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operazione “Terramala”

Crescenti: «Rapinatori vicini alla ‘ndrangheta ma non ci sono prove tecniche del coinvolgimento dei clan»

Il procuratore di Palmi racconta l’inchiesta sulla banda dei portavalori. «Limitare le intercettazioni? È un passo indietro di anni»

Pubblicato il: 27/01/2023 – 12:14
di Mariateresa Ripolo
Crescenti: «Rapinatori vicini alla ‘ndrangheta ma non ci sono prove tecniche del coinvolgimento dei clan»

REGGIO CALABRIA «Se ci fosse stato il coinvolgimento accertato della criminalità organizzata avremmo trasmesso gli atti alla Dda. Su una rapina di oltre 600mila euro io credo ci possa essere un coinvolgimento, ma non ci sono le prove tecniche». Così il procuratore di Palmi Emanuele Crescenti sull’operazione “Terramala” condotta dai carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria, e che ha portato questa mattina all’arresto di 7 persone ritenute responsabili, a vario titolo, di diversi reati in materia di armi e ordigni esplosivi, lesioni personali aggravate, danneggiamento, furto e ricettazione, e rapina. Al centro delle indagini l’assalto al furgone portavalori della ditta SicurTransport avvenuto nel maggio 2019 tra i Comuni di Melicuccà e San Procopio. Presenti in conferenza stampa anche il maggiore Luca Ghiselli, comandante della Compagnia di Palmi, il tenente colonnello Gianluca Migliozzi, comandante del Gruppo carabinieri di Gioia Tauro e il colonnello Marco Guerrini, comandante provinciale dei carabinieri di Reggio Calabria.

Alberi abbattuti per sbarrare la strada e l’assalto con i kalashnikov

Un’azione avvenuta tramite modalità paramilitari, tipiche di una imboscata, dietro precisa pianificazione. Secondo quanto emerso dalle indagini, il gruppo sgominato si sarebbe mosso secondo uno schema ben preciso e con compiti ben suddivisi, utilizzando pistole e kalashnikov per sottrarre un bottino di 627mila euro. «Un vero e proprio assalto», ha spiegato il procuratore di Palmi, avvenuto anche attraverso l’abbattimento di due alberi, uno a nord e l’altro a sud, sulla strada tra Melicuccà e San Procopio per sbarrare il tragitto al mezzo che trasportava il denaro e che aveva iniziato la sua corsa da Reggio Calabria.

La vicinanza ai clan e il ritrovamento di pizzini

«Nessun coinvolgimento accertato con la criminalità organizzata», dunque, ma secondo gli accertamenti effettuati – come spiegato dal procuratore di Palmi – alcuni componenti della banda di rapinatori sarebbero legati a soggetti vicini ai clan. Nel corso delle perquisizioni effettuate, inoltre, sono emersi formule e riti riconducibili ad affiliazione ‘ndranghetista, trovati in possesso degli indagati, così come “pizzini” relativi a somme di denaro per un totale di circa 90mila euro, corrispondenti, secondo l’ipotesi investigativa formulata, alla quota pro capite della spartizione del bottino dell’avvenuta rapina.

«Emerso un corollario di ipotesi criminose»

Nel corso delle indagini, avvenute anche tramite l’utilizzo delle intercettazioni, sarebbe emerso «un corollario di ipotesi criminose». I militari sono inoltre riusciti a reperire e sequestrare, oltre alla pistola della guardia giurata coinvolta nella rapina di maggio 2019, ritrovata con matricola punzonata, diverse armi, munizioni e sostanze stupefacenti, tra cui, un fucile calibro 12, una cartucciera da caccia, svariate munizioni di diverso calibro, 2 kg circa di sostanza stupefacente, presumibilmente marijuana, autovetture e macchinari agricoli rubati e verosimilmente utilizzati per la realizzazione del predetto disegno criminale.

Crescenti: «Senza intercettazioni si torna all’epoca delle carrozze»

Il procuratore di Palmi si è anche soffermato su uno dei temi che catalizza il dibattito sulla giustizia, quello delle intercettazioni. «In un’epoca informatica – ha detto – in cui tutti quanti siamo attaccati e collegati col mondo in videochiamata e in contatto mediatico, cercare di bloccare quello che è il principale strumento di indagine, le intercettazioni, significa fare un passo indietro di anni. Si tratterebbe di tornare all’epoca delle carrozze». Anche in questa indagine, ha spiegato Crescenti, «è stata fatta un’attività di intercettazione che ha consentito di risalire e verificare quelli che erano i punti nodali dell’assalto».
«Qui dobbiamo essere chiari – ha aggiunto il magistrato – e stiamo parlando al di fuori di quello che è l’oggetto delle indagini di oggi. Le investigazioni di polizia giudiziaria che lavorano su reati e, quindi, su condotte criminali sono di per sé una violazione della privacy. Il maresciallo che va dietro e ascolta quello che due indagati si dicono al bar, viola la privacy. Solo che il maresciallo che va dietro e che ascolta, può sbagliare o può non sentire mentre attraverso le captazioni informatiche noi riusciamo ad avere una contezza. E questo spesso è fonte probatoria a favore dell’accusa ma moltissime volte è fonte di riscontro negativo. Cioè ci consente di dire che abbiamo sbagliato e che quella persona non c’entrava niente. Il maresciallo che ascolta e che torna indietro all’epoca delle carrozze potrebbe sbagliare e andare contro la persona che viene indiziata e che invece dovrebbe essere considerata innocente».
«Si parla delle intercettazioni per gettare via il bambino con tutta l’acqua sporca – conclude il procuratore Crescenti – quando bisognerebbe concentrarsi sull’utilizzazione di quelle che non sono utili alle indagini. Quello è il problema grosso». (redazione@corrierecal.it)

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