COSENZA Mentre gli ispettori verificano il software gestionale del Pronto soccorso dell’ospedale di Cosenza «si presenta una situazione di estrema urgenza clinica, la cui gravità viene ravvisata solo al passaggio casuale di un operatore». Il medico «in quel momento è assente» ed «effettua la preventiva vestizione per recarsi al reparto impiegando oltre 10 minuti». In quel frangente un altro medico arriva «immediatamente nel reparto, senza effettuare la vestizione di protezione ed effettua tutte le manovre e gli interventi del caso». È una diapositiva dal caos di un reparto sotto stress e nel quale l’organizzazione appare carente. È contenuta in una relazione ispettiva effettuata tra il 20 e il 21 dicembre dopo la richiesta dei carabinieri, in un’attività d’indagine delegata dalla Procura di Cosenza. Il primo a essere sentito, all’epoca della visita, è il direttore del dipartimento di emergenza urgenza Pino Pasqua, destituito qualche giorno fa (è rimasto alla guida del reparto di Anestesia e Rianimazione). La relazione finale stilata dagli ispettori è un lungo elenco di cortocircuiti organizzativi che si sommano a carenze storiche di personale che costringono i (pochi) medici presenti a turni aggiuntivi sulla cui entità gli stessi dirigenti non riescono a dare risposta. Un dato per tutti: secondo uno dei manager ascoltati la carenza di personale sarebbe di 201 unità. E davanti a questo fabbisogno è stato possibile programmare l’attivazione di nuove procedure per l’arruolamento di 65 unità. Uno dei medici sentiti ha sottolineato il dato, ricordando un episodio in cui 12 infermieri sono risultati contemporaneamente in malattia e lo ha attribuito alla «grande stanchezza» di tutto il personale.
Quando la squadra ispettiva arriva al Pronto soccorso nel secondo giorno dei controlli, nella zona del pre-triage non c’è nessuno che faccia da filtro o controllo, soltanto un “quadernone” nel quale vengono riportati i tamponi rapidi eseguiti. L’elenco riporta poche registrazioni per il 20 dicembre, nessuna per il 21 dicembre. Non ci sono controlli sui Green pass, nessun tampone viene eseguito ai pazienti in ingresso, i familiari entrano senza alcun tipo di controllo. L’elettrocardiogramma, spiega qualche operatore, si fa quando serve, per evitare che il Pronto soccorso venga scambiato per un ambulatorio. I parametri vitali vengono rilevati su una sedia, accanto a una fotocopiatrice.
Le scene dall’interno del reparto sono, purtroppo, già viste: cinque pazienti in stanze da due posti (come si intuisce dalla foto in alto, tratta da Cosenza 2.0), letti così vicini da non consentire il passaggio degli operatori sanitari, mentre molti pazienti giacciono su letti disposti nei corridoi. La privacy non esiste. E la situazione di sovraffollamento rende pressoché impossibile rispettare il distanziamento tra i pazienti in ossequio alle disposizioni per il contenimento del Covid-19. Il reparto è un potenziale cluster quotidiano, altro che prevenzione. Eppure la provincia di Cosenza è quella che ha pagato il prezzo più alto negli anni della pandemia.
Fuori dall’area di accesso c’è un uomo anziano su un letto, completamente solo. Alcuni pazienti avrebbero raccontato di essere parcheggiati in reparto da oltre tre giorni senza aver avuto indicazioni su quale sarà la loro prossima destinazione. «Confusione, scarso coordinamento e nervosismo», appuntano gli ispettori riferendosi alle sensazioni offerte dagli operatori sanitari.
Il software gestionale, secondo quanto appreso dal Corriere della Calabria, sarebbe un’altra dimostrazione del caos. Mancano i dati, e nessuno ha idea di come rendere più efficiente il funzionamento del programma. Le presenze dei pazienti non sarebbero aggiornate, con scostamenti enormi tra dati teorici e reali. Per gli ispettori è un problema non solo organizzativo ma anche medico legale. In sostanza nessuno è in grado di dire quante persone siano presenti nel Pronto soccorso. Accade anche per la gestione delle risorse umane. Non si sa, avrebbero rilevato gli ispettori, quanti siano gli operatori presenti né quale sia il loro ruolo. Il clima lavorativo sarebbe poco disteso e scarsamente collaborativo.
L’ispezione arriva quando la gestione del Covid dovrebbe essere un automatismo consolidato. E invece rileva l’assenza di un corretto pre-triage Covid, che rende impossibile differenziare i cosiddetti percorsi sporco-pulito, con sovrapposizioni che potrebbero causare nuovi contagi. La chiosa è tranciante: «In generale, non emerge una cultura di gestione del Pronto soccorso». E la situazione è aggravata da pesanti criticità di ordine strutturale.
Per non parlare della «grave» carenza di personale «rispetto al volume e alla tipologia di attività che devono essere garantite». All’epoca, per altro, non era presente personale medico dedicato all’area Covid. Nel corso dell’ispezione, un medico ha dovuto lasciare l’area no Covid, indossare i Dpi ed entrare nell’area Covid. La coperta è cortissima: gli interventi avvengono in ritardo e si lascia sguarnito uno dei due versanti. Il management aziendale aveva già provato, all’epoca, ad affrontare queste carenze spostando temporaneamente personale da altri reparti ma nessuno degli interventi è risultato risolutivo. L’allora commissario straordinario dell’Azienda ospedaliera di Cosenza ha parlato «di una dotazione organica approvata dai competenti uffici regionali di 40 unità a fronte delle nove attualmente presenti». (p.petrasso@corrierecal.it)
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