TORINO Due anni di reclusione è la condanna inflitta dal Tribunale di Torino a Simone Caminada, assistente e compagno di Gianni Vattimo, processato per circonvenzione di incapace ai danni del filosofo. Secondo l’accusa avrebbe approfittato delle fragilità del professore per interessi personali ed economici. Lo stesso Vattimo – che ha forti legami con la Calabria: suo padre era originario di Cetraro, il filosofo invece è stato candidato a sindaco di San Giovanni in Fiore – ha sempre detto di non essere mai stato raggirato da Caminada.
A Caminada sono state concesse le attenuanti generiche. Il tribunale, però, contrariamente alla prassi in uso dopo l’entrata in vigore della riforma Cartaria, al termine della lettura del dispositivo non lo ha informato sulla possibilità di ricorrere a pene sostitutive della detenzione perché – è stato spiegato – «non vi sono i presupposti». Le ragioni saranno esposte nelle motivazioni della sentenza, che verranno depositate fra tre mesi.
«Gianni non è qui solo perché c’è un guasto all’ascensore. Ma credo che quando gli parlerò, non appena sarò tornato a casa, si limiterà a un’alzata di spalle. Non è una notizia che sconvolge la nostra quotidianità». Così Simone Caminada commenta la sentenza con cui il Tribunale di Torino gli ha inflitto due anni di reclusione per circonvenzione di incapace ai danni del filosofo Gianni Vattimo, di cui è assistente e compagno. Camilada ha sempre respinto le accuse e lo stesso attimo ha affermato di non essersi mai sentito raggirato. «Non penso – ha aggiunto Caminada – che si tratti di discriminazione. Diciamo piuttosto che è stata falsata la verità». Alla domanda se si sia mai pentito di qualcosa, l’uomo ha risposto con una battuta: «Ci siamo pentiti quando a Roma, in occasione dell’80/o compleanno di Gianni, da un monastero ci hanno detto “se volete siete nostri ospiti” e noi non abbiamo approfittato».
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