Ancora una volta siamo costretti a dovere appurare che la fisicità per una donna è requisito discriminante in ambito lavorativo. Quanto denunciato dalla giovane catanzarese Martina Scavelli con le sue dimissioni da arbitro di volley è grave e non può non essere stigmatizzato. Un arbitro non deve avere le caratteristiche di una modella, ma deve essere competente. Ancora oggi si giudicano le donne in base al proprio corpo, il fatto di pesare questa donna come condizione per farle svolgere il suo ruolo di arbitro è assurdo. Ad un arbitro non sono richieste performance sportive, la sua entrata in campo non può essere legata all’ago di una bilancia. Il tutto mentre il Paese continua ad avere 18 punti percentuali di distanza tra occupazione femminile e maschile, la maternità è ancora a volte l’anticamera del licenziamento, la donna viene fatta sempre sentire ‘qualcosa in meno’ rispetto agli uomini. Un ‘qualcosa’ che si riversa anche nelle differenze salariali. Quanto accaduto a Martina è la punta di un iceberg che dobbiamo tutti e tutte contribuire ad abbattere con i mezzi della Cultura e, quando necessitano, anche della legge. Il lavoro è dignità e viceversa, non possiamo permettere che atteggiamenti e valutazioni discriminanti violino principi e diritti conquistati nel tempo. Stiamo assistendo ad una retromarcia culturale non più tollerabile. Come Coordinamento Donne Cgil Calabria siamo pronte ad utilizzare ogni strumento affinché il “body shaming” non venga tollerato né sui luoghi di lavoro né altrove.
* Segretaria Confederale Cgil Calabria e responsabile del Coordinamento Donne Cgil Calabria
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