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Trovata morta a Grotteria nel 2016, la famiglia di Ana Maria Tirnovan chiede la riapertura delle indagini

Il caso fu archiviato dalla Procura di Locri come suicidio. L’avvocato Antonio Russo: «Un caso che avrebbe richiesto un approfondimento»

Pubblicato il: 15/02/2023 – 8:11
di Mariateresa Ripolo
Trovata morta a Grotteria nel 2016, la famiglia di Ana Maria Tirnovan chiede la riapertura delle indagini

LOCRI «Qui il problema è fondamentalmente uno: i numerosi elementi esistenti e che andavano verificati al fine di stabilire la sussistenza di un’ipotesi di reato, non hanno sin da subito costituito oggetto di attività investigativa. Qui l’anomalia è investigativa e genetica». Così l’avvocato Antonio Russo ai microfoni del Corriere della Calabria sul caso della morte di Ana Maria Tirnovan, la 24enne di origini rumene trovata senza vita nel 2016 a Grotteria, in provincia di Reggio Calabria. Il caso fu archiviato dalla Procura di Locri come suicidio, ma sono tanti i dubbi che attagliano i familiari della giovane a fronte di indagini ritenute insufficienti e per questo ne chiedono la riapertura.  

Il caso

È il 12 maggio 2016 quando Ana Maria Tirnovan, classe ’92, arrivata in Italia dalla Romania, viene trovata senza vita in una casa a Grotteria, nel Reggino. La giovane, agli arresti domiciliari, viene trovata con una sciarpa intorno al collo. «Una persona sentita nell’immediatezza del fatto riferiva dell’avvenuta ingestione da parte della ragazza di un quantitativo di candeggina», spiega l’avvocato Russo. Ana Maria si trovava agli arresti domiciliari con l’accusa di estorsione ai danni di una persona. Insieme a lei furono accusate altre persone, che successivamente furono assolte.

La sciarpa mai sequestrata e la candeggina mai trovata

Parla di «un problema genetico» l’avvocato Antonio Russo riferendosi al modus operandi che portò la Procura di Locri a chiudere il caso bollandolo come suicidio, ma secondo il legale della famiglia Tirnovan sono diversi gli elementi che non vennero presi in considerazione. «La sciarpa ritrovata al collo della giovane non fu mai sequestrata, non è stata mai misurata e soprattutto non è stata mai verificata l’effettiva compatibilità del mezzo impiegato per provocare la morte con la riferita ricostruzione dell’accadimento. In base al contenuto degli atti, – spiega il legale – la ragazza si sarebbe suicidata legando la sciarpa alla cassetta del water. Dalle fotografie presenti agli atti la cassetta del water è ad un’altezza tale che appare piuttosto difficile che la ragazza si possa essere impiccata in quel modo». I dubbi sulla modalità della morte della giovane sorgono inoltre anche alla luce della dichiarazione in cui si fa riferimento all’ingestione di candeggina. «Non è stato effettuato l’esame autoptico. La mancata effettuazione dell’esame autoptico non ha consentito di stabilire con certezza qual è la causa della morte, ovvero se la ragazza sia morta perché si è impiccata, oppure perché ha ingerito della candeggina. Benché i carabinieri siano intervenuti sul luogo e nell’immediatezza del fatto – aggiunge sul punto Russo – non si è proceduto al sequestro di tutti i reperti, di tutte le cose rinvenute sul luogo del fatto, la candeggina non è stata mai ritrovata e ritengo neppure cercata».

Le lettere mai tradotte e analizzate

Nel luogo in cui venne ritrovato il corpo senza vita di Ana Maria furono rinvenute inoltre delle lettere e dei documenti, alcuni scritti in rumeno e altri in italiano. «Non è il solito biglietto che la persona che decide di uccidersi lascia accanto a sé, ma si trattava di una imponente documentazione scritta e che avrebbe richiesto uno specifico approfondimento da parte del magistrato inquirente, posto che in quel preciso contesto si era verificato un fatto che doveva costituire oggetto di una compiuta attività investigativa», spiega Russo che parla quindi di una «evidente omissione, frutto di negligenza» riferendosi alla mancata traduzione della documentazione, ma anche alla sua mancata analisi: «La disamina contenutistica di quella documentazione scritta – spiega Russo – consente di rilevare che vi è una sostanziale divergenza nei caratteri grafici. Alcune missive sono redatte con delle lettere piuttosto piccole, arrotondate, altre invece sono redatte in modo completamente diverso. Erano state redatte dalla stessa persona?».

La richiesta della famiglia Tirnovan

Dubbi che a distanza di sette anni non danno pace alla famiglia Tirnovan, che chiede quindi a gran voce la riapertura delle indagini e l’analisi di elementi che potrebbero aggiungere tasselli fondamentali per ricostruire quanto accaduto nelle ore che hanno preceduto la morte della giovane. «Tutti questi oggetti avrebbero consentito in modo scientifico di operare una ricostruzione compiuta dell’accadimento», afferma il legale, che spiega nei dettagli quanto richiesto dalla famiglia: «Naturalmente la riapertura del caso richiederebbe, almeno in astratto, l’esistenza di nuovi elementi che da soli o unitamente a quelli già valutati, possano portare ad una diversa determinazione e in relazione all’eventuale esercizio dell’azione penale. Ma qui il problema è fondamentalmente uno: i numerosi elementi esistenti e che andavano verificati al fine di stabilire la sussistenza di un’ipotesi di reato, non hanno sin da subito costituito oggetto di attività investigativa. Qui l’anomalia è investigativa e genetica, nel senso che non si è fatto nulla per accertare se ci si trovava, oppure no, in presenza di un reato, a fronte di elementi che avrebbero evidentemente richiesto una maggiore attenzione». «È inaccettabile – aggiunge Russo – l’inerzia, l’assoluta inerzia investigativa, a fronte di un caso che avrebbe evidentemente richiesto un approfondimento. Per quale motivo – conclude il legale – una persona non deve ottenere alcun tipo di attenzione investigativa, neppure da morta?». (redazione@corrierecal.it)

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