In un bar di Giffone, paese di duemila abitanti in Calabria. Le orecchie ambientali investigative ascoltano un dialogo: «A Fino Mornasco bisogna togliersi dalle scatole quella puttana socialista».
Lei è Rossella Pera, consigliera comunale del paese in provincia di Como. Quando il prefetto lombardo le mostra l’intercettazione non deve essere stato molto allegro sapere che nel comune satellite della sua comunità le dedicano attenzioni di questo tipo.
Un’anticonformista insolita Rossella Pera. Impegnata nel Psi, due volte consigliera comunale d’opposizione in un comune popolato nel tempo dal cinquanta per cento di calabresi venuti in larga parte da Giffone e da zone limitrofe. Figlia di un toscano e di una valtellinese, trapiantati a Fine Mornasco, è cresciuta in mezzo ai calabresi. A scuola, nelle piazze. Ne ha colto aspetti e abitudini. In politica poi si è messa a denunciare il voto etnico. Non bisogna scegliere per appartenenza geografica ma per programmi. Una battaglia complessa che le è costata molto.
Oggi dopo lavori in Scozia e attività giornalistiche specialistiche e militanza politica non demorde.
Grazie ad un finanziere del posto ha conosciuto il sociologo Nando Dalla Chiesa, che ne ha fatto un emblema della sfida all’omertà alle mafie del Nord. Le hanno assegnato anche il premio Ambrosoli. La docente precaria di Geografia non è una professionista dell’Antimafia e quando la contatto mi dice sul punto: «Per me è assurdo che esista uno Stato in cui si premia qualcuno che fa politica perché contrasta la mafia».
La locale di Fino Mornasco, invece, ha mostrato il suo radicamento e controllo del territorio soprattutto negli ultimi anni. Le indagini parlano di «uno dei più fulgidi esempi di comunità mafiosa al Nord Italia». Parole scritte da Ilda Boccassini in una sua celebre ordinanza che spezzò il radicamento del clan. Klaus Davi quando ha portato qui le sue telecamere nel 2014 non ha trovato neanche un commerciante disposto a rilasciare un’intervista. A Locri sarebbe andata sicuramente meglio.
Nella frazione di Andrate in passato hanno bucherellato a colpi di pistola il cartello d’ingresso come fanno a San Luca. Il sindaco ha sminuito tutto a “ragazzata”, Rossella invece ha pigiato forte i tasti dell’indignazione. Pochi calabresi la sostengono nella sua campagna. Due mosche bianche che l’avevano sostenuta sono state richiamate all’ordine.
Le amministrazioni di Fino Mornasco con la questione della ‘ndrangheta sono basso profilo. In passato il sindaco era originario di Giffone, Giuseppe Napoli. Al giornale locale ha raccontato nel 2015 di essere stato condizionato dai clan nello svolgimento delle sue funzioni. Dove si svolge il mercato fecero trovare due pezzi di legno che formavano una croce, una sua vecchia foto tratta dal volantino della campagna elettorale del 2004, e una bomba priva di carica fissata con un cavo metallico appena sotto. Qualcuno mormora di clan avversari a quelli avvantaggiati. Il sindaco scoppiò a piangere quando fu interrogato dai Ros. Il suo vicesindaco era Domenico Alvaro. Originario di Giffone. È vicesindaco ancora oggi nella giunta di Renato Fornasiero. Il presidente del Consiglio comunale dell’era Napoli era Simone Pisaniello. La madre originaria di Giffone. Tutte persone incensurate ed elette liberamente ovviamente.
In un Comune dove ci hanno abitato i Iaconis, i La Rosa, i Larosa di “Peppe la mucca”, quelli di frazione Socco, gli Ottinà che sono di Seminara e che hanno omonimi condannati a Palmi in un processo contro il clan Santaiti. Gli Ottinà di nuova generazione sono professionisti laureati al Nord. Una di loro, Angelica, fa l’avvocato e difende il figlio di Iaconis, il capomafia della locale. In un comune di diecimila abitanti del Comasco si confondono legale e illegale, sospetti su foto estive al Santuario di Polsi, incroci di inchieste che si perdono negli anni a cavallo dei due ultimi secoli.
Certo Rossella Pera è diffamata. Quando passa per strada la chiamano “la cagna” e lei negli incontri pubblici dice «sono il cane da guardia della democrazia».
In Rete si trova anche la lettera di Pino Mandaglio di Fino Mornasco scritta a Nando Dalla Chiesa e pubblicata sul suo blog in cui l’autore, dopo essersi dichiarato militante di Libera e di sinistra, lo accusa di razzismo anticalabrese e di avvalorare bufale. Motivo del contendere la processione di San Bartolomeo, santo protettore di Giffone, nell’anno in cui il vescovo di Reggio vietò sfilate di santi in Calabria causa inchini davanti case dei boss e si creò un caos mediatico per l’omologo rito che si celebra ogni anno a Fino Mornasco. Il sociologo pubblica, precisa che chi scrive è il cognato del vicesindaco e risponde che non da lui, ma nei libri sta scritto «che il capostipite dei Mazzaferro, mandato al soggiorno obbligato, nella sua ansia di autonomizzarsi dalla madrepatria smise di andare alla celebre processione di Polsi, chiedendo ai suoi compari lombardi di partecipare nello stesso periodo a quella di Fine Mornasco».
Erano gli anni Novanta. Mazzaferro aggregava nel Comasco Paviglianiti, Ottinà e colletti bianchi. Usci il primo pentito e nacque l’operazione San Vito. A parlare un boss pesante siciliano Leonardo Messina che dichiara a Paolo Borsellino che passa i verbali a Milano. Gli arresti sono 370. A Fino Mornasco, alcuni bambini calabresi di quelle “famiglie” a quel tempo a scuola allo studente che si rivolge al maestro per un’insolenza dicono “Nfami ‘i San Cataldo”. San Cataldo è la famiglia mafiosa del pentito Messina. A quei tempi c’era già Bartolo Iaconis, di Giffone ovviamente, il capo società di Fino Mornasco. Sconta un ergastolo come mandante dell’omicidio di Franco Mancuso, di Giffone anche l’ammazzato, ucciso nel 2008 al bar Arcobaleno a Bulgorello di Cadorago. Mancuso avrebbe pagato caro il fatto di aver sfondato con una mazza da baseball il lunotto dell’automobile di Iaconis parcheggiata davanti a un bar. Uno sgarro clamoroso al capo società dei suoi due paesi. Quello di nascita e quello di residenza.
I comuni di Cadorago, Fino Mornasco e Guanzate sarebbero una sorte di triangolo delle Bermude della malavita organizzata nel comasco. Se si guarda sulla cartina formano un triangolo perfetto e in questo triangolo delle Bermuda made in Como tra l’estate del 2008 e il 2014 ci sono state cinque persone uccise dalla criminalità organizzata di stampo mafioso. I corpi sono stati fatti sparire e sotterrati nei vicini boschi e nei maneggi della zona. Uno di questi è Ernesto Albanese, piccolo spacciatore affiliato al clan di Fino, originario di Polistena, rapito venne portato in un bosco di Guanzate. Venne accoltellato 30 volte da vari affiliati, senza però ferirlo mortalmente: solo qualche ora dopo gli venne inferta la coltellata fatale. Racconta il pentito che i killer nei pressi della tomba dove fu trasferito consumarono una grigliata di capra.
Al tribale è connesso l’imprenditoriale nella ‘ndrangheta odierna. Al boss Iaconis nel 2019 sono stati sequestrati una palazzina di tre piani ad Appiano Gentile, 25 appezzamenti di terreni con campi e boschi e un’abitazione in campagna, due società tra cui una sala videogiochi intestata alla moglie e un’azienda agricola con venti cavalli con tre purosangue gestiti dal figlio per correre nei grand prix. Tutto valutato in circa un milione e 700.000 euro di reddito. Reddito dichiarato ogni anno? Circa 900 euro. L’evasione fiscale è certa, almeno quella.
A Fino Mornasco nell’ultima operazione hanno arrestato un ex consigliere comunale. Non è di Giffone ma originario di Maglie in Puglia. Più interessante la pista che il pm Alessandra Dolci ha indicato ad un media elvetico nel 2022 per l’operazione “Nuova narcos europea” e che fa scrivere a Ticino News: «Da Giffone in Calabria a Fino Mornasco nel Comasco, al Ticino e al Canton San Gallo in Svizzera. È questa la nuova rotta dell’emigrazione ‘ndranghetista». Oltre il lago manzoniano i nuovi affari.
Riesco a chiedere a Rossella Pera, in pochi minuti che le rubo da una riunione di lavoro se ha avuto paura quando ha saputo di quella intercettazione: «Ho provato più rabbia. Sono cresciuta in quella comunità, comprendo meglio il calabrese che il comasco. Alla fine forse mi hanno vista come un traditore». A Fino Mornasco. Paese di ‘ndrangheta. Su al Nord. (redazione@corrierecal.it)
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