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Prevenire e contrastare sfruttamento e caporalato in agricoltura avviando «un percorso etico» – VIDEO

Una “Carta dei valori” da condividere con il settore agricolo calabrese: il progetto “Resto in campo” presentato alla Progetto Sud

Pubblicato il: 20/01/2023 – 16:15
di Giorgio Curcio
Prevenire e contrastare sfruttamento e caporalato in agricoltura avviando «un percorso etico» – VIDEO

LAMEZIA TERME Quello dell’agricoltura, numeri alla mano, è uno dei settori cruciali per la Calabria, fondamentale per lo sviluppo della regione (anche in chiave futura) e che vede impiegata una forza lavoro considerevole rispetto ai dati occupazionali regionali. La storia recente ha però fatto intravedere tutte le fragilità del mondo agricolo calabrese (e non solo) legate, soprattutto, alle condizioni lavorative di chi è impiegato nei campi.

L’impiego e lo sfruttamento

Lo sfruttamento di migliaia di impiegati, per lo più migranti e senza diritti riconosciuti, è una delle piaghe sociali del nostro tempo e che riguarda da vicinissimo la Calabria. In questi anni le numerose operazioni di polizia giudiziaria hanno acceso i riflettori su fenomeno del caporalato sul quale si poggia, ancora in larga misura, il settore agricolo. È in questo scenario che le istituzioni, le forze di polizia, ma anche (e soprattutto) le associazioni del terziario negli anni, e attraverso numerose iniziative, hanno cercato non solo di accendere i riflettori su questa emergenza, ma hanno anche avviato percorsi concreti con progetti e idee per cercare di ribaltare un quadro tanto desolante quanto allarmante.

“Resto in campo”

A Lamezia Terme è stata presentata “Carta dei valori etici in agricoltura”, individuata grazie al progetto “Resto in campo” – Percorsi di Diritti per Migranti”, finanziato con FSE PON Inclusione 2014 -2020, attivo in Calabria grazie ad un partenariato regionale ampio di cui è capofila la Comunità Progetto Sud. Il progetto, attivo sulle tre piane calabresi di Sibari, Gioia Tauro e Lamezia Terme, estende l’attenzione anche a quelli che sono definiti “nuovi territori di sfruttamento”: la costa jonica reggina, quella catanzarese e altre aree come Crotone, Cutro, la Sila e la Valle del Crati. Obiettivo: innescare sistemi virtuosi e promuovere condizioni di regolarità lavorativa attraverso l’attuazione di servizi che favoriscano l’emersione, la presa incarico delle vittime e/o potenziali di sfruttamento e al loro inserimento/reinserimento socio lavorativo; attivare percorsi di accompagnamento e di riqualificazione che consentano l’acquisizione di competenze spendibili nel settore di riferimento per realizzare azioni di sistema interregionale mettendo in atto delle misure indirizzate all’integrazione socio lavorativa di persone migranti come prevenzione e contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato.

«Avviare un percorso etico»

«Il progetto “Resto in Campo” – ha spiegato al Corriere della Calabria Marina Galati, direttrice della Comunità Progetto Sud – è una delle azioni del Pon che mette insieme un sistema interregionale per cercare di coniugare, nell’ambito dell’agricoltura, da una parte i diritti delle persone migranti, e quindi sostenere le persone ad uscire fuori attraverso percorsi di emersione e di accompagnamento verso inserimenti socio-lavorativi e in particolare, oltre a questo, anche quello di coniugare dei processi di acquisizione di competenze, che possano in qualche modo riqualificare la persona migrante non vista più solo come la forza delle braccia, ma anche come una persona che può, attraverso anche percorsi di qualificazione, acquisire tutta una serie di competenze utili anche per l’agricoltura». «Dall’altra parte, però, il progetto mette anche in rilievo quanto sia importante lavorare anche con le aziende, le imprese in agricoltura, perché attraverso una interazione continua e costante, anche le aziende agricole possono acquisire quelle competenze per poter parlare di agricoltura etica, capace anche di sostenere e supportare la crescita nel mercato e di dare opportunità di lavoro alle persone, a partire anche da quelle che provengono da paesi terzi».

Certificazioni e protocolli: serve una strategia forte e unitaria

Alla tavola rotonda, poi, ha preso parte anche Maria Chiara Ferrarese, vicedirettrice di CSQA. «Come CSQA certificazioni ci occupiamo da tanti anni – ha detto al Corriere della Calabria – di tematiche legate alla certificazione dei temi della responsabilità sociale e della sostenibilità. Responsabilità sociale come strumento per raggiungere obiettivi di sostenibilità perché quando affrontiamo il tema dell’agricoltura, dell’etica in agricoltura, della gestione dei lavoratori, della corretta retribuzione dei lavoratori stessi e della conformità dei prodotti, vediamo che ci possono essere diverse soluzioni che la normazione volontaria offre». «La Certificazione offre strumenti di governance, come possono essere norme come la gestione dell’anticorruzione, piuttosto che la gestione delle tematiche ambientali o della sicurezza sui luoghi di lavoro. Ma ci sono anche tutta una serie di norme prettamente relative al sistema etico e altri strumenti che sono a disposizione e che pian pianino sono sempre più richiesti dai mercati nazionali e internazionali». «Ci sono poi una serie di protocolli spesso privati, che guardano anche al tema specifico della corretta remunerazione, un concetto di equa distribuzione del prezzo lungo la filiera». «Il tema fondamentale crediamo non sia quanti diversi standard ci sono e che possono essere di volta in volta certificati, ma soprattutto quale sia la strategia rispetto a questo tema da parte del magazzino, del commerciante che acquista, della cooperativa che raccoglie i produttori. E quanto più c’è una forma associativa, tanto maggiore per quella che è la nostra esperienza, è la garanzia di risultato. Bisogna però che ci sia una strategia forte e la pianificazione rispetto al raggiungimento di questo obiettivo».

«Ristabilire un percorso di legalità»

Quello dello sfruttamento è, tuttora, un problema atavico e che tutt’ora investe il settore dell’agricoltura, ma non solo. «Il fenomeno dello sfruttamento – ha spiegato Federica Pietramala, segretaria regionale Flai Cgil – è molto presente in tanti settori, e per sfruttamento non intendo solo i casi limite, perché ce ne sono tanti, li sappiamo e si cerca in qualche modo con le azioni sul territorio di debellarli e di dargli la giusta via. Però si parla di sfruttamento anche nelle piccole cose: il giusto salario, le giuste ore di lavoro lavorate e tutto ciò che è inserito nella legge 199 del 2016. Bisognerebbe partire dalla costituzione in tutti i territori della cabina di regia territoriale presso l’Inps e le parti datoriali, perché devono essere presenti perché sono poi quelle che all’interno delle aziende portano avanti delle idee, i sindacati e tutti gli organi preposti avviino un percorso per ristabilire la legalità in questo settore che ovviamente è un settore volano di sviluppo della nostra regione». (g.curcio@corrierecal.it)

(Foto CRI)

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