COSENZA Un altro pezzo di storia del Cosenza calcio, proprio nei giorni in cui ricorrono i 109 anni di vita della società rossoblù. Gianluca Presicci e Nicola Di Leo sono stati compagni di squadra di Denis Bergamini alla fine degli anni ’80 e questa mattina, nel corso dell’udienza del processo in Corte d’Assise al tribunale di Cosenza sulla morte dell’ex calciatore (era assente l’unica imputata Isabella Internò), hanno risposto alle domande del pm Luca Primicerio e degli avvocati di parte Pugliese-Marzocchi/Anselmo-Galeone. Le due testimonianze sono apparse genuine e prive di contraddizioni. In alcuni passaggi, soprattutto nel caso di Presicci, ha prevalso la commozione per il ricordo di quel giorno terribile, il 18 novembre del 1989, in cui Bergamini perse la vita.
«Ero molto legato a Denis – ha affermato Presicci – avevamo un rapporto splendido. Era un ragazzo d’oro, leale, brillante, mai banale. Di una serietà unica. Quel gruppo di calciatori era molto unito, volevamo tutti fare carriera. Eravamo professionali ma Denis lo era un po’ più di noi. Amava la vita e il calcio, lo volevano anche in serie A, la Fiorentina per esempio. Passammo le vacanze estive del giugno 1989 insieme a Riccione. Con noi c’erano anche Padovano e Marino. Non era affatto turbato, anzi. Giocavamo insieme a calcio sulla spiaggia. Io, subito dopo, fui ceduto al Modena e appresi della sua morte in ritiro a La Spezia. Mister Ulivieri entrò nella mia camera e spense subito la televisione». A questo punto il ricordo dell’ex difensore, visibilmente commosso, si è interrotto per qualche secondo. «La cosa mi stupì – ha proseguito Presicci – perché non era solito girare per le stanze dei suoi calciatori, poi capii che lo fece per evitare che non dormissi prima della partita. Il giorno dopo a colazione seppi della morte di Donato. Non ho mai creduto a quello che venne riportato dai giornali. Non ho mai creduto alla teoria del suicidio. Io penso che lo abbia ucciso qualcuno. Nella vita ognuno di noi attraversa alti e bassi, ma lui nei momenti bassi raddoppiava le forze, era incredibile». Presicci ha parlato anche del suo rapporto speciale con Michele Padovano. «Nei miei tre anni di Cosenza – ha detto – abbiamo vissuto nella stessa casa, la nostra amicizia resiste ancora oggi, siamo come fratelli, ho fatto da padrino a suo figlio Denis. Quando uscirono le notizie che facevano riferimento a un suo probabile coinvolgimento nella morte di Denis, affrontai Michele a muso duro. Volevo sapere se c’entrava qualcosa ma lui negò sempre e, conoscendolo bene, credetti alla sua buona fede. È sempre stato un buono e dissi anche a Donata di non concentrarsi su Padovano nella ricerca della verità. Mi diede retta». Su Isabella Internò, Presicci ha ammesso di averla conosciuta. «In un paio di circostanze – ha rivelato – siamo usciti con la mia fidanzata, che è la mia attuale moglie, Denis e Isabella. Una volta siamo andati al mare a Paola. Credo si siano lasciati nel mio ultimo anno a Cosenza. Lui però era molto riservato, non parlava granché dei fatti privati».
Nicola Di Leo arrivò a Cosenza nel 1989, in sostituzione di Gigi Simoni, portiere della squadra molto amato dalla tifoseria. «Quella sera – ha detto il teste – dopo il cinema, andammo come al solito al Motel Agip per la cena. Ogni ritardo veniva fatto scontare con una penale di mille lire al minuto. Io ero seduto a capo tavola e Bergamini non c’era ancora. Tra di noi parlavamo della multa che avrebbe preso quando ad un tratto, da lontano, vidi arrivare mister Simoni con le mani nei capelli insieme a mister Pini. Si accasciarono sul divano e io lì dissi ai miei compagni che non era più il caso di ridere, che sicuramente era successo qualcosa di grave. Poi mister Pini ci disse tutto. Tra di noi facemmo fatica a credere che potesse essersi buttato sotto al camion. Donato era un professionista esemplare e tutti sapevano che aveva tante richieste in serie A». Di Leo ha raccontato anche un episodio che ancora oggi, a distanza di quasi 33 anni, non riesce a metabolizzare. «Dopo l’ultima partita di campionato a Trieste – ha ricordato – i tuttofare della società Mimmolino Corrente e Alfredo Rende vollero darmi a tutti i costi un passaggio a Trani, la mia città, dove mi attendevano mia moglie e i miei figli. Io accettai anche se avevo già acquistato il biglietto del treno. Giunti a Trani, gli proposi di fermarsi a casa mia a dormire ma loro decisero di proseguire il viaggio verso Cosenza. La mattina dopo seppi della loro morte in un incidente. Io, lo ammetto, da quel momento in poi sono andato in confusione totale. Non mi sono mai ripreso veramente da quell’episodio. Avevo un altro anno di contratto con il Cosenza ma a fine stagione decisi di andare via, troppo dolore in così poco tempo, prima Donato, poi Mimmolino e Alfredo. Probabilmente quella fu anche la fine della mia carriera di calciatore perché successivamente non ebbi più rendimenti alti. Di Mimmolino Corrente sapevo soltanto che aveva gli indumenti di Bergamini e che voleva portarli alla famiglia, anche per raccontargli la sua versione dei fatti». L’ex portiere del Cosenza ha rivelato anche di aver fatto un pensiero sull’acquisto della Maserati, poi presa da Bergamini. «Santino Fiorentino (dirigente del Cosenza, ndr) l’aveva proposta un po’ a tutti – ha rivelato Di Leo –. Io ero un appassionato di automobili ma dopo averne parlato con mia moglie, mi resi conto che non era l’ideale per una famiglia e lasciai perdere». Dopo i due calciatori, sul banco dei testimoni è salito Gianfredo Lecci, quell’anno carabiniere alla stazione di Roseto Capo Spulico. Le sue dichiarazioni, però, sono apparse fin da subito contradditorie rispetto ai verbali del 2017 e ricche di «non ricordo». Soprattutto in riferimento al posto di blocco, poco prima della tragedia, in cui venne fermata la Maserati con a bordo Donato Bergamini e Isabella Interò. Sul verbale dell’epoca, il nome di Lecci, insieme a quelli del brigadiere Barbuscio e dei colleghi Rossi e De Palo, risulta presente sul luogo del fermo dell’automobile, «ma io la Maserati – ha detto il carabiniere – la ricordo solo nello spiazzo del luogo dell’incidente». Dopo pochi minuti, il presidente della corte Paola Lucente, in accordo con il pm e gli avvocati di parte, ha congedato Lecci e ha deciso di acquisire la sua sit del 2017. A fine udienza, nonostante il parere contrario dei difensori di Isabella Internò, viste le precarie condizioni di salute della donna, la corte ha acquisito anche la deposizione del 1991 di Maria Zerbini, madre di Bergamini, che avrebbe dovuto testimoniare nelle prossime settimane. La nuova udienza del processo è fissata per l’8 marzo.
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