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La minaccia della ‘ndrangheta in Lombardia: qui i clan resistono, si espandono e «costruiscono le loro fortune» – VIDEO

I dati dell’ultimo rapporto Cross 2022. Dalla Chiesa: «Usano la democrazia per l’eversione della Costituzione»

Pubblicato il: 05/02/2023 – 7:15
di Giorgio Curcio
La minaccia della ‘ndrangheta in Lombardia: qui i clan resistono, si espandono e «costruiscono le loro fortune» – VIDEO

MILANO Una notizia passata quasi in secondo piano, eppure è di straordinaria rilevanza e aiuta a comprendere meglio quello che è un fenomeno sempre più preoccupante. L’ultimo studio di Cross, l’Osservatorio sulla criminalità organizzata dell’Università degli Studi di Milano, realizzato in collaborazione con Cgil Lombardia e presentato dal docente, Nando Dalla Chiesa, racconta di una Lombardia seconda in Italia per presenza e pervasività della ‘ndrangheta. A certificarlo ci sono i numeri, i casi registrati, ma anche le recenti operazioni contro quella criminalità organizzata che, nonostante tutto, conserva comunque le radici in Calabria, nella terra d’origine, ma è nella regione più ricca del Paese che ha deciso di fare gli affari migliori, quelli più redditizi.

I dati del 2022

Quanto siano penetrate le ‘ndrine in Lombardia lo dimostra la mappa elaborata dall’Osservatorio che mette in evidenza tutte le differenze esistenti tra le province del Nord, compresa l’Emilia-Romagna, in termini di densità e di presenza mafiosa. Il punteggio indicato è da 1 a 5, dove “5” è il punteggio che indica la quasi assenza di un elevato rischio mafioso. In un primo studio la Lombardia – sulla base di metodologie complesse – aveva due province sulle quattro di tutta l’Italia settentrionale che avevano un punteggio “1” ed erano Milano e Monza Brianza; “2” era stato assegnato invece a Como, Lecco, Varese e Pavia. Punteggi rivisti però in seguito ad un supplemento di lavoro fatto per la Regione Lombardia. A Milano e Monza Brianza si è aggregata anche la provincia di Como, mentre solo per pochissimo non sono state incluse anche quelle di Varese e Lecco. E poi c’è una crescita interessante di presenza nella zona sudorientale della Lombardia, tra Cremona e Mantova, e un iniziale rischio che si è manifestato nella provincia di Sondrio, passata dal punteggio “5” a “4”. «È questa mappa – spiega Nando Dalla Chiesa nel suo intervento – che mostra il livello della presenza, c’è soltanto una provincia che ha un livello “4”, quella di quella di Sondrio, e ce ne sono tre che hanno un livello “1”, due delle quali si è discusso a lungo tra me e i miei collaboratori se assegnare il punteggio “1”».  Anche perché, come dimostra il report, c’è ancora un distacco enorme tra la ricchezza prodotta in Lombardia e quella prodotta da altre regioni, anche quelle considerate molto benestanti come il Piemonte, l’Emilia-Romagna, il Veneto. Insomma, la regione più ricca che è contemporaneamente la seconda regione di ‘ndrangheta d’Italia.

«Resistono ancora tutti i locali di ‘ndrangheta»

È la seconda regione di ‘ndrangheta d’Italia, qui è la loro casa: ne hanno una dove sono nati e ne hanno una dove stanno vivendo e dove stanno costruendo le loro fortune in continua espansione, nonostante il lavoro enorme fatto dai magistrati e delle forze dell’ordine. «Ma – spiega Dalla Chiesa – in nessun caso come qui vale il termine abusato di resilienza». L’esempio è quello del maxiblitz “Crimine infinito” del 2010 nella quale sembrò che alcuni locali di ‘ndrangheta fossero usciti dal monitor lombardo, forse perché non c’erano sufficienti radici in grado di consentire alle organizzazioni di reggere l’urto della magistratura. Quattro anni più tardi, invece, si scoprì che questi stessi locali di ‘ndrangheta erano ancora vivi e vegeti, e continuavano operare come prima. «In anni d’intervento della magistratura – ha detto il docente – non se n’è chiuso uno di quei locali di ‘ndrangheta, resistono tutti. Alcuni di questi hanno perfino ridotto la loro presenza sul mercato degli stupefacenti, cosa che a me sembrava incredibile all’inizio perché il traffico di stupefacenti espone i membri di quei locali e gli esponenti di ‘ndrangheta più in vista ad una serie di rischi di reputazione pubblica ed espone pericolosamente i politici e gli imprenditori che abbiano dei rapporti con gli uomini dell’ndrangheta che non possono essere trafficanti di droga».  

L’accumulazione e l’economia legale

Una parte importante, dunque, del loro fatturato secondo lo studio, deriva da un’attività formalmente legale. Il processo di accumulazione è fatto di altre attività che sono formalmente legali, perfino le false fatturazioni. Il traffico di droga a livello di operatività quotidiana è gestito, invece, da organizzazioni di rango minore ma, una parte del mercato di livello alto, il mercato all’ingrosso, è gestito da organizzazioni criminali che non sono la ‘ndrangheta. Perché nessuna organizzazione è in grado di soddisfare da sola la domanda di droga di Milano ma c’è competizione senza che si scateni la guerra. Il report, poi, si concentra sui modelli di distribuzione delle attività legali nelle varie aree geografiche. Le ‘ndrine in Lombardia, infatti, non svolgono le stesse attività “legali” in tutte le aree geografiche e nello stesso modo, con particolare riferimento al turismo. Una vocazione già emersa chiaramente che riguarda in particolare il Garda e quella parte della provincia di Brescia dove si vedono concentrarsi più organizzazioni, «è il luogo della Lombardia in cui arrivano tutte le organizzazioni criminali». Un grande fattore di attrazione, dunque, che fa leva sulle vocazioni turistico e alberghiere con tutto l’indotto dell’industria del divertimento. In alcuni territori c’è la vocazione edilizia, ancora molto forte, in altri territori o in altre aree c’è la vocazione verso la sanità. «Cioè ci sono vocazioni criminali – spiega Dalla Chiesa – che si presentano per una serie di circostanze di congiunture in modo molto nitido e che a noi sta individuare».  

Le forme di omertà particolari

In merito poi al peso della ‘ndrangheta sulla dimensione pubblica nello sviluppo del fatturato mafioso, bisogna considerare i soldi del Pnrr e quanto di questi fondi arrivano (e arriveranno) alle organizzazioni mafiose, complice anche l’assenza e l’astensione del soggetto pubblico e della sua incapacità di intervenire su cose di cui è a conoscenza. Secondo Dalla Chiesa si può capire benissimo chi hai davanti ma a volte «non hai gli strumenti per capirlo fino in fondo, altre volte fai finta di non saperlo». Il pubblico, dunque, può fornire il proprio aiuto non soltanto fornendo risorse finanziarie, ma anche accettando nei lavori pubblici le organizzazioni mafiose, in un ruolo non attivo, in un ruolo di astensione. È altrettanto importante studiare gli schemi e le culture della convenienza, come misurano la loro convenienza, gli imprenditori, i professionisti. «Noi abbiamo fatto una ricerca approfondita su quello che chiamo il “Quadrilatero Padano”, e cioè Mantova, Cremona, Piacenza e Reggio Emilia e vi assicuro che i risultati delle interviste sono sconvolgenti dal punto di vista della identità di questi schemi di convenienza che arrivano a presentare delle forme di omertà particolari, cioè imprenditori che non solo non vogliono che venga virgolettato ciò che stanno dicendo, non vogliono neanche che si sappia che sono stati intervistati, ed è difficile fare una ricerca in questo modo e confidiamo con l’aiuto del sindacato di riuscire ad arrivare dove certo, come università, con i rapporti con le forze dell’ordine, con la magistratura riusciamo a entrare, ma qui si entra nelle pieghe del modo di pensare».  

L’effetto scoraggiamento delle imprese

A proposito del settore imprenditoriale, lo studio rivela un importante effetto di sostituzione delle imprese locali con imprese provenienti da paesi della Calabria ad alta densità mafiosa, sono state sostituite le imprese locali, a causa essenzialmente del cosiddetto “effetto di scoraggiamento”, prodotto dalla presenza di un competitore che ha più strumenti di altri, ha dalla sua capitali che non deve pagare, la capacità di intimidazione e anche una protezione politica più efficiente di quella che può garantirsi il normale imprenditore. Perché il normale imprenditore non porta voti, ma l’imprenditore mafioso sì. «La partita è proprio questa ed è legata al numero di imprese locali che escono dal mercato per effetto della presenza mafiosa, e quante imprese escono dal mercato pulito, qual è il grado di inquinamento dell’economia lombarda che sembra non essere alto ma, ogni volta che c’è un’inchiesta in profondità della magistratura, si scoprono imprenditori che fanno finta di non essersi accorti degli interlocutori che avevano davanti e ai quali affidavano i servizi che esternalizzavano». Le ‘ndrine in Lombardia sanno tutto: se c’è un appalto, anche quello minore o per una manutenzione di una scuola, lo vengono a sapere perché sono ramificate. «Vengono a sapere anche quali saranno le persone che giudicheranno su quell’appalto – spiega Nando Dalla Chiesa – hanno un vizio che noi non abbiamo: ci studiano. Ci studiano attentamente. La realtà che è di fronte a loro viene studiata, non viene immaginata, non viene dipinta per luoghi comuni».

Zona nera e zona grigia

Dalla Chiesa, nel suo intervento, si chiede: ha ancora un senso parlare di “zona grigia”? «Non è che per caso ci stiamo abituando a definire “zona nera” soltanto quella che è tecnicamente mafiosa? Ma se uno commette dei crimini, dei reati sistematicamente magari sapendo che è in aiuto a un’organizzazione mafiosa, perché deve essere zona grigia? Non è una zona che non sta né di qua né di là. Ma se commette dei crimini è zona nera, o no?». «Dobbiamo avere il coraggio di dire che allora questa zona nera è più ampia di quello che pensiamo, perché non è soltanto Papalia o Matteo Messina Denaro che fanno la zona nera, la fanno tutti coloro che commettono dei crimini». «La “zona grigia” è di quelli che sono indifferenti ai crimini, è un’altra cosa, è di coloro che non si danno da fare molto per bonificare l’area in cui stanno lavorando, che non si fanno carico di segnalare le istituzioni, che non si fanno carico di rifiutare nei processi educativi certi comportamenti. Chi compie i crimini sistematicamente è zona nera, e c’è una zona nera che è fatta di mafia e di criminalità economica».

La “resistenza”

Altro punto emerso dal report è la capacità di resistenza, analizzando il rapporto tra mafia ed economia e dove i clan non sono riusciti a passare e per quale ragione. E qui scatta l’esempio di Expo 2015. In quel caso ci sono state delle ragioni che hanno ridotto sensibilmente, rispetto alle attese dell’ndrangheta e di Cosa Nostra, le loro capacità di profitto. Una serie di dispositivi che sono stati inseriti, anche attraverso il metodo delle interdittive prefettizie, circa 80, su 65 aziende. «Sono state modalità di incidenza alte – spiega Dalla Chiesa – ma soprattutto era la città che era complessivamente preoccupata che Expo finisse nelle mani dell’ndrangheta e la risposta fu collettiva che andò dal nuovo prefetto alla polizia locale, dai giornali alle scuole. Non fu trattata come una vicenda di ordine pubblico o di confronto tra organi repressivi e organizzazione criminale». L’analisi si spinge oltre, cercando di approfondire i cambiamenti importanti dell’economia lombarda: edilizia, industria del divertimento, movimento terra, bar e Discoteche sono tutte attività che non richiedono un’alta intensità tecnologica ma si possono aprire con uno stop di conoscenze molto modesto, un’economia modesta che ha ricchezza, ma non è competitiva e si sta allargando. «È l’industria del divertimento alla portata di tutti e, ancora di più, alla portata di coloro che hanno da spendere capitali gratuiti e che possono disporre in una capacità di intimidazione e di corruzione alta». E nel periodo più nero causato dalla pandemia da Covid-19 il problema non è stato tanto l’usura quanto il cambio di proprietà, di gente che non ce la faceva più e, di fronte alle prospettive che venivano offerte, ha scelto a un certo punto, magari anche per età, di vendere al miglior a offerente e senza problemi.

Il lavoro e il massimo ribasso

Imprese, politica, ma soprattutto appalti. C’è un punto toccato spesso ovvero quello del massimo ribasso attraverso il quale le imprese illegali foraggiate dalla ‘ndrangheta riescono a passare. Sembra una misura equa, neutrale, che protegge tutti dai favoritismi, ma troppo spesso non è così. «Si abbassano i costi, si peggiora la qualità del lavoro – spiega Dalla Chiesa – si peggiorano le condizioni di vita del lavoratore e vengono legittimate dal pubblico con il falso mito della neutralità e della correttezza formale, un mondo che è zeppo di ingiustizia e di crimine. La questione del massimo ribasso va affrontata, so quali sono le obiezioni, le conosco tutte, ma va affrontata non accontentandosi delle obiezioni».  Strettamente connesso al massimo ribasso c’è poi il tema “esplosivo” delle cooperative e dei consorzi. Qui il report punta a delle norme sulle quali bisogna intervenire ma non è possibile perché poi le organizzazioni mafiose riescono a trasformare ciò che è frutto o strumento di democrazia in uno strumento del loro rafforzamento. «Passano sempre attraverso cooperative strettamente legate, fra l’altro, proprio al massimo ribasso. Le cosche hanno usato sempre tutto, tutto quello che è di democrazia, il voto, il decentramento regionale, il garantismo, tutto ciò che è democrazia lo usano per un progetto di prepotenza e di eversione della Costituzione. Per questo è necessario affrontare questo problema con tutta la serietà necessaria prendendo spunto dalle informazioni che abbiamo». (g.curcio@corrierecal.it)

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