ROMA «Ci uniamo all’appello formulato da Anci Calabria nel documento inoltrato a tutti i rappresentanti istituzionali calabresi ritenendo condivisibili le rimostranze, e tutti gli elementi di contrarietà, in esso indicati. Chiediamo, quindi, che venga convocato un consiglio regionale aperto, come da ultimo richiesto dall’Anci. Da un lato rileva, infatti, che già la riforma del titolo V della costituzione prevedeva l’istituzione dei Livelli essenziali di prestazione. La loro mancata individuazione ha rappresentato, in questi anni, una delle cause del divario tra le prestazioni offerte nelle regioni del nord e quelle offerte nelle regioni del sud. A tanto corrispondono, infatti, minori trasferimenti erariali a titolo di fondo di solidarietà comunale, per effetto del meccanismo di riparto basato sul criterio della spesa storica, a tutto favore di comuni collocati in aree del Paese più forti». E’ quanto affermano in una nota i parlamentari M5S Vittoria Baldino, Anna Laura Orrico, Elisa Scutellà, Riccardo Tucci e i consiglieri regionali Francesco Afflitto e Davide Tavernise. «A risultarne pregiudicati sono i diritti sociali – vanno avanti i pentastellati – come per esempio la sanità e l’istruzione. Regionalizzare la scuola significherebbe creare 21 sistemi diversi di reclutamento, retribuzione, organizzazione, contrattualistica, quindi didattica. Il progetto di autonomia differenziata dovrebbe, pertanto, partire dalla definizione precisa dei costi necessari per attuare i Lep, iniziando così a dare attuazione all’art. 119 della cost. che prevede, tra le altre cose, un fondo di perequazione per le regioni più svantaggiate. Una volta redistribuite le risorse a favore delle regioni più povere allora si può pensare di come distribuire in modo più efficace anche le competenze. Vero è che la costituzione all’art. 5 promuove le autonomie locali, ma a condizione che sia garantita l’unità e l’indivisibilità della Repubblica. Il regionalismo per la nostra costituzione deve essere solidale, senza lasciare indietro nessuno – proseguono i pentastellati». «Dall’altro lato, del tutto anacronistico appare, poi, la definizione dei Lep attraverso un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, cioè un atto amministrativo generale. La costituzione, infatti, prevede una riserva di legge, secondo autorevoli costituzionalisti, di tipo assoluta: questo vorrebbe dire che sui livelli essenziali delle prestazioni è solo il parlamento a potersi esprimere, non il governo con il supporto di organi tecnici – continuano i pentastellati. Come può una riforma che tocca i diritti sociali, come salute e scuola, essere relegata ad un intervento tecnico privando della discussione i rappresentanti politici in parlamento? Sulla definizione dei Lep, attraverso Dpcm, infatti dovrebbe, poi, esprimersi il Tar piuttosto che la Corte Costituzionale, pur investendo la riforma i diritti fondamentali dei cittadini». «Garantire quell’uguaglianza sancita dall’art. 3 della costituzione, comporta, dunque, anzitutto definire i fabbisogni standard, per garantire i Livelli essenziali delle prestazioni a tutela dei diritti fondamentali di tutti i cittadini – concludono Baldino, Orrico, Scutellà, Tucci, Afflitto e Tavernise – specie in settori quali sanità, istruzione e mobilità, prevedendo, così, un fondo perequativo a copertura totale delle regioni più deboli. Se Calderoli non intende spaccare il Paese parta, dunque, dalle priorità del sud e abbandoni le mire secessioniste del suo partito. Il centrodestra ascolti l’appello dei sindaci».
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