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l’intervista

Iacono: «L’autonomia differenziata parte di un progetto per cancellare lo stato sociale»

Parla il filosofo siciliano: «Il regionalismo interessa solo le classi dirigenti. Per il Sud, può essere la pietra tombale»

Pubblicato il: 18/02/2023 – 8:03
di Emiliano Morrone
Iacono: «L’autonomia differenziata parte di un progetto per cancellare lo stato sociale»

Alfonso Maurizio Iacono è un importante filosofo italiano che da molti anni si occupa dei rapporti tra filosofia, antropologia e politica. Nell’Università di Pisa, Iacono è stato professore ordinario e preside della facoltà di Filosofia. Tra l’altro ha insegnato come visiting professor nell’Université de Paris 1 (Sorbonne-Panthéon). Giornalista, il filosofo collabora con diverse testate, fra cui il quotidiano nazionale il manifesto. Nel suo libro Autonomia, potere, minorità, pubblicato da Feltrinelli nel 2000, Iacono, siciliano d’origine, si è interrogato in profondità sulla paura dell’autonomia individuale, molto diffusa nelle società occidentali, che pure si proclamano libere e democratiche. Perciò ci è parso utile intervistarlo sul tema del rapporto tra autonomia differenziata e Sud, su cui il Corriere della Calabria ha avviato un ampio dibattito, tra gli altri sentendo il politologo Isaia Sales e il presidente della Regione Basilicata, Vito Bardi.

Nel 2001 l’autonomia differenziata entrò nella Costituzione come possibilità. Quella riforma costituzionale del centrosinistra fu preceduta da referendum confermativo, con il 64,2 per cento di favorevoli e il 65,9 per cento di astenuti. Alle ultime elezioni regionali della Lombardia, dello scorso 12 febbraio, ha rivinto il centrodestra, che mira ad attuare l’autonomia differenziata. Nello specifico, l’astensione è arrivata al 58,33 per cento. Professore, significa che il tema del regionalismo differenziato è questione esclusiva dei vertici dei partiti? Vuol dire che i cittadini ne restano lontani, perfino nel Nord ricco e produttivo?
«Temo di sì. Non vedo un dibattito partecipato sulla questione. D’altra parte, la distanza tra la politica e i cittadini si sta facendo sempre di più abissale e questo è un vero problema per la democrazia e la partecipazione alle decisioni». 

Che cosa pensa dell’autonomia differenziata, tanto in generale quanto per come concepita?
«In generale può avere un senso, ma tutto dipende da come la si attua. Così come sembra avviata, questa riforma rischia di favorire le regioni ricche (o le parti ricche di alcune regioni) e di svantaggiare quelle povere. E questo è in linea con la visione neoliberista che, seguendo gli interessi del mercato, trasforma la differenziazione in diseguaglianza sociale. In più, vi è da dire che l’autonomia differenziata si attuerebbe proprio mentre occorre tenere conto del fatto che siamo in Europa. Già l’Unione europea ha in parte finora fallito il suo scopo, proprio perché è stata concepita e praticata secondo le quasi esclusive esigenze del mercato. Il risultato è che proprio la sanità, la scuola e l’università, che avrebbero dovuto essere i punti cardine dell’unificazione, sono rimaste al palo. Un problema analogo si pone per l’autonomia differenziata delle Regioni dallo Stato. Avrebbe senso che strutture istituzionali come la sanità, la scuola e l’università rimanessero competenze dello Stato e non fossero differenziate fra le Regioni». 

Isaia Sales ci aveva parlato della lezione della pandemia. A suo avviso, di fronte ai drammi del Covid, il Parlamento avrebbe dovuto restituire allo Stato la potestà legislativa in materie fondamentali, specie sanità e istruzione. Qual è il suo punto di vista al riguardo? 
«Sono d’accordo. Lo dicevo prima. Proprio la tragica esperienza del Covid avrebbe dovuto insegnarci che lo Stato, nelle emergenze nazionali e sociali, resta decisivo. Ma oggi si sta procedendo verso il totale smantellamento dello Stato sociale e alla fine andrà a finire che lo Stato non riuscirà nemmeno a essere garante della giustizia sociale e della solidarietà di tutti i cittadini italiani.
Fin dove arriverà l’autonomia differenziata? Quali saranno i limiti istituzionali nel rapporto tra Stato e Regioni. Qui occorrerebbe una vera discussione partecipata. Se vi sono diseguaglianze economiche e sociali tra regioni, dovrebbe essere lo Stato a impedire le ingiustizie fra cittadini, che non possono essere di serie A e di serie B».

Il divario tra Sud e Nord cresce, anche stando allo spopolamento significativo di interi territori meridionali. Pensa che l’autonomia differenziata sia una pietra tombale per lo sviluppo del Mezzogiorno?
«Temo che, se si verificano certe condizioni e soprattutto l’azzeramento dello Stato, l’autonomia differenziata potrebbe sì essere la pietra tombale del Mezzogiorno. Sviluppo? Quale sviluppo? Intendiamoci, in questi anni ho visto città del Sud migliorare decisamente la loro condizione, fino a ritrovare forme dell’antico splendore. Tuttavia, anche nel Sud vi sono differenze e squilibri che non sembra possano essere oggi superati».

Esiste, a suo avviso, una questione meridionale ancora aperta? Se sì, in che termini la inquadra?
«Un tempo la questione meridionale fu interpretata nei termini del progresso e dello sviluppo e si trasformò nel colonialismo industriale di alcune zone poi abbandonate e diventate veri e propri deserti. Il Sud è sempre stato sfruttato. Per riaprire il tema del Sud, occorre la capacità, pure in epoca di globalizzazione, di trovare le forze economiche e sociali al proprio interno, in modo che il Mezzogiorno si garantisca un’autonomia che oggi in gran parte non ha. Non è facile, ma non vedo altre strade. Le risorse ci sono ancora».

Sull’autonomia differenziata, qual è il suo giudizio riguardo alla rappresentanza parlamentare del Sud, indipendentemente dalle singole appartenenze politiche?
«A me pare che la rappresentanza parlamentare meridionale oscilli tra la soggiacenza agli interessi del Nord e la connivenza con gli interessi illegali del Sud. Non voglio generalizzare, vi sono nobili e generose eccezioni, e tuttavia si è creato quasi un connubio di complicità tra Nord e Sud: nell’interesse di pochi e a danno di molti».

Crede che il Meridione non abbia peso nelle decisioni del governo?
«Sinceramente, forse sbaglio, ma non mi sembra, a meno che per decisioni non si intendano quelle che comunque non toccano minimamente il Nord».

A suo avviso ci sono forze, politiche, intellettuali, economiche, sindacali, sociali, religiose, in grado di rappresentare senza timori gli interessi del Mezzogiorno? 
«Penso proprio di sì, ma oggi sono disperse al Sud come al Nord e spesso ridotte a testimonianze individuali».

Ritiene che nella scuola, nell’università e nella sanità ci sia rassegnazione rispetto all’autonomia differenziata?
«Temo francamente di sì. Il problema, tuttavia, è più generale. Vi è un clima di rassegnazione rancorosa verso il fatto che ormai nessuno (o quasi) pensa più alla possibilità di un futuro diverso e alternativo. Tutto (o quasi) oggi è giocato su un piatto di realismo privo di immaginazione. La questione dell’autonomia differenziata si discuterà tra pochi, temo».

Che cosa ne pensa delle posizioni dei presidenti delle Regioni del Sud riguardo all’autonomia differenziata? 
«La posizione negativa di Emiliano e di De Luca mi sembra alquanto comprensibile. Credo abbiano ben capito dove vada a parare il disegno di legge di Calderoli. Ha ragione Emiliano quando dice, a quanto ho letto, che lo Stato deve avere il compito di garantire l’eguaglianza tra tutti i cittadini in materie come sanità, scuola e università. Il punto mi sembra proprio questo».

Ritiene che il Pnrr finisca di fatto per discriminare il Mezzogiorno?
«Mi sembra abbastanza evidente». 

Molti giovani, e negli ultimi anni perfino intere famiglie, vanno via dalle regioni meridionali in cerca di opportunità di lavoro, di cure adeguate, di servizi migliori, di garanzie sui diritti. Crede che l’autonomia differenziata possa alimentare questo tipo di emigrazione?
«È un’emorragia che si verifica da molti anni. Io sono tra coloro che sono andati via. Non è solo che è più difficile trovare lavoro, è anche che nel Sud è ancora molto forte la pratica della raccomandazione e della protezione. Una pratica che, come si direbbe oggi, ha avuto e ha molto successo, tanto che sta dilagando anche al Nord. Un tempo speravo che dal Nord arrivasse al Sud un po’ più di, come dire, correttezza istituzionale non inquinata dalla protezione personale. Invece è avvenuto il contrario. È possibile che l’autonomia differenziata incrementi questo infausto processo. Ma anche in questo caso il problema non è tanto o soltanto l’autonomia differenziata, bensì un modo di concepire lo Stato, che oggi si vuole minimo o si teme repressivo e coercitivo. In ogni caso ciò che vogliono fare sparire, e non solo in Italia, è lo Stato sociale».

Di che cosa, oggi, avrebbe bisogno il Sud?
«Di ciò che oggi, a quanto pare, nessuno vuole: un vero Stato sociale, espressione di una forza democratica e di una giustizia istituzionale, capace di stimolare le risorse interne e di spingere verso la crescita economica e culturale della qualità della vita». 

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