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I “Cacciatori” di latitanti. «Grotte e bunker. E nei covi in Calabria c’è sempre una Bibbia»

Il racconto di Ivan D’Errico, comandante del reparto speciale. «Nessun lusso nei covi per la ‘ndrangheta, rifugi spogli ed essenziali»

Pubblicato il: 19/01/2023 – 18:13
I “Cacciatori” di latitanti. «Grotte e bunker. E nei covi in Calabria c’è sempre una Bibbia»

ROMA All’inizio erano solo grotte, cavità naturali, anfratti coperti di arbusti. Quando i sequestri di persona rappresentavano ancora un’attività redditizia, in Calabria era quella la tipologia dei covi sfruttati dagli esponenti della ‘Ndrangheta per non essere trovati durante la loro latitanza o per nascondere gli ostaggi. Con il trascorrere del tempo, complici la fine dei rapimenti e l’istituzione dello Squadrone Carabinieri eliportato “Cacciatori Calabria”, i segreti che il massiccio dell’Aspromonte era solito custodire hanno cominciato a venir meno, obbligando i latitanti a cambiare le proprie abitudini. E così hanno preso piede bunker e rifugi costruiti nelle aree urbane, all’interno di abitazioni. «La Calabria ha una morfologia molto particolare e i latitanti hanno sempre sfruttato la conoscenza del loro territorio caratterizzato da zone montuose non facilmente raggiungibili», spiega all’Agi il capitano Ivan D’Errico, comandante dei Cacciatori, un reparto speciale nato il primo luglio del 1991 con sede a Vibo Valentia.

Assicurate alla giustizia 310 persone in oltre 30 anni di attività

Ivan D’Errico (foto di Luca Quagliato da Irpimedia)

Le statistiche dicono che in oltre 30 anni di attività i Cacciatori hanno assicurato alla giustizia 310 persone, elenco che comprende chi era destinatario di un provvedimento cautelare e chi si era sottratto a una condanna definitiva. «Negli anni abbiamo scoperto decine di covi e di bunker. In Calabria sono nascondigli costruiti in modo piuttosto semplice». Nulla a che vedere con l’appartamento segreto di tre stanze sotto una villa bunker che Francesco Schiavone, alias “Sandokan”, si era fatto preparare a Casal di Principe o con l’ascensore idraulico di cui si serviva a Caserta il boss Michele Zagaria per raggiungere un vano interrato, costituito da una camera da letto e da un bagno, con tanto di sistemi di areazione e di videosorveglianza. Quelle sono “cose” di camorra. «In Calabria – racconta il comandante D’Errico – lo sfarzo e il lusso in contesti di questo tipo non esistono. I rifugi sono quasi sempre spogli e ridotti all’essenziale. Sono destinati a ospitare uno o più latitanti per periodi determinati di tempo. Una volta scoperti e smantellati da noi, vengono abbandonati. Hanno tutti accessi molto complicati. Una persona “normale” difficilmente concepirebbe l’idea di andare a vivere lì. Ma chi vuole essere irreperibile ragiona in altra maniera».

«Cosa troviamo nei rifugi dei latitanti calabresi»

E poco conta se il bunker, come recitano le fonti aperte, sia sotto una scala o all’interno di un muro, abbia binari scorrevoli o una botola basculante, se sia dotato di un ingresso meccanizzato o di un cunicolo scavato a mano, se sia accessibile da un termosifone del bagno o si trovi sotto una cella frigorifera. La fantasia degli ‘ndranghetisti non ha davvero limiti. Ma quello che un nascondiglio di solito custodisce non c’entra davvero nulla con quello che nell’immaginario collettivo viene chiamata “latitanza dorata”. «Di dorato c’è ben poco – ammette l’ufficiale dei Cacciatori –. Il latitante calabrese nei suoi rifugi ha sempre le stesse cose: una televisione o una radio per essere aggiornato, a volte libri e giornali per leggere, illuminazione ridotta all’osso. Abbiamo trovato armi, qualche volta soldi, ovviamente viveri di conforto. E, caratteristica comune a quasi tutti i covi, immagini e simboli sacri, santini, crocifissi, la Bibbia». Criminali ma soprattutto uomini di fede. (Agi)

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