VIBO VALENTIA Primo pensiero del boss Diego Mancuso appena uscito dal carcere «nel 2015-2016»: «Si è fatto subito accompagnare nella villa sequestrata, dove è entrato scavalcando il cancello, poi io l’ho convinto – entrando anche io in quella casa – a recarsi in una abitazione sopra la Crai a Limbadi, vicino alla caserma dei carabinieri». Parole di Emanuele Mancuso (foto sopra), nipote di Diego e primo pentito della famiglia mafiosa di Limbadi. Come gli altri collaboratori di giustizia Andrea Mantella e Bartolomeo Arena, Mancuso disegna un quadro dell’«operatività» di suo zio. Lo fa partendo da quella scarcerazione: «Mi chiese di procurargli un ragazzo per sbrigargli gli affari». Detto, fatto. Il boss libero «aprì dei canali (in particolare a San Calogero) per il traffico di cocaina dal Sud America, ma non so i nomi di questi contatti». Grazie a loro, però, il “ragazzo” «fece arrivare in Calabria dall’estero un carico di 330 chilogrammi di hashish». Per “Addecu” (soprannome di Diego Mancuso) c’erano «guadagni nell’ordine di qualche migliaio di euro».
Il pentito schiera i propri familiari come in una griglia da Gran premio di Formula Uno. Serve a chiarire differenze nello spesso criminale e a delineare i gradi ‘ndranghetistici. «Anche dopo l’uscita dal carcere – spiega ai pm della Dda di Catanzaro che hanno firmato l’inchiesta Olimpo – Diego Mancuso era sempre ai vertici del sodalizio, sicuramente al di sopra di Francesco Mancuso, anche se aveva perso terreno rispetto a mio padre (Emanuele Mancuso è figlio di Pantalone “l’ingegnere”, ndr) che era uscito prima dal carcere». Nello stesso interrogatorio, il collaboratore di giustizia fa un passaggio – che i magistrati antimafia definiscono «prezioso» – sul «ruolo riconosciuto a Diego da Antonio Giuseppe Accorinti», boss di Zungri. «So che Peppone Accorinti era molto legato a Diego Mancuso, che secondo lui era il più importante della mia famiglia dopo Luigi Mancuso, cosa che ho sentito dire ad Accorinti anche di recente». Pantaleone “l’ingegnere”, invece «diceva che Diego doveva andarsene da Limbadi perché lì non sarebbe durato, così si stabilì» in villaggio vacanze «dove figura come dipendente ma che in realtà è suo. Lui si è stabilito lì dopo un paio di mesi dalla scarcerazione». Nel luglio 2021 Emanuele Mancuso contestualizza meglio: «So per certo che il villaggio è di mio zio perché ho fatto saltare la macchina a un vicino che ha un’abitazione attaccata al villaggio: si tratta di una persona di cui non ricordo il nome ma che dava fastidio a mio zio Diego (…). Ho messo benzina per far scoppiare la macchina, insieme a Francesco Olivieri detto Ciko, su richiesta di mio zio Diego Mancuso».
“Addecu”, continua il nipote, «era molto accorto e stava attento a eventuali attenzioni delle forze dell’ordine». La sua compagna chiedeva a Emanuele Mancuso «di fare bonifiche e di controllare se ci fossero telecamere sui pali dell’elettricità delle zone limitrofe, inoltre mi indicava un ingresso diverso da quello principale, che portava comunque all’interno» del resort «e che era utilizzato, che io sappia, anche da altri che andavano a parlare con lui, in particolare parlo dei membri della famiglia Bellocco di Rosarno». Per gli affari dopo il trasferimento a Ricadi, Diego Mancuso avrebbe delegato il figlio del boss della zona di Ricadi Peppe Ripepi, «circostanza – continua il pentito – che conosco perché fui io stesso a individuare Ripepi come soggetto in gamba del posto che potesse eseguire le sue disposizioni e a proporlo a Diego che acconsentì».
A disposizione del boss sarebbe stato anche «tale Boccardelli», che gli investigatori individuano in Angelo, 73enne di Segni, in provincia di Roma. Segni particolari: «autista» di “Addecu” e massone. Non un massone qualsiasi, peraltro. Boccardelli è il soggetto che il pentito Maurizio Cortese ha conosciuto in carcere dove è finito 14 anni fa coinvolto nell’operazione “Maestro” contro la cosca Molé di Gioia Tauro. Per il collaboratore è il «gran maestro del Goi» che lo avrebbe introdotto «nel mondo della massoneria». Boccardelli è stato in passato assistente personale e segretario del conte Giacomo Maria Ugolini, ex ambasciatore di San Marino e fondatore della “Gran Loggia”, sempre a San Marino. Ugolini è al centro dei racconti di un altro pentito, Cosimo Virgiglio, che ne riconduce l’attività alla creazione di un “sistema” massonico, una sorta di “successore” della loggia P2 in cui avrebbero trovato asilo anche interessi e personaggi legati alla ‘ndrangheta. Boccardelli – che nei brogliacci di Olimpo appare spesso ma non è indagato – ha sempre smentito che Ugolini possa aver avuto un ruolo del genere. La sua storia, però, si incrocia con quella della famiglia Mancuso dopo aver toccato la parabola del conte, la cui figura rimane centrale – secondo gli investigatori – nel racconto di quel mondo di mezzo che avrebbe consentito alla ‘ndrangheta di fare il salto di qualità e entrare in contatto con ambienti vicini ai mercati finanziari. Questa è un’ipotesi investigativa. Come, invece, Boccardelli sia passato dall’inner circle del conte Ugolini a quello di un boss di Limbadi è, per ora, un mistero. (p.petrasso@corrierecal.it)
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