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L’intervento

Lombardo: «Occorre intercettare anche sui reati dell’indotto mafioso»

Il procuratore aggiunto di Reggio interviene a titolo personale in tema di intercettazioni: «Pensare prima ad innalzare il contrasto ai clan»

Pubblicato il: 22/01/2023 – 10:10
Lombardo: «Occorre intercettare anche sui reati dell’indotto mafioso»

REGGIO CALABRIA Bene il confronto, ma occorre prioritariamente pensare ad innalzare il meccanismo di contrasto alle mafie. E per fare questo occorre intercettare anche per altri reati dell’«indotto mafioso». È in sintesi il pensiero espresso a titolo personale dal procuratore aggiunto della Distrettuale antimafia di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo sul tema delle intercettazioni. Un pensiero espresso in un suo intervento sulle colonne del “Fatto Quotidiano”.
Secondo il magistrato reggino, «risulta ormai evidente che i fenomeni mafiosi evoluti siano paragonabili ad una enorme blockchain criminale – scrive. Le singole articolazioni delle grandi mafie, della ‘Ndrangheta in particolare, sono molto simili a mattoncini crittografati, collegati l’uno all’altro attraverso nodi intermedi, che connettono la testa dell’organizzazione non solo alla sua base, per coordinare le attività criminali di più ampio respiro, ma a ulteriori entità, non pienamente catalogabili, che concorrono a creare il cosiddetto indotto mafioso, in cui operano faccendieri, corrotti e corruttori, evasori ed elusori fiscali, in cui si pianificano ed eseguono le grandi operazioni di riciclaggio, interno ed internazionale».
«Di fronte a questo scenario, ormai confermato da decine di sentenze definitive – scrive Lombardo sul “Fatto” specificando che il suo è un intervento a titolo personale e non della Procura di Reggio Calabria – mi chiedo come possa limitarsi l’ammissibilità delle operazioni intercettazioni ai soli reati di mafia: catalogare le condotte mafiose oggi è particolarmente complesso, visto che, sempre più spesso, la mafia si manifesta in modo non immediatamente riconoscibile, avendo abbandonato da decenni le sue caratteristiche originarie, tanto nei territori di provenienza che nelle sue proiezioni delocalizzate, in Italia ed all’estero».
Per Lombardo, «ancor più dannoso è pensare di limitare l’uso delle tecniche di intercettazione più moderne ed evolute, come gli spyware o i trojan, o l’accesso remoto alle piattaforme crittografate».
«Se i grandi circuiti criminali, non necessariamente di tipo mafioso, investono in nuove tecnologie – spiega – non solo per comunicare, siamo chiamati non solo a fare altrettanto, ma a farlo rapidamente e sempre meglio: individuare e catalogare i fenomeni criminali tempestivamente, anticipandone le evoluzioni, è l’unico modo di rendere efficiente il sistema di contrasto».
«Ovviamente tutto questo va fatto – sottolinea il magistrato – nell’assoluto rispetto delle regole procedurali, anche in tema di privacy, che il legislatore ha fissato con grande rigore».  
«Regole – aggiunge Lombardo – che vanno stabilizzate per consentire, a medio e lungo termine, indagini e processi che consentano, da una parte, di distinguere la mafia da tutto ciò che è estraneo a quel mondo, perché non tutto è mafia, e dall’altra di accertare in tempi ragionevoli – necessariamente parametrati alla complessità dell’accertamento da svolgere – la mancanza di rilievo penale delle condotte. Solo facendo scelte di politica giudiziaria che durino nel tempo si otterrà, però, il risultato di dare piena attuazione ai principi costituzionali in tema di azione penale obbligatoria e di giusto processo».
Da qui la conclusione del procuratore aggiunto di Reggio, «ben venga il confronto aperto e la piena collaborazione istituzionale, ma è importante oggi pensare di più a quello che va fatto per contrastare le organizzazioni di tipo mafioso, ed i circuiti criminali che le affiancano e le sostengono, rispetto a quello che va cambiato».

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