COSENZA Misure di prevenzione, attività giudiziarie ed errori. E’ ricco di spunti il convegno organizzato a Cosenza dalla Camera penale e dall’osservatorio misure di prevenzione dell’Ucpi. Un dibattito destinato a sollevare polemiche e riflessioni. L’analisi ha spinto i relatori a soffermarsi sulle misure riferite al sequestro e confisca dei beni di soggetti appartenenti a fenomeni criminali e sulla denuncia di errori nell’applicazione di tali misure che in alcuni casi hanno portato allo stravolgimento della vita privata e imprenditoriale di cittadini.
Al tavolo dei relatori, gli operatori del diritto, della magistratura, dell’accademia e dell’avvocatura, rappresentati dal Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Stefano Musolino, dall’avvocato Nico D’Ascola, dagli Avvocati Paolo Giustozzi (Responsabile osservatorio misure di prevenzione dell’Unione dei penalisti italiani), Guido Siciliano, componente dello stesso osservatorio e l’avvocato Carlo Monaco, penalista del foro bruzio. Presenti anche Alessandra Adamo e Gabriele Posteraro, Vicepresidente e Segretario della Camera penale di Cosenza e Alessandro Barbano, giornalista, saggista, autore de “L’inganno. Antimafia. Usi e soprusi dei professionisti del bene”.
Secondo il presidente e avvocato Le Pera è corretto parlare di «un anomalo sistema di pena patrimoniale. Non più una misura patrimoniale ma una pena patrimoniale». Quale l’anomalia? «E’ una pena che viene applicata a seguito non di un giusto processo ma sulla base di una valenza probatoria di prove attenuate. Ed ecco l’anomalia. Noi abbiamo un sistema a tre teste: il procedimento probatorio pieno – che porterà poi ad una sentenza di assoluzione o condanna -; un procedimento cautelare della gravità indiziaria e infine il procedimento della prevenzione». Quest’ultimo, secondo Le Pera, «presuppone una vera e propria pena patrimoniale ma senza le garanzie del giusto processo. Non abbiamo le garanzie del contraddittorio pieno. E da qui, ovviamente, scaturiscono i drammi umani, aziendali che sono sotto gli occhi di tutti».
Nel suo libro Alessandro Barbano racconta «gli abusi, gli sprechi, i lutti e l’inquinamento civile perpetrati da un apparato burocratico, giudiziario, politico e affaristico cresciuto a dismisura e fuori da ogni controllo di legalità e di merito», entra nei meandri di un sistema diventato «invasivo e dispotico». Barbano, denuncia «errori e abusi di potere consumati all’interno di un sistema deviato e impossibile da criticare, in cui, in nome della lotta al crimine organizzato, l’eccezione diventa regola e tutto è considerato un’emergenza». Per Barbano «se questo sistema continua a confiscare ad innocenti, a persone che sono state giudicate e assolte, a terzi ignari, beni patrimoni e aziende che poi finiscono in malora, è evidente che l’azione preventiva dello Stato diventa un’azione distruttiva. E produce un effetto opposto a quello voluto». Il giornalista poi si sofferma sul ruolo dell’antimafia, «una macchina messa in piedi 30, 40 anni fa per combattere un’organizzazione piramidale piantata nel cuore di alcune regioni e si giustificava con l’eccezionalità del fenomeno. Poi si è allargata e oggi è diventata la regola. Quando l’eccezione diventa la regola, i danni che produce sono maggiori dei danni a cui vuole porre riparo». Barbano poi si sofferma sulle vite spezzate raccontate nel suo libro. «Se ti tolgono l’azienda, il conto corrente, l’orologio che hai regalato a tuo figlio, il portafoglio, le chiavi di casa e la macchina ti buttano in mezzo a una strada. Se questo avviene in presenza di una sentenza di assoluzione, è un assurdo e allora o si pone riparo a questo assurdo oppure la giustizia rivendica di avere delle regole che sono contrarie alla ragionevolezza e al buon senso della vita. Questo è inaccettabile». (f.b.)
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