LAMEZIA TERME «Mi sono lasciato andare sul cuscino, mentre il prete ungeva la fronte. Ho provato a sbattere le palpebre, non distinguevo più bene le voci né i volti. La sola frase che ho colto con chiarezza era anche l’unica che m’interessasse, – non passerà la notte -. È difficile spiegare la gioia che ho provato. Non ci sarebbe stata più un’altra notte».
Poche righe che, però, sono sufficienti a delineare l’intensità narrativa di “Malapace”, edito da Miraggi, l’ultimo romanzo di Francesca Veltri, scrittrice e docente universitaria all’Unical. La storia inizia nell’ottobre del 1944, in un campo di prigionia alleato dove è detenuto Francoise, con un passato nelle file del Partito Socialista, poi a fianco dei pacifisti per finire al collaborazionismo con il regime filo-nazista di Vichy. A Camp de Carrères arriva Antoine, suo amico di infanzia e fascista convinto, che non rinnega i suoi trascorsi di torturatore assassino.
Inizia un confronto-scontro tra i due che costringe Francoise a fare i conti con i suoi demoni ed a ripercorrere le tappe di una vita in cui riemergono le origini cattoliche e altoborghesi della famiglia, le scelte politiche e gli incontri con Martine e Jean-Pierre, figure tragiche e potenti della sua esistenza.
Iniziano quindi a delinearsi i temi fondamentali del racconto a partire da quello centrale della pace: «È una delle questioni che ha caratterizzato quegli anni e che ha visto su fronti contrapposti anche persone che provenivano dalla stessa estrazione politica». Il dibattito ha prodotto grandi lacerazioni tra «chi pensava che la pace dovesse essere ottenuta ad ogni costo, anche attraverso accordi con la Germania di Hitler, e quanti vedevano in lui il male assoluto. Uno scontro che travolgerà storie personali, vite e percorsi politici».
E non è il solo terreno di confronto. I protagonisti dei Malapace si troveranno anche ad affrontare il dramma del rapporto con l’idea comunista che, da un lato rappresenta una speranza di riscatto per milioni di persone rispetto alle gravi ingiustizie sociali dell’epoca, dall’altro finisce per produrre regimi dittatoriali in grado di mortificare quei principi di libertà che avrebbero dovuto incarnare. Tormenti interiori che pervadono Martine, Jean-Pierre e lo stesso Francoise alle prese con un vero e proprio supplizio interiore provocato dalle scelte che lo porteranno ad un destino politico mai pensato o immaginato.
Scelte dettate dal «tentativo di ottenere una disperata approvazione degli altri e dal bisogno di sentirsi amato», con il fallimentare risultato finale di una completa «solitudine, la maledizione peggiore per lui, ancora più della prigionia stessa».
Dopo “Edipo a Berlino”, Francesca Veltri si supera con un libro capace di una straordinaria narrazione lirica attraverso la quale pone temi ancora irrisolti e quanto mai attuali. La tragedia che accompagna la vita di molti protagonisti ci obbliga a fare i conti con noi stessi e con un passato che non può e non deve essere dimenticato.
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