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La latitanza di Messina Denaro tra Cosenza e Crotone. Caccia ai protettori calabresi del boss

Intercettazioni («sta nelle Calabrie»), passaggi a Lamezia, segnalazioni anonime e tracce finanziarie. Il filone calabrese nell’inchiesta sulla fuga

Pubblicato il: 18/01/2023 – 11:48
La latitanza di Messina Denaro tra Cosenza e Crotone. Caccia ai protettori calabresi del boss

LAMEZIA TERME Alcune segnalazioni sono ritenute «attendibili e riscontrate» dagli investigatori di Palermo. E raccontano che Matteo Messina Denaro avrebbe trascorso almeno fino al 2018 un periodo della sua trentennale latitanza tra le province di Cosenza e Crotone. Non solo: in alcune intercettazioni di un’operazione che risale al 2018 due sodali del boss direbbero che «sta nelle Calabrie». Nella zona jonica. È un lungo fil rouge di rapporti con la ‘ndrangheta quello che si dipana nella storia del “capo dei capi”. Oggi il Fatto Quotidiano ne snoda una parte. Ma i contatti tra l’ex latitante e i clan calabresi riemergono da molte tracce – giornalistiche e investigative. Un testimone toscano raccontava all’Espresso, ancora nel 2018: «Ho incontrato Matteo Messina Denaro. L’ho conosciuto al porto di Palermo, poi avevamo un altro appuntamento in Toscana, dove è protetto da uomini della ‘ndrangheta». L’uomo spiegò che le visite del latitante si sarebbero ripetute più volte in Toscana, «dove ha trascorso diversi giorni di vacanza a luglio anche a Forte dei Marmi» e in alcune occasioni avrebbe alloggiato in un resort di pregio sulle colline pisane con piscina e vista mozzafiato. La persona a conoscenza di questo fornì anche il dettaglio di uno dei viaggi del boss trapanese: «Lo “Zio” ha preso un volo da Pisa per Lamezia Terme».

I terreni nella Locride e gli immobili a Mendicino

Frammenti di una fuga, da un lato. Tracce economiche, dall’altro. Già dieci anni fa nell’ambito di un’inchiesta sul business del fotovoltaico, un imprenditore (ritenuto fedelissimo del boss) si era visto sequestrare una serie di società che avevano affittato numerosi terreni di proprietà delle principali famiglie mafiose della Locride. Ci sono pentiti, poi, che narrano dell’acquisto di immobili in Calabria, intestati a prestanome e in cui Messina Denaro potrebbe aver trovato rifugio. Il “fantasma” del fuggitivo si è materializzato anni fa a Mendicino, cittadina del Cosentino interessata da alcuni sequestri a “teste di legno” riconducibili al “capo”. 

Le segnalazioni anonime girate alle Procure siciliane

In questo filone ci sono anche le segnalazioni anonime di chi avrebbe riferito a polizia e carabinieri di avere addirittura visto personalmente il boss di Castelvetrano che, in Calabria, si sarebbe spostato a bordo di alcuni furgoni di un’agenzia di vigilanza privata. Il materiale raccolto dai magistrati di Catanzaro è stato subito trasmesso ai colleghi di Palermo e Caltanissetta che stavano coordinando le indagini sulle ricerche di Messina Denaro. E alcuni elementi di quegli esposti sarebbero stati riscontrati dagli inquirenti nei mesi scorsi. Segno che il legame con la Calabria è comunque palpabile.

Le parole dei pentiti: «Da una vita ci sono contatti tra ‘Ndrangheta e Cosa nostra»

A Reggio Calabria, invece, sarebbero arrivate segnalazioni da Palermo riguardo alla possibilità che il bosso avesse trovato rifugio nella Piana di Gioia Tauro. Nel 2016, ricorda ancora il Fatto Quotidiano, l’allora procuratore aggiunto di Palermo Teresa Principato aveva lanciato l’allarme. In un’intervista aveva fatto il punto sulle sue indagini: «Possiamo affermare che la ’ndrangheta ha sostenuto la latitanza di Messina Denaro» i cui rapporti con la mafia calabrese «sono basati su punti incontrovertibili: contatti con la ’ndrangheta ci sono dai tempi di Riina». Una conferma è arrivata nel 2019 da Giovanni Brusca nel processo ‘Ndrangheta stragista. Al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, infatti, Brusca ha detto: «È da una vita che ci sono contatti con calabresi e siciliani». Il pentito Marcello Fondacaro ha spiegato, sempre in aula a Reggio Calabria, l’esistenza di rapporti tra imprenditori legati al boss di Limbadi Luigi Mancuso con l’imprenditore Patti, ritenuto all’epoca dominus della Valtur. L’idea era quella di «un progetto alberghiero a Pizzo Marina» da realizzare in parallelo con un villaggio nel Crotonese per il quale avrebbe avuto voce in capitolo il boss Nicolino Grande Aracri. Secondo Fondacaro, l’imprenditore avrebbe avuto come commercialista il fratello della compagna di Matteo Messina Denaro. Altro frammento da una fuga con protettori anche in Calabria. (redazione@corrierecal.it)

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