Ultimo aggiornamento alle 21:11
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 5 minuti
Cambia colore:
 

il documento

La ‘ndrangheta del Mandamento Jonico e «l’arcipelago» delle cosche unite dallo stesso «progetto criminale»

Nelle motivazioni del processo in abbreviato la ricostruzione delle dinamiche che fanno capo un unico disegno criminale collettivo

Pubblicato il: 11/02/2023 – 7:14
di Mariateresa Ripolo
La ‘ndrangheta del Mandamento Jonico e «l’arcipelago» delle cosche unite dallo stesso «progetto criminale»

REGGIO CALABRIA «Un “arcipelago”» con «una sua organizzazione coordinata» e «organi di vertice dotati di una certa stabilità e di specifiche regole». «La ‘ndrangheta non può più essere vista in maniera parcellizzata». Lo scrivono nero su bianco i giudici nelle motivazioni della sentenza dello stralcio del processo “Mandamento Jonico” che si è celebrato a Reggio Calabria con il rito abbreviato. Nelle oltre mille pagine di motivazioni la Corte (presieduta dal giudice Olga Tarzia, giudici a latere Cinzia Barillà e Francesca Di Landro) ricostruisce dinamiche che si manifestano in tutta la loro organicità con un potere che appare frammentato, ma che in realtà fa capo allo stesso disegno criminale.

L’inchiesta sulle famiglie di ‘ndrangheta della Locride

Il processo è nato dall’inchiesta della Dda di Reggio Calabria che nel luglio del 2017 aveva individuato gerarchie e organigrammi di 23 famiglie della ‘ndrangheta presenti sul territorio della Locride portando all’arresto di 168 persone accusate, a vario titolo, di associazione mafiosa, detenzione illegale di munizioni ed armi comuni da sparo e da guerra rese clandestine, turbativa d’asta, illecita concorrenza con violenza e minaccia, fittizia intestazione di beni, riciclaggio, truffa e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e numerosi altri delitti collegati, con l’aggravante mafiosa. Nel processo in appello che si è celebrato con il rito abbreviato erano state ventinove le condanne e quattro le assoluzioni. La pena più pesante, 25 anni e 2 mesi di carcere, è stata inflitta a Francesco Cataldo. Antonio Cataldo, di 66 anni, invece, è stato condannato a 20 anni e 8 mesi di reclusione. Gli altri imputati sono stati condannati a pene che vanno dai 5 mesi e 10 giorni ai 14 anni di carcere inflitti a Rocco Morabito.

L’unità della ‘ndrangheta, tra autonomia delle realtà territoriali e la «”Costituzione” criminale»

È una ‘ndrangheta unitaria, ben strutturata e tutto tranne che frammentata, quella descritta nelle motivazioni. «La struttura di base è quella del processo “Crimine” – scrivono i giudici – in cui in particolare viene ritenuta sussistente l’articolazione verticistica del sodalizio mafioso con affidamento ad un organismo sovraordinato denominato Provincia o Crimine di compiti di coordinamento delle numerose realtà territoriali, articolate nella zona calabrese in tre mandamenti (Tirrenico, Ionico e Reggino), che a loro volta comprendono gli organismi territoriali delle Società e delle Locali». Una ricostruzione resa possibile grazie alla rielaborazione, ai riscontri e agli approfondimenti, anche dichiarativi, «provenienti dai collaboratori di giustizia, e al riascolto delle captazioni di molte delle conversazioni di quel procedimento». L’organizzazione, «storicamente nata e sviluppatasi in varie parti della provincia di Reggio Calabria» ha assunto «via via nel tempo ed in un contesto di trasformazione ancora non concluso, una strutturazione unitaria, tendente a superare il tradizionale frazionamento ed isolamento tra le varie ‘ndrine». Secondo i giudici non si può dunque considerare «come un insieme di cosche locali, di fatto scoordinate, i cui vertici si riuniscono saltuariamente (pur se a volte periodicamente), ma come un “arcipelago” che ha una sua organizzazione coordinata ed organi di vertice dotati di una certa stabilità e di specifiche regole». Un’organicità che fa comunque «pienamente salva la persistente autonomia criminale delle diverse strutture territoriali». I giudici fanno poi riferimento a «una sorta di “Costituzione” criminale». «L’azione dell’organismo di vertice denominato Crimine o Provincia – si legge – la cui esistenza è stata inoppugnabilmente accertata, seppur non sembra intervenire direttamente nella concreta attività criminale, che resta gestita in autonomia dai singoli locali di ‘ndrangheta, svolge indiscutibilmente un ruolo incisivo sul piano organizzativo, innanzitutto attraverso la tutela delle regole basilari dell’organizzazione». Regole – scrivono i giudici – necessarie per garantire il mantenimento degli equilibri generali, il controllo delle nomine dei capi-locali e delle aperture di altri locali, il nulla osta per il conferimento di cariche, la risoluzione di eventuali controversie.

Legati dallo stesso «progetto criminale collettivo»

Una unitarietà che si manifesta anche «sotto il profilo psicologico nella adesione da parte di ogni singolo accolito ad un progetto criminale collettivo proprio della associazione nel suo complesso, accomunato da identità di rituali di affiliazione, dal rispetto di regole condivise, dal comune sentire di appartenere ad un corpus più ampio, che coinvolge non solo le cosche tradizionalmente operanti nel territorio di origine (provincia di Reggio Calabria), ma anche le cosche che, pur se più o meno distanti (nelle rimanenti province calabresi, in Lombardia, Piemonte, Liguria), si riconoscono nel c.d. Crimine di Polsi». E la caratteristica di unitarietà dell’organizzazione criminale, secondo i giudici, non può essere messa nemmeno in dubbio dal fatto che periodicamente possano nascere faide fra le varie cosche operanti su un certo ambito territoriale: «da un lato – si legge nelle motivazioni – perché in qualsiasi organizzazione complessa, e tanto più in quelle a base criminale (basti pensare alle vicende di Cosa Nostra siciliana, segnata da gravi “turbolenze” e da numerosi omicidi persino negli anni della pax mafiosa voluta da Bernardo Provenzano), vi sono fasi patologiche in cui possono verificarsi contrasti interni e delitti gravissimi; dall’altro perché si tratta pur sempre di episodi che, quando si sono verificati, non hanno messo in discussione gli equilibri complessivi nei termini generali che si sono fin qui descritti». Ma il disegno criminale è lo stesso, e l’unità si manifesta nonostante possibili scontri, quando si presenta invece la necessità di reperire armi. Risulta «evidente – scrivono a tal proposito i giudici – come la ‘ndrangheta del mandamento jonico, unita sotto l’Autorità della Provincia e del Crimine, operasse in piena sinergie e le armi reperite da un gruppo criminale divenivano a disposizione della mafia della zona tirrenica, così come di quella jonica senza soluzione di continuità tra i clan mafiosi aderenti».

Argomenti
Categorie collegate

Corriere della Calabria - Notizie calabresi
Corriere delle Calabria è una testata giornalistica di News&Com S.r.l ©2012-. Tutti i diritti riservati.
P.IVA. 03199620794, Via del Mare, 65/3 S.Eufemia, Lamezia Terme (CZ)
Iscrizione tribunale di Lamezia Terme 5/2011 - Direttore responsabile Paola Militano
Effettua una ricerca sul Corriere delle Calabria
Design: cfweb

x

x