LAMEZIA TERME È già nel luglio 2016 che Andrea Mantella, pentito chiave nella ricostruzione delle attività della ‘ndrangheta nel Vibonese, inserisce la figura di Diego Mancuso nel clan di Limbadi. In quell’interrogatorio il collaboratore di giustizia illustra «l’ambito di operatività ed i nomi degli esponenti di vertice del “gruppo Mancuso”, operando un chiaro distinguo tra i “soldati” ed i maggiorenti dell’organizzazione, ed annoverando – tra questi ultimi – anche Diego Mancuso, detto “Mazzola”». “Mazzola” è uno dei due soprannomi del boss delegato a occuparsi della gestione dell’area della Costa degli Dei. Lì “Addecu” (l’altro soprannome) si trasferisce a vivere in un villaggio turistico dal quale gestisce affari e cura contatti con gli altri clan dell’area. Sta in disparte rispetto al ramo della cosca legato al mammasantissima Luigi Mancuso. Ma, per i magistrati della Dda di Catanzaro che hanno firmato l’inchiesta “Olimpo” (il procuratore Nicola Gratteri e i sostituti Andrea Buzzelli, Andrea Mancuso e Antonio De Bernardo), il suo carisma criminale ne fa una figura di primo piano nella ‘ndrina. È proprio nei faldoni di quella indagine che si trovano gli interrogatori in cui Mantella racconta legami, scontri e confidenze di Diego Mancuso.
Il pentito torna a tratteggiare il profilo di “Mazzola” cinque anni dopo quelle prime dichiarazioni, il 26 ottobre 2021. Parte da lontano, per dire che «di Diego Mancuso mi hanno parlato (anche) soggetti come Nazzareno Felice “Capiceju” e Gregorio Gasparro, i quali, nel periodo 2004-2005 mi dicevano che Diego Mancuso riscuoteva estorsioni nel settore edilizio». Non sarebbe stato quello l’unico interesse del capo. L’ex padrino emergente ricorda che Mancuso aveva interessi anche nel circuito degli autotrasportatori. Ne avrebbe – sostiene – contezza diretta. Nel 2009, infatti, Mantella sarebbe entrato in affari proprio nel settore dei trasporti con due persone, una delle quali imparentata con uno dei capi del clan Bellocco di Rosarno. Per ritagliarsi una fetta più ampia del business, Mantella e i soci avrebbero cercato di «limitare l’azione» di una società concorrente del Catanzarese. «Fu così – dice agli inquirenti – che mi arrivò un’imbasciata; in particolare Diego Mancuso, tramite un suo nipote o cugino, riuscì a mandarmi un messaggio recapitatomi infine da Tonino Davoli (che gli investigatori ritengono «appartenente al clan Iannazzo di Lamezia Terme», ndr)». Secondo Davoli, Mantella avrebbe dovuto «far lavorare su Vibo Valentia» la società “protetta” da Mancuso. Al quale l’attuale pentito fece sapere che «poteva prendere impegni su Limbadi e Nicotera, ma non certo su Vibo Valentia». Certe tensioni erano all’ordine del giorno: il clan di Mantella voleva soppiantare i Mancuso, non certo sottostare ai loro diktat.
Il collaboratore di giustizia, però, dice di aver avuto una frequentazione diretta con “Addecu”, durante un periodo comune di detenzione, nel corso del quale «avrebbe avuto occasione di chiarire la propria posizione anche in merito alla conflittualità insorta sul fronte dell’operatività delle aziende di trasporti». Un chiarimento «sereno» che li avrebbe portati ad auspicare «di intrattenere rapporti anche fuori dal carcere, per quanto io mi fidavo fino a un certo punto». In quella circostanza, Mancuso spiego che a quella società di trasporti teneva tanto, «perché gli davano sostentamento economico». Sosteneva, in pratica, «di aver favorito l’ascesa imprenditoriale della ditta e di essere proprio in affari con loro».
Di certo, «mentre eravamo detenuti io, nel confrontarmi con Diego Mancuso, avevo davanti a me un esponente di rilievo dei Mancuso in quel momento pienamente attivo ed inserito nelle dinamiche criminali del Vibonese».
Dai trasporti al turismo. «In tale frangente – appuntano i pm antimafia – Mancuso si sarebbe, peraltro, dichiarato proprietario di fatto (unitamente al nipote Domenico, alias Ninja) di un villaggio turistico situato tra Tropea, Capo Vaticano e Ricadi». «Abbiamo parlato anche del La Rosa», aggiunge Mantella riferendosi alla cosca egemone a Tropea. Il pentito riporta «l’episodio in cui, durante un periodo di detenzione a Vibo Valentia, era stata conferita la dote dello “sgarro” a tale “Muggeri” (inteso Salvatore Muggeri) di Tropea (o, più correttamente originario di Tropea); nel frangente, infatti, Antonio La Rosa (alias “Ciondolino”), presente alla cerimonia, propose di inserire in copiata anche Diego Mancuso in segno di rispetto». Secondo quanto riferito nell’interrogatorio, l’iniziativa sarebbe stata «riportata anche allo stesso “Addecu”, atteso che – nel richiamare l’evento durante la comune detenzione a Viterbo – Mantella ebbe a verificare che l’interlocutore era già a conoscenza della vicenda». Stesso carcere, Viterbo, altro rito di iniziazione. «Sarebbe stato lo stesso Diego a conferire – in quel periodo – una dote di ’ndrangheta a un detenuto di Sinopoli». Queste le parole di Mantella sull’episodio: «Ricordo che durante la comune detenzione a Viterbo conferimmo la dote della “santa” a un soggetto di Sinopoli, in carcere per omicidio, di cui non ricordo il nome (forse Carmine). Questo signore chiedeva insistentemente a Diego Mancuso di riconoscergli questo rialzo di dote, visto che doveva fare molto carcere. Diego Mancusolo prese in simpatia e decise di dargli la “santa”. Alla cerimonia eravamo presenti, oltre all’interessato, io, Diego Mancuso e tale Vincenzo Loielo (che mi pare pure abbia collaborato con la giustizia), che essendo “affavellato” recitò lui le formule di rito. So anche che prima del mio arrivo lì in carcere, Diego Mancuso aveva anche conferito la dote dello sgarro a tale Francesco Pesce di Rosarno, come mi dissero gli stessi interessati (Mancuso e Pesce)». (p.petrasso@corrierecal.it)
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