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l’inchiesta

Lo Yacht “parcheggiato” a Vibo e le società in mezza Europa. Caccia al denaro sporco della ‘ndrangheta

Come nasce l’inchiesta sul riciclaggio del clan Bonavota. Investigatori sulle tracce di Giovanni Barone e dell’Assocompari dal 2008

Pubblicato il: 25/01/2023 – 13:35
di Pablo Petrasso
Lo Yacht “parcheggiato” a Vibo e le società in mezza Europa. Caccia al denaro sporco della ‘ndrangheta

CATANZARO Gaetano Loschiavo e i suoi familiari abitano in un decrepito immobile di Sant’Onofrio. Sembra una casa abbandonata e in effetti lo è. La loro vera residenza si trova a Stefanaconi, in una palazzina che non esiste né per il Catasto né per l’Agenzia del Territorio di Vibo Valentia. Loschiavo, stando ad alcune segnalazioni delle forze dell’ordine, pare muoversi spesso a bordo di auto con targa ungherese. Tre controlli lo “registrano” su una Bmw X5, una Mini Cooper intestata a una società con sede a Budapest e una Bmw X6 in uso a Giovanni Barone. Barone e Loschiavo hanno molto in comune secondo i magistrati della Dda di Catanzaro: redditi sproporzionati rispetto al tenore di vita, presunti rapporti con il clan Bonavota e un’accusa – ovviamente tutte le ipotesi sono da provare – di riciclaggio internazionale. Sono i sospetti messi nero su bianco tre anni fa nell’inchiesta Rinascita Scott. “Assocompari” si chiama il nuovo filone che ha portato all’arresto di otto persone e a tre provvedimenti di interdizione arrivati alla fine di un’inchiesta che ha portato gli investigatori a spulciare i conti di società in mezza Europa.

Nelly e il gioco dell’oca

Le inchieste sulla ‘ndrangheta, da anni, non hanno nulla da invidiare ai grandi gialli finanziari. Si parte da un posto di blocco sulla statale 606 a Vibo Valentia e si arriva, seguendo il filo degli affari, in Ungheria, in Gran Bretagna, a Cipro. Nel caso delle cosche vibonesi, i punti di partenza sono diversi. Il “gioco dell’oca” inizia con un nome, anzi un nomignolo: Nelly. Gli investigatori lo trovano stampato sul cancello di una villa a Pizzo e sulla scocca di uno yacht battente bandiera olandese e inglese (il “Nelly Star”, appunto), attraccato al porto di Vibo Valentia. Due lampi di lusso – oggi sia la villa che lo yacht sono finiti sotto sequestro – che Giovanni Barone può permettersi nonostante una condizione economica, ipotesi di accusa, apparentemente ordinaria. La villa viene acquistata – raccontano i pm antimafia di Catanzaro negli atti di Rinascita Scott – «mediante il ricorso a provviste cospicue di denaro che non sembrerebbero derivare da un regolare accesso al credito». Costa 302mila euro, versati dalla moglie di Barone tramite assegni bancari e vaglia postali; sugli immobili «non risultano iscrizioni ipotecarie» come garanzia «per eventuali mutui concessi». Dunque, si deve «presumere» che la cifra fosse già pronta per essere investita. Una «circostanza che evidenzierebbe una palese sproporzione fra la provvista in esame e la capacità reddituale» del nucleo familiare di Barone, ipotesi da sottoporre ad approfondimenti investigativi.

Storia (internazionale) di uno yacht  

Quasi alla fine del pontile del molo numero 1 del porto di Vibo, invece, c’è il “Nelly Star”. I carabinieri lo scoprono quasi per caso l’11 aprile 2018. La targa ungherese della Bmw X6 di Barone spicca, nel parcheggio del porto, tra le tante “normali” automobili italiane. Quando i militari la notano, si inoltrano tra le banchine e trovano Barone, da solo a tavola, a bordo dello yacht di tipo “Azimut-Az 58-Vip Luxury”. Una settimana dopo la scena si ripete: i carabinieri ispezionano l’area e Barone è di nuovo lì, questa volta intento a lavorare al proprio personal computer. Anche i beni di lusso (forse più di altri oggetti) hanno una storia. Quella del “Nelly Star” conduce gli investigatori in giro per l’Europa. Lo yacht, ai suoi esordi, si chiamava “Marratxa”. È stato immatricolato nel Principato di Andorra e l’armatore è di nazionalità olandese, così come olandese è il porto d’attracco principale, quello della cittadina di Den Helder. L’assicurazione – con un premio annuo di circa 2.400 euro – è stata stipulata in Spagna. E la proprietà appartiene a una società di diritto ungherese, la “Limetta Home Kft”, la cui titolare è Eva Erzsebet Szilagy, nata a Budapest e raggiunta oggi da una misura interdittiva. Sarebbe Szilagy, secondo gli inquirenti, a pagare i 5mila euro annui necessari a garantire l’attracco del natante al molo. La “Limetta Home Kft” non è l’unico incrocio con Budapest che gli uomini della Dda troveranno nel corso delle loro indagini su Barone e Loschiavo. È soltanto il primo.

Da Londra a Budapest

Barone, invece, incrocia nell’ultimo decennio «cariche e partecipazioni in diverse società italiane ed estere». Ha interessi imprenditoriali che spaziano dalla produzione di idropitture a quella di alluminio e strutture metalliche. Non mancano finanziarie e sconfinamenti all’estero, in società registrate nel Regno Unito e in Ungheria. Nel caso della società britannica – di cui Barone risulta essere il direttore commerciale –, gli investigatori considerano «interessante» la “mission” dell’azienda, «ovvero l’acquisizione e il sostegno finanziario di aziende di costruzioni edili oppure immobiliari che versano in difficoltà economiche». La compagine ungherese invece, si occupa di commercio all’ingrosso di legname, materiali da costruzione e articoli igienico-sanitari. 

«Mani sulle aziende in crisi»

Gli ingredienti del “giallo finanziario” ci sono tutti. Nelle valutazioni degli inquirenti, però, si aggiunge uno spettro inquietante. Nel richiamare altre operazioni antimafia in cui emerge la figura del commercialista, l’accusa dei pm ne sottolinea «la capacità mostrata (…) di insinuarsi, attraverso società di diritto estero, all’interno delle compagini societarie di aziende che versano in difficoltà economica, ciò grazie alla promessa di ripianamento della situazione debitoria attraverso l’afflusso di capitali provenienti dalle citate società straniere». Barone avrebbe formalizzato «una serie di proposte di finanziamento nei confronti di imprenditori del Nord Italia che, in quel momento, incontravano difficoltà con l’accesso al credito attraverso i circuiti bancari convenzionali». 
È il quadro descritto dai pm antimafia più di tre anni fa, quando “Rinascita Scott-Assocompari” era un frammento in progress del maxi blitz. L’inchiesta internazionale di oggi focalizza l’attenzione investigativa sul modus operandi di Giovanni Barone, che «provvedeva, attraverso società straniere (prevalentemente svizzere, inglesi, cipriote e ungheresi) attivate ad hoc, a infiltrare società nazionali in grave difficoltà economica con la promessa di ripianarne le situazioni debitorie attraverso canali di investimento esteri». 

Barone “lo sbirro” e l’infitrazione dei clan nell’economia al Nord

Il “gioco dell’oca” comincia a prendere forma: per cercare i primi riscontri, gli inquirenti tornano indietro di qualche anno, e rileggono vecchie indagini in cui emergono i segnali di un “nuovo” meccanismo di infiltrazione della ‘ndrangheta nell’economia legale. Si chiamano “Tenacia”, “Tramonto”, “Carminius” e portano a luoghi lontani dalla Calabria in cui il clan Bonavota ha messo radici da anni. Luoghi lontani e dotati di un’economia più florida della terra di provenienza della cosca. Il primo riscontro della presenza di Barone risale addirittura al 2008 (inchiesta “Tenacia”), quando il ragioniere – che si è sempre professato innocente e ha depositato una corposa memoria difensiva quando figurava come indagato nel primo blitz “Rinascita” – viene «indicato come stretto collaboratore di Andrea Pavone, definito un “finanziere prestato alla ‘ndrangheta”». Per i magistrati, entrambi erano «incaricati di gestire le aziende acquisite in Lombardia dalla ‘ndrangheta». Barone, che verrà condannato in primo grado per bancarotta fraudolenta sia dal Tribunale di Lecco che da quello di Milano, è soltanto un professionista chiacchierato. Lo chiamano “lo sbirro” per i suoi trascorsi come ausiliario dei carabinieri. Quindici anni dopo i carabinieri hanno bussato alla sua porta per notificargli un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. (p.petrasso@corrierecal.it)

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