuseppe Tesoriere «ritenuto appartenete alla cosca Giglio».
Il clan di Rocca Di Neto comincia a muoversi per scovare il maltolto. Vanno in giro, si informano. Marangolo spiega che il boss Megan è «incazzato» perché il furto era avvenuto nel suo territorio senza che lui ne sapesse niente.
L’imbasciata chiesta dal boss Mico Megna impegna molto i rocchitani.
«Dobbiamo fare questa cazzo di imbasciata a questo qua che… è intestardito… è venuto con la luna storta oggi!», dice Marangolo.
Dal canto suo, il capo cosca Pietro Corigliano, pur rassegnato dalla circostanza, sente il peso e il fastidio di quell’incarico: «Però… ohi Yo! E noi non è che possiamo fare più di tanto! Perché [lo “zio Mico”] non va… perché non va dagli strongolesi? Gli strongolesi devono risolvergli questo problema io!». Insomma Corigliano lamenta il fatto che Megna avrebbe potuto rivolgersi direttamente ai clan strongolesi.
Il 25 settembre i rocchitano brancolano ancora nel buio e Marangolo comincia ad asserire che il problema del ritrovamento della motopompa non è affare loro perché la ‘ndrina di Rocca di Neto non è competente per territorio e che loro avevano fatto la loro parte riferendo a Megna che Amedeo Tesoriere non era stato.
Dopo i vani tentativi di individuare il responsabile del furto, e i diversi solleciti avanzati in proposito da Domenico Megna, la sera del 26 settembre 2021 Pietro Marangolo e il capo ‘ndrina Pietro Corigliano si recano a Crotone, in frazione Papanice, per fornire un resoconto delle indagini a Domenico Megna.
Maranglo ammonisce il proprio capo ‘ndrina di fare attenzione al modo con cui riportava le informazioni allo “zio Mico”, poiché costui era incontenibile nelle reazioni: «Con lo zio Mico devi parlare con punto e virgola che subito capisce alla storta!».
Ad un certo punto Megna avrebbe avanzato sospetti sui sodali del gruppo Comito ma sarebbe stato indotto a ragionare dai suoi ragazzi più fidati.
«Corigliano – notano gli investigatori –, poi, sottolineava l’atteggiamento di prudenza che Megna aveva adottato, per evitare di essere coinvolto in qualche inchiesta antimafia: “Lo vedi che non si vede mai là!”, “Sta lontano… non vuole sapere niente…”». (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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