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«Ciao, Massimo», poi una pioggia di piombo. L’omicidio a Gioia Tauro raccontato da un testimone

L’uomo era in auto assieme al killer. «È stato il pandemonio». Omicida fermato con arma, munizioni e 2.600 euro. Il gip: «Ha ammesso gli addebiti»

Pubblicato il: 17/01/2023 – 19:26
di Pablo Petrasso
«Ciao, Massimo», poi una pioggia di piombo. L’omicidio a Gioia Tauro raccontato da un testimone

GIOIA TAURO «Ho abbassato il finestrino e gli ho detto “Ciao Massimo”, dopodiché il pandemonio, ho visto il pandemonio davanti a me. Giuseppe ha estratto una grossa pistola dal borsello marrone che aveva con sé, e ha ripetutamente sparato a Massimo Lo Prete».
«Ciao, Massimo». Le ultime parole di saluto, poi gli spari di una pistola calibro 9×21 estratta tutt’a un tratto da un borsello. La vita di Massimo Lo Prete è finita in un’area di servizio a Gioia Tauro per mano di Giuseppe Mazzaferro, che avrebbe, nelle scorse ore, confessato il crimine. Il racconto dell’agguato improvviso è affidato, nelle carte degli inquirenti, alla testimonianza della persona che sedeva in auto accanto a Mazzaferro. Sarebbe stato lui a salutare la vittima prima dell’esplosione dei colpi. E prima della fuga precipitosa in un’area di campagna, dove il killer – che ha detto di sentirsi perseguitato da Lo Prete – avrebbe abbandonato il mezzo per darsi alla macchia.

«Diceva “non so cosa ho fatto”. Suo fratello era disperato»

È in campagna che Mazzaferro «con la pistola in una mano e il borsello nell’altra diceva “non so cosa ho fatto”» mentre suo fratello «era disperato e aggiungeva che non era necessario un gesto simile in quanto si era già attivato lui per mettere pace». Continua così il racconto del testimone. Che dice di avere paura «perché sono stato presente a un omicidio» e per i suoi legami con Mazzaferro. Poi fa riferimento a vicende legate a «uno schiaffo» e spiega che «mi è caduto il mondo addosso perché io avevo intenzione di tornare definitivamente in America e portarci anche la mia famiglia, aspettavo solo di poter rinnovare il passaporto».  

«Mazzaferro era impaurito, si sentiva seguito dalla vittima»

Nelle 22 pagine che convalidano il fermo del presunto assassino c’è il racconto della persona che si accompagnava a lui e che avrebbe assistito all’omicidio di “Mangia Panini”, considerato dagli investigatori «figura vicina» a uno dei capi del clan Molè di Gioia Tauro. Il testimone, definito «pregiudicato», si è presentato spontaneamente nella Stazione dei carabinieri di Gioia Tauro riferendo che a sparare era stato Mazzaferro, fratello di un uomo ritenuto «esponente di spicco del clan Piromalli». Il killer avrebbe chiesto al proprio accompagnatore di affiancarsi all’auto di Lo Prete e «a sua insaputa» avrebbe estratto la pistola e fatto fuoco. Il motivo? In quella stessa giornata Mazzafero «gli aveva riferito che era estremamente impaurito dal fatto che da un po’ di tempo si sentisse seguito dalla vittima e che temeva che questi potesse rendersi autore di una qualche azione violenta nei suoi confronti». 
Mazzaferro avrebbe riferito di essere seguito anche da alcuni appartenenti a un altra famiglia del contesto ‘ndranghetistico di Gioia Tauro e di aver avuto un incontro con un pregiudicato per cercare di risolvere le controversie. Questa parte del racconto del testimone (quella che riguarda la «possibile dinamica di mediazione mafiosa») è considerata «tra il lacunoso e il reticente» dagli inquirenti. 

Il killer rintracciato a Rizziconi con arma, munizioni e 2.600 euro

È l’inizio di una ricerca che porterà in breve termine a rintracciare Giuseppe Mazzaferro in un’abitazione in contrada Manduca a Rizziconi. Qui, dopo una perquisizione e su indicazione dello stesso presunto omicida, i carabinieri hanno sequestrato una pistola 9×21 all’interno di un borsello con 13 colpi nel caricatore e uno in canna, assieme a 51 munizioni e contanti per un totale di 2.683 euro. È la presenza dell’arma, delle munizioni e del denaro a convincere il gip del Tribunale di Palmi Barbara Borelli dell’esistenza del pericolo di fuga di Mazzaferro, che – appunta il magistrato – «ha ammesso gli addebiti confermando la dinamica dei fatti (…), adducendo come movente un ingiustificato e prolungato contegno persecutorio e minaccioso tenuto dalla vittima nei suoi confronti». Al presunto killer vengono contestate anche le aggravanti della premeditazione e dell’aver agito per motivi abietti e futili. (p.petrasso@corrierecal.it)

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