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Sales: «Autonomia? Il Sud avrebbe solo da perderci. Soprattutto sulla sanità»

Il politologo ed ex sottosegretario al Tesoro: «La Calabria sotto ricatto dell’accordo politico siglato a Roma». E sui dem: «Evidente imbarazzo»

Pubblicato il: 23/01/2023 – 8:03
di Emiliano Morrone
Sales: «Autonomia? Il Sud avrebbe solo da perderci. Soprattutto sulla sanità»

LAMEZIA TERME Si chiude oggi, con l’intervista al politologo Isaia Sales, già sottosegretario di Stato al Tesoro nel primo governo presieduto da Romano Prodi, il dibattito politico sul rapporto tra l’autonomia differenziata e il Servizio sanitario calabrese avviato dal Corriere della Calabria. Nelle precedenti uscite di Corriere Suem avevamo sentito i parlamentari Anna Laura Orrico (M5S), Domenico Furgiuele (Lega), Nicola Irto (Pd) e Giovanni Arruzzolo (Forza Italia), e a seguire Orlandino Greco, leader del movimento Italia del Meridione.
A Sales abbiamo intanto chiesto se l’attuale legislazione concorrente sia un limite per la tutela della salute dei cittadini e, se lo fosse, per quali ragioni manca un compiuto dibattito parlamentare sul punto.
«Le potestà regionali – premette l’intervistato – dovrebbero concorrere, non determinare le condizioni di cittadinanza. Come si può immaginare, in un Paese già economicamente diviso, di sopportare ulteriori competenze regionali, quando quella sulla sanità ha dimostrato che nel giro di pochi anni, cioè dall’effettiva entrata in funzione delle Regioni, siamo arrivati addirittura a due anni e mezzo, perfino a quattro anni di differenza di durata della vita tra nord e sud del Paese? Come si possono ancora nutrire dubbi sul fatto che è stata la potestà differenziata tra le Regioni, in materia di sanità, a determinare tale situazione, oltre alle differenti condizioni economiche, culturali e quant’altro? Come si fa ad avere ancora dubbi, data l’esperienza di un’epidemia che ha dimostrato come l’assenza di un comando unico nella sanità ci abbia esposto a tantissimi rischi, che il Sud ha evitato soltanto perché inizialmente graziato dal nuovo coronavirus, non già perché più attrezzato?».

Ritiene che la classe politica abbia dimenticato i drammi causati dalla pandemia?
«Abbiamo esempi concreti che vanno oltre i gravissimi effetti della pandemia. La differenza di età di cui ho parlato è dovuta a un fatto innegabile: in alcune parti d’Italia non si riescono a fare degli screening di salute per evitare le malattie peggiori. Aggiungiamoci che l’inefficienza delle cure nel Sud ha prodotto un mercato a favore delle strutture del Centro-Nord. Aggiungiamoci, poi, un dato impressionante: l’85 per cento dei bambini con malattie gravi devono essere curati nel Nord e la vita delle loro famiglie ne viene sconvolta. Che cosa deve più accadere, per dire che lo Stato centrale deve riprendere alcune competenze fondamentali, senza le quali noi siamo alla mercé di sistemi regionali che ci rendono cittadini differenti dello stesso Paese? Con l’autonomia differenziata, lo dice la parola stessa, non saremo più cittadini uguali, ma saremo differenziati a seconda del luogo in cui andiamo a vivere. È nei fatti che il dibattito sul tema si deve affermare».

Sottolinea la necessità, riguardo alla concreta definizione dell’autonomia differenziata, di considerare i divari esistenti tra i Servizi sanitari delle Regioni?
«Guardi, uno sono delle competenze in settori che determinano la vita quotidiana delle persone, per esempio la sanità e l’istruzione. Altro è avere un decentramento di funzioni perché la periferia possa attrezzarsi meglio al fine di gestire alcune esigenze dei cittadini. Ma sulla sanità e sull’istruzione non ci possono essere diseguaglianze, mai, mai, mai. Nello specifico, io penso che il Sud avrebbe tutto da perdere da questa ulteriore cessione di potestà statuale: non avrebbe niente da guadagnare. Quindi, attenzione, stavolta siamo di fronte ad una separazione dolce, soft, ma sempre di questo si tratta. La Lega non ha mai rinunciato all’obiettivo delle sue piccole patrie, delle Regioni del Nord, e non ci rinuncerà mai. Chi invece ha ceduto, come alcuni esponenti della sinistra, a partire dal presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, ha messo in discussione uno dei princìpi cardini della sinistra, cioè che la giustizia sociale non si può rincorrere a livello regionale, ma deve essere una priorità nazionale».

Nella precedente legislatura erano state presentate diverse proposte di legge per centralizzare la legislazione in materia di sanità, poi rimaste congelate. Che cosa è cambiato, perché non se ne parla più?
«C’è un accordo che hanno raggiunto Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega, per quanto riguarda autonomia differenziata e presidenzialismo. Il centrodestra è in difficoltà. Lo è Forza Italia perché amministra alcune delle Regioni meridionali. Questa autonomia differenziata, lo sanno bene i presidenti della Calabria e della Sicilia, porrà ancora maggiori difficoltà nella gestione di competenze con risorse scarse. C’è poi il problema di Fratelli d’Italia, che ha pensato di mettere sullo stesso piano presidenzialismo e autonomia differenziata, che sono prospettive totalmente contrapposte. Quindi una Regione come la Calabria, in cui il peso di Forza Italia e di Fratelli d’Italia è consistente, soffre il peso di questi accordi a livello nazionale. Il Pd, poi, è dentro un cortocircuito, perché Bonaccini, che si candida oggi a guidare la segreteria nazionale, con i governi precedenti ha spinto, insieme ai suoi omologhi Massimiliano Fedriga e Luca Zaia, a varare l’autonomia differenziata. È evidente che nei dem c’è un forte imbarazzo politico. Continuo a restare stupito dell’impermeabilità politica alla lezione dell’emergenza Covid, la quale ha mostrato che cosa significhi non avere una sanità organizzata allo stesso livello sul piano nazionale. Adesso emerge una separazione netta tra lo stato delle cose e gli accordi politici presi dalle forze che ora governano il Paese. Ed è palese l’imbarazzo nel principale partito di opposizione, il Pd. Ecco perché si registra il silenzio della politica sull’opportunità di restituire allo Stato la potestà in materia sanitaria».

L’accelerazione sull’autonomia differenziata potrebbe intaccare anche gli equilibri relativi alla ripartizione del Fondo sanitario? Le regioni meridionali lamentano che il Fondo dovrebbe essere ripartito sulla base dei fabbisogni di salute, piuttosto che sul calcolo della popolazione pesata. Lei come la vede?
«È un vecchio errore l’aver consentito un’attribuzione delle risorse sulla base di quel criterio. A mio avviso, non basta la critica alla ripartizione dei fondi da parte dei presidenti delle Regioni: qui serve un’azione più radicale. Alcuni presidenti regionali dovrebbero ammettere che, se anche se non si facesse l’autonomia differenziata, nell’ambito sanitario ci sono competenze che devono tornare allo Stato; dovrebbero trovare il coraggio di dire che per dieci anni lo Stato deve riprendere le funzioni in materia sanitaria, in primo luogo per annullare le liste d’attesa. Così potrebbero nascere servizi per i pazienti oncologici che vanno presi in carico dagli specialisti. Così si potrebbero costruire grandi strutture per la cura delle malattie più delicate dei bambini. Inoltre, si potrebbero realizzare valide strutture territoriali. In breve, la sanità verrebbe riportata ad un livello di servizi uguali su tutto il territorio nazionale. Ecco, questo è quello che dovrebbero dire i presidenti delle Regioni meridionali».

E invece?
«Guardi, per loro la gestione della Sanità è una leva elettorale straordinaria. Perciò non si sbilanceranno mai. Questa è la contraddizione che viviamo. Proprio i presidenti delle Regioni meridionali dovrebbero rinunciare alla delega sulla Sanità a favore dello Stato. Ma dove vogliamo andare, finché abbiamo una differenza nei servizi così ampia, una differenziazione di risorse e spese sulla base di princìpi che danneggiano il Sud? L’unica novità che mi conforta è che per la prima volta abbiamo un movimento dei sindaci meridionali che contesta i divari e le ingiustizie. Riguardo all’autonomia differenziata, ci sono infatti iniziative apertamente ostili nelle università e nei centri di studi e di ricerca del Sud. Tuttavia, manca il sostegno delle classi dirigenti politiche meridionali, che barattano un po’ di potere in cambio di un disastro che nei prossimi anni avverrà nel Sud».

A proposito della classe dirigente politica del Sud, la rappresentanza parlamentare del Mezzogiorno le sembra silente?
«Presumo che stiano seguendo le indicazioni dei partiti nazionali. Nel centrodestra, come ho detto, esiste un patto su presidenzialismo e autonomia indifferenziata; nel centrosinistra vi è l’imbarazzo del Pd. Sarebbe auspicabile un’autonoma presa di posizione dei parlamentari meridionali, che io mi auguro, mi aspetto. Però immagino che nel centrodestra si sentano legati al vincolo di un patto elettorale e nel Pd a quell’ambiguità che sta strozzando la libera iniziativa che tutti ci dovremmo aspettare. Se con l’autonomia differenziata si prospettano difficoltà superiori a quelle attuali e tu non reagisci, c’è qualcosa che non va, c’è un masochismo meridionale che ha dell’incredibile».

Quindi, secondo lei, stante il quadro che ha ricostruito, la questione meridionale può ritenersi chiusa oppure può essere affrontata sul serio?
«La questione meridionale riguarda la giustizia sociale nel nostro Paese e la giustizia nei servizi. Credo che sia ampiamente aperta. Lei mi chiede se sia risolvibile, io le dico di sì. È una questione che ragionevolmente può essere risolta. Che cosa lo impedisce è chiaro: la classe dirigente meridionale che governa il Sud è subalterna alle scelte che ancora una volta operano le classi dirigenti del Nord e a quelle dei partiti, che in gran parte detengono il pacchetto di maggioranza. Questa è una fase nella quale è chiarissimo un aspetto: la posta in gioco è rappresentata dalle conseguenze cui andremo incontro con l’autonomia differenziata. In proposito non c’è un’adeguata reazione. Ora, o questa analisi è sbagliata, oppure c’è qualcosa che non va nella classe dirigente, subalterna al nordismo benché la Lega si sia indebolita. Nella seconda ipotesi, si tratta di una contraddizione impressionante».

A proposito di Nord, crede che l’impostazione del Pnrr, con riferimento alle misure previste per la sanità, favorisca le regioni settentrionali e lasci il Mezzogiorno, in particolare la Calabria, in una condizione di carenza di servizi essenziali?
«Riguardo al Pnrr, è stata posta una riserva di fondi per il Mezzogiorno. Dopo abbiamo visto come, andando alla verifica quotidiana, molti bandi non fossero in grado di garantire quel 40 per cento riservato al Sud. Alcuni bandi sono stati corretti in funzione di un maggiore peso che le amministrazioni del Centro-Nord hanno nella Conferenza Stato-Regioni o all’interno degli organismi delle autonomie locali. In linea di massima, tuttavia, non mi pare che il Pnrr sia tutto già predisposto per essere funzionale all’economia del Nord. Ci sono ancora degli spazi, ma il problema sono i tempi, che sembrano impedire un ragionevole utilizzo delle risorse per ripristinare maggiore uniformità di opportunità tra Nord e Sud, maggiore uniformità dei diritti di cittadinanza. Non si poteva affidare questo compito solo al Pnrr, ma credo che sia comunque positivo che il 40 per cento delle risorse sia stato previsto per il Sud. Però bisogna vigilare. Difatti, negli organismi che contano, la maggiore capacità amministrativa delle Regioni e dei Comuni del Centro-Nord riesce a condizionare anche i bandi e la messa a terra di questi finanziamenti».

E quindi?
«Il Piano nazionale di ripresa non è già allineato con gli orientamenti nordisti dell’economia e dei servizi del Paese. Ma in pratica potrebbe diventare uno strumento in linea con quegli orientamenti, se dovesse continuare l’andazzo attuale, cioè se il Sud continuasse a scambiare potere per una subalternità all’economia e ai centri di interesse del Nord». (redazione@corrierecal.it)

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