REGGIO CALABRIA Ha chiesto «verità e giustizia» Antonio Ingroia, legale di parte civile per le famiglie dei carabinieri Fava e Garofalo. L’ex pm del processo sulla trattativa Stato-mafia è intervenuto al termine della requisitoria del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, per chiedere alla Corte d’Assise d’appello presieduta da Bruno Muscolo la conferma dell’ergastolo per Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippo, il boss palermitano e l’esponente della cosca Piromalli di Gioia Tauro, già condannati in primo grado per l’uccisione dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, trucidati il 18 gennaio 1994 in un agguato avvenuto sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria nei pressi dello svincolo di Scilla.
Ingroia ha parlato di «un processo storico» e di una inchiesta «fondamentale per ricostruire la “cosa unica”». «Per molto tempo – ha detto il penalista – abbiamo pensato alla ‘ndrangheta e a Cosa nostra come due entità a parte».
«Nel banco degli imputati – ha detto ancora Ingroia – abbiamo soltanto i responsabili di questo duplice omicidio, ma ci sono altri responsabili ancora impuniti».
Nel corso del suo intervento Ingroia ha parlato della strategia stragista attuata da ‘ndrangheta, Cosa nostra e “pezzi deviati dello Stato”. E poi ha anche fatto riferimento all’attentato (fallito) contro Maurizio Costanzo nel 1993.
«È un processo che arriva alla fine di un percorso complesso. La Procura di Reggio Calabria, il dottore Lombardo in particolare, ha sintetizzato proseguito e approfondito e completato un’opera che anch’io, tra gli altri, avevo iniziato qualche decennio fa, la cosa importante è che la magistratura non si fermi nella ricerca della verità. Una verità pesante, una verità che dimostra che qui c’erano rappresentanti di Cosa nostra, della ‘ndrangheta, ma ci sono altri responsabili di quella stagione che ancora non sono imputati». Così Ingroia subito dopo la fine dell’udienza.
«Ho chiesto verità e giustizia – ha detto il legale – perché credo che la giustizia per essere completa e compiuta deve passare certamente da questa sentenza con una conferma della condanna degli imputati, ma anche da una motivazione alla sentenza che dia conto delle altre responsabilità che ancora non sono emerse. La giustizia si fa completa quando tutti gli imputati vengono portati al banco degli accusati».
Un passaggio dell’intervento di Ingroia è stato poi dedicato all’attentato, poi fallito, contro Maurizio Costanzo nel 1993. «Io – ha detto l’ex magistrato – ho sempre pensato che l’attentato a Maurizio Costanzo avesse più finalità. Una delle finalità era quella di usare metodi forti per convincere Berlusconi a scendere in campo perché in quel momento c’era un dibattito nell’entourage di Berlusconi. I “falchi” cosiddetti come Dell’Utri e Previti, e soprattutto Dell’Utri, condannato definitivo per rapporti con la mafia, spingevano perché lui entrasse in politica. Altri, come Maurizio Costanzo in particolare, erano contrari. E guarda caso l’attentato va a chi era contrario alla discesa in campo di Berlusconi. Tutto sembrava un attentato contro Costanzo, ma anche un avvertimento a Silvio Berlusconi».
«Non ho voluto divagare troppo nell’arringa, – ha detto infine Ingroia – ma ho fatto riferimento ai messaggi obliqui di Salvatore Baiardo, l’uomo di Graviano. Si poteva anche parlare di tutte le stranezze attorno alla cattura di Matteo Messina Denaro». (redazione@corrierecal.it)
x
x