MILANO «Fino alla carcerazione avevo la dote di picciotto all’interno della locale di ‘Ndrangheta di Corsico-Buccinasco. Il locale di ‘Ndrangheta è rimasto bloccato perché c’erano stati dei problemi in Calabria. Quando sono uscito dal carcere ho commesso alcuni reati ma non necessariamente legati al mio inserimento nella menzionata locale. In Calabria c’era stata la scomparsa di Pasqualino Marando e dei due Trimboli, paesani nostri, motivo per il quale ognuno cercava di stare più riservato, temendo anche eventuali ritorsioni in quanto si potevano immaginare alleanze non corrispondenti al vero». Ciò che è stato pubblicato – dal Fatto Quotidiano – del verbale di Rosario Papalia lascia immaginare quanto profonda sia la conoscenza del neo collaboratore di giustizia riguardo alle dinamiche della più potente cosca di ‘ndrangheta al Nord. Sono 30 pagine nelle quali “Rosi” (questo il suo soprannome) parla in particolare dei suoi rapporti con la famiglia Maiolo, di recente colpita da un’inchiesta della Dda di Milano. Confessioni che ne fanno già il più importante, per lignaggio, pentito delle cosche della Locride nel Settentrione, insieme a Domenico Agresta, Micu Mc Donald, legato ai clan di Platì con base a Volpiano, in Piemonte (ve ne abbiamo parlato qui).
Barbaro parla anche di Alessandro Manno, 59 anni, anche lui di Caulonia e legato a doppio filo con Cosimo Maiolo, ma non indagato nella recente indagine della Mobile. Intercettato il vecchio Maiolo, riporta l’informativa conclusiva della polizia giudiziaria, spiegando – si legge sul Fatto Quotidiano – «la propria caratura criminale, dichiarava che egli stesso e con lui Alessandro Manno sarebbero gli unici due soggetti in grado dì rapportarsi con le alte gerarchie mafiose e, per dare un’idea del significato di queste sue parole egli affermava che qualora dovesse accadere per assurdo che Toto Riina, dovesse venire in quelle zone cercherebbe solo due persone: lui e Alessandro Manno». Così Barbaro descrive il contesto del “locale” di Pioltello: «Con Alessandro Manno eravamo in carcere a Pavia assieme nel 2010 circa; in passato, nel 1994-1995, avevamo già trascorso un periodo di codetenzione. A Pavia siamo stati nella stessa cella; era presente anche Sebastiano Pelle, riservatissimo come me. Alessandro Manno appartiene alla Locale di Pioltello come Capo Locale. Ci rispettavamo in carcere e ci teneva tanto all’amicizia nostra; lui voleva che facessimo gruppo e fossimo dei referenti degli altri detenuti calabresi in carcere nella nostra sezione sulle eventuali liti, discussioni o spostamenti di detenuti nelle celle. Manno era dell’idea di mantenere lo stesso controllo in carcere, ad esempio in relazione alle introduzioni di stupefacenti da parte di altri detenuti: il Manno voleva che fosse evitato per non incorrere in alcun tipo di disordine, oppure voleva dire la sua sui legami con nuovi soggetti calabresi che vi entravano; Manno voleva affermare il potere dei detenuti calabresi sugli altri. Rivendicava la forza della sua appartenenza alla ‘ndrangheta, anche per dirimere controversie all’interno del carcere; noi la pensavamo diversamente e non volevamo fare come lui che ipotizzava di gestire il carcere in questo modo».
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