CATANZARO Il Tribunale del Riesame di Catanzaro – Mariarosaria Migliarino presidente, Andrea Odierno e Rita Bosco a latere – ha accolto l’appello presentato dai difensori di Giancarlo Pittelli, gli avvocati Salvatore Staiano e Guido Contestabile, e ha annullato il provvedimento del 19 dicembre 2022 col quale il Tribunale di Vibo Valentia disponeva l’obbligo di dimora per l’imputato, con l’accusa di concorso esterno, di Rinascita Scott in luogo degli arresti domiciliari. Con questa nuova ordinanza viene annullato anche l’obbligo di dimora. L’avvocato ed ex senatore Pittelli resta però ai domiciliari in seguito a un altro procedimento in cui è imputato: Malapigna, istruito contro la cosca Piromalli dalla Dda di Reggio Calabria, dove Pittelli è imputato sempre con l’accusa di concorso esterno.
I giudici di Catanzaro sottolineano, come aveva già fatto la Cassazione, «che il nucleo essenziale della condotta illecita attribuita al ricorrente fosse incentrata sulla collaborazione del Mantella, le cui dichiarazioni avrebbero fatto luce sulla operatività della ‘ndrangheta nella provincia vibonese e che il Pittelli, sfruttando sia la sua professione che le sue entrature, avrebbe acquisito prima ancora che fossero rese pubbliche in ambito processuale e nella loro integrità». Questo, per i giudici, sarebbe il fulcro del concorso esterno contestato a Pittelli.
Il 12 settembre 2016 viene intercettata una conversazione tra Pittelli e un suo cliente (anch’egli imputato in Rinascita), Giovanni Giamborino, considerato organico alla cosca Mancuso. Le cosche sono preoccupate per i verbali che sta rendendo il neo collaboratore di giustizia Andrea Mantella. Nella conversazione si sente: «Dice (Mantella, ndr) che ha scritto una lettera alla madre e che accusa il fratello». La notizia delle accuse mosse da Mantella ai propri familiari più stretti era già apparsa su riviste online. Dunque, il fatto che Pittelli dicesse che Mantella accusava il fratello, vista la caratura criminale di questi, per i giudici era un «mero ragionamento logico e non perché avesse avuto conoscenza di verbali e del contenuto degli stessi attraverso l’attivazione di canali riservati ed illeciti». Tra l’altro si accoglie la lettura alternativa della difesa sulla base di un altro dato: Mantella accusa il fratello nel successivo mese di ottobre «mentre con le dichiarazioni verbalizzate nel mese di giugno egli tenta di escludere il fratello dall’accusa di omicidio e dall’occultamento del cadavere di Gancitano». Quindi, se Pittelli avesse «avuto notizia o fosse già stato in possesso dei verbali secretati avrebbe potuto riportare notizie ben diverse alla cosca, ovvero avrebbe potuto asserire che il pentito cercasse di preservare il fratello dalle gravi contestazioni per i fatti omicidiari».
Il collegio del Riesame ritiene che «la condotta dell’imputato di messa a disposizione, mostrandosi propositivo ed attivo per recuperare i verbali contenenti le dichiarazioni del collaboratore, connotata da espressioni suggestive quali “spacca diverse persone”, nel dialogo con Giamborino, enfatizzando il rischio derivante dal pentimento di Mantella per i consociati, e quindi il consequenziale ruolo cruciale dell’avvocato per recuperare i verbali, pur concretizzandosi in una promessa di aiuto alla consorteria in un momento di fibrillazione della stessa, tuttavia è qualificabile come una millanteria del Pittelli, il quale in realtà non era a conoscenza di notizie riservate né è dimostrato, a livello indiziario, che egli abbia usufruito o tentato di sfruttare entrature particolari in ragione del suo ruolo per agevolare la consorteria». Dunque l’avvocato si mette a disposizione ma in realtà millanta. «Sul punto – scrivono i giudici –, è del tutto carente la prova dell’efficienza causale della promessa di aiuto alla conservazione o al rafforzamento della capacità operativa della consorteria criminale».
Sulla millanteria il Riesame calca la mano: «Nel caso in esame, la messa a disposizione del Pittelli non ha dispiegato alcun contributo concreto alla consorteria, trattandosi appunto, per come acclarato nei precedenti provvedimenti giudiziali, di una sorta di millanteria per far considerare dai propri assistiti come cruciale il suo ruolo, alla luce delle sue conoscenze ed entrature. Tale condotta non è qualificabile come concorso esterno in associazione maliosa, per carenza dell’elemento oggettivo della fattispecie del nesso causale tra condotta contestata e aiuto concreto al sodalizio…».
Nel caso di Pittelli mancherebbe la gravità indiziaria «della asserita prestazione di ricerca delle informazioni contra ius e dei verbali non discoverati del Mantella». Le prove presentate a carico di Pittelli sono considerate dai giudici «dimostrative di una condotta opaca di Pittelli e difficilmente catalogabile come professionale» ma, così come i rapporti con l’agente della Dia Marinaro – che avrebbe reperito informazioni segrete – «si arrestano al mero sospetto, non potendo affermarsi che i verbali e le informazioni in ordine alla collaborazione del Mantella fossero nella disponibilità di Pittelli, o che Pittelli avesse gli strumenti e si fosse effettivamente attivato, tramite le proprie conoscenze per reperirli».
«Per quanto concerne il manoscritto rinvenuto in sede di perquisizione – conclude il collegio –, il Tribunale ritiene che lo stesso, quand’anche dimostrativo di una illecita fuga di notizie in favore di Pittelli, tuttavia non prova il disvelamento, in assenza di altri elementi indiziari, di notizie riservate alla cosca Mancuso da parte dell’avvocato, essendo emerso, piuttosto, anche in ragione della informativa del Marinaro, un interesse dell’imputato ad avere notizie di indagini a suo carico e non per contribuire alla sopravvivenza o rafforzamento del sodalizio».
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