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La Locride che frana. Tra Platì e Natile di Careri, dove il dissesto idrogeologico sta inghiottendo interi territori – VIDEO

In un’area considerata al livello più alto di rischio idrogeologico, dove il cemento sembra ridursi in briciole, non bastano gli interventi «tampone»

Pubblicato il: 01/02/2023 – 17:22
di Mariateresa Ripolo
La Locride che frana. Tra Platì e Natile di Careri, dove il dissesto idrogeologico sta inghiottendo interi territori – VIDEO

REGGIO CALABRIA Su alcuni edifici le crepe sono così profonde da averne completamente compromesso la stabilità, mentre per strada pezzi interi vengono giù a causa delle infiltrazioni d’acqua e le frane si estendono per metri e metri. Non bastano le reti di contenimento. Non bastano gli interventi «tampone». Apparentemente nulla riesce a fermare il cemento che sembra ridursi in briciole, la terra e i detriti che continuano a scendere dalla montagna. È come mettere un cerotto su una ferita profondissima. Una situazione catastrofica che colpisce le aree interne della Locride da decenni e che è destinata solo a peggiorare. Nei territori aspromontani tra Platì e Natile di Careri, un’area considerata al livello più alto di rischio idrogeologico, la situazione è così grave da rendere anche una semplice pioggia un motivo di preoccupazione, mentre già alcune famiglie sono state costrette a lasciare le proprie abitazioni.

A Natile di Careri, il paese che frana

«Cerchiamo di vivere alla giornata, nella speranza che ci pensi un po’ il Padreterno e forse anche un po’ i nostri governanti». Dice di non essere ancora riuscito a «ottenere nulla, sebbene siano state fatte le richieste, perché le esigenze ci sono». Il sindaco di Careri Giuseppe Pipicella ci incontra per strada mentre è di ritorno da un sopralluogo effettuato a Natile Vecchio, la porzione di paese «su cui – spiega il primo cittadino – vige un decreto ministeriale di trasferimento totale, mentre di fatto ci sono delle persone che ancora ci abitano. È dal 1951 che stiamo lottando, adesso ho ripreso la pratica nella speranza di arrivare a una conclusione», afferma Pipicella. A Natile di Careri sono diverse le famiglie che sono state costrette a lasciare la propria casa.

«Non è con il cemento armato che si fermano le frane», spiega Arturo Rocca, presidente dell’Osservatorio ambientale “Diritto per la Vita”, mentre illustra gli interventi effettuati dalla provincia per cercare di bloccare la frana che ha colpito il territorio.

Edifici sempre più grandi su un terreno sempre più fragile

È altissimo, in relazione agli abitanti, il numero di palazzi a più piani che si incontrano per strada, e questo, come spiega anche il presidente dell’Osservatorio ambientale, rappresenta un grande fattore di rischio. «La storia geologica della Calabria – spiega Rocca – ci porta ad immaginare che il nostro è tutto un territorio che piano piano si scioglie e finisce in mare. L’uomo può intervenire frenando solo leggermente questo processo naturale. La nostra montagna è formata da rocce metamorfiche che si sciolgono con agenti atmosferici. I vecchi paesi – afferma – erano fatti con costruzioni non troppo pesanti e che si inserivano perfettamente nei territori su falde di territorio che lentamente scivolano verso il mare. Non bisogna fare opere sproporzionate rispetto all’ambiente in cui sono inserite».

A Platì, dove si interrompe la Bovalino-Bagnara

Proseguiamo il nostro viaggio nelle aree interne della Locride per arrivare a Platì, lì dove si interrompe una delle opere più discusse di sempre, la strada Bovalino-Bagnara, l’arteria trasversale che avrebbe dovuto collegare il territorio con la parte tirrenica. «È qui che sarebbe dovuta continuare con una galleria che per oltre 6 chilometri avrebbe dovuto attraversare l’Aspromonte. La frana che nel 2011 ha colpito il territorio di Natile ha fatto sì che i lavori si fermassero», racconta Arturo Rocca. Se da una parte l’opera incontra il favore di alcuni sindaci, compreso quello di Platì Rosario Sergi, che recentemente ne hanno chiesto nuovamente il riavvio dei lavori, dall’altro lato c’è chi ne sottolinea gli aspetti negativi. «Si tratta di una strada costruita su un territorio che è a rischio frana R4, ossia il più alto, e che va a deturpare una zona montana che andrebbe salvaguardata», sostiene Rocca.

Da 50 anni il disastro della Sp2

L’ultima tappa (anche perché è difficile andare oltre) è un’altra strada di Platì, quella che originariamente era la Ss112, oggi Sp2 e nelle competenze della Città Metropolitana. Un’arteria colpita da una violenta alluvione e su cui vige un’ordinanza di chiusura da circa cinquant’anni. Quindici chilometri di strada per la quale, afferma Sergi, servirebbe un serio intervento per la messa in sicurezza. «Circa vent’anni fa sono iniziati dei lavori, ma non sono stati completati. Attualmente – spiega il sindaco di Platì – siamo riusciti a far sì che rientrasse nelle competenze di Anas per quanto riguarda la manutenzione ordinaria e sulla parte a valle la strada è migliorata molto. A monte purtroppo c’è un vero e proprio disastro».

Dopo decine di metri di frane e di manto stradale completamente dissestato, si arriva al punto più pericoloso, sostenuto soltanto da una impalcatura traballante, frutto di interventi passati. «Molto spesso gli agricoltori, a mani nude, riescono ad aprire un varco per poter passare e andare ad accudire gli allevamenti che ci sono a monte di questa strada», racconta Sergi, mentre vediamo percorrere il tratto da doversi mezzi. «Platì – afferma – è vocata alla montagna. Questa strada rappresenta la vita per il nostro paese, e una popolazione che vede questo abbandono vede anche uno Stato lontano da quelli che sono i bisogni reali». (redazione@corrierecal.it)

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