COSENZA Prima Diego Armando Maradona, poi Gianni Di Marzio, infine Settimio Aloisio. Quest’ultimo se n’è andato ieri, all’età di 89 anni. Ma se i primi due si conoscono bene perché raccontano, senza bisogno di aggiungere parole di troppo, la storia del calcio, quello di Aloisio è un nome meno noto, almeno a chi di pallone non sa niente o sa poco. Il nome di Settimio Aloisio è legato indissolubilmente a quello di Maradona e Di Marzio perché fu proprio lui, ingegnere originario di Aiello Calabro ma trasferitosi in Argentina in giovane età, a far sbocciare definitivamente il futuro Pibe de oro. Nel 1978 Gianni Di Marzio, allora tecnico del Napoli, si recò in Argentina per seguire i mondiali di calcio. Viaggiò da una parte all’altra del Paese alla ricerca di giovani talenti da portare in Italia. Un giorno, durante un breve tragitto in taxi, chiese scherzosamente all’autista se conosceva qualche promessa poco conosciuta da indicargli. La risposta dell’uomo al volante fu immediata: Diego Armando Maradona. Un ragazzino di grande talento ma non convocato dal ct argentino Menotti per i mondiali. Maradona in quel periodo giocava con l’Argentinos Juniores, il cui settore giovanile era curato proprio da Settimio Aloisio. Quando Di Marzio lo contattò, l’ingegnere calabrese non riuscì quasi a crederci. Conosceva bene quell’uomo che in due anni aveva portato la sua squadra del cuore, il Catanzaro, in serie A. In pochissimi giorni mise in piedi una partita per far ammirare all’allenatore napoletano il pezzo pregiato della sua squadra. Inizialmente Maradona non voleva giocare, era ancora arrabbiato per la mancata convocazione ai mondiali. Ma quando Di Marzio si presentò con Aloisio a casa sua a Villa Fiorito, un sobborgo malandato di Buenos Aires, si convinse. La partita, ovviamente, si trasformò in uno show del giovane Maradona: dribbling, punizioni e sforbiciate. In pochi minuti Di Marzio capì di avere davanti un fuoriclasse assoluto a tal punto da proporgli immediatamente un contratto di 220 mila dollari. Maradona da quel momento in poi trascorse l’intero torneo mondiale accanto a Gianni Di Marzio. Ma non arrivò subito in Italia. Ferlaino, presidente del Napoli, bloccò quella trattativa per via del blocco degli stranieri nel campionato italiano. Ormai, però, il talento di Maradona era uscito allo scoperto.
Ieri, una volta appresa la notizia della morte di Aloisio, Gianluca Di Marzio, figlio di Gianni e noto giornalista di Sky, ha postato una foto sul suo profilo Instagram con questo commento: “Quel signore sorridente vicino a Diego e papà. In questa foto del 1978 in Argentina, li ha raggiunti e ritrovati proprio oggi: una notizia che mi ha davvero addolorato, per Settimio Aloisio era stato determinante all’epoca nel far vedere Maradona dal vivo a mio padre. Insieme cercarono di portarlo subito al Napoli ma le frontiere per gli stranieri in serie A erano chiuse (riaprirono due anni dopo) e per vari motivi quello storico trasferimento si concluse poi solo nel 1984. Calabrese, da una vita a Buones Aires, Aloisio ad aprile avrebbe compito 90 anni e nel calcio è stato poi un grande intermediario. Ho sentito il suo nome e cognome così tante volte nei racconti commossi di papà…e quindi ci tengo davvero a ricordarlo con affetto”.
Sulla scomparsa di Aloisio è intervenuto anche Franco Iacucci, vicepresidente del Consiglio regionale. Iacucci definisce Aloisio «un illustre figlio di Aiello Calabro. Settimio lasciò Aiello Calabro da giovanissimo insieme a tutta la famiglia: una famiglia convintamente comunista che si era distinta già per la campagna referendaria del 1946 a favore della Repubblica. Ma la povertà della nostra terra li spinse a partire per l’Argentina per cercare fortuna come tanti, troppi altri calabresi. Solo che i fratelli Aloisio sarebbero diventati ben presto famosi. Sono tanti i racconti legati alla famiglia che mi rimandano agli anni della mia giovinezza quando sentivo parlare, per esempio, del fratello di Settimio, Ferdinando. Nando fu sindacalista dell’Inca Cgil dell’America Latina, antifascista, combattente per i diritti degli emigrati in un’Argentina in cui ben presto il regime peronista avrebbe cercato di spegnere tutte le voci di dissenso. Lo ascoltai parlare una volta a Roma alla Fao insieme ad altri grandi leader di quegli anni, arrivò in macchina con Pajetta il responsabile “esteri” dell’allora Partito Comunista. Le sue origini aiellesi mi riempivano di orgoglio. Settimio, invece, appassionato più di sport che di politica, si fece strada in Argentina partendo da zero con determinazione e spirito di iniziativa fino a diventare l’agente di grandissimi campioni e stimato intermediario. Fu l’agente di Caniggia e Batistuta ma il colpaccio arrivò quando scoprì un giovane talento di nome Diego Armando Maradona. La storia di quella estate è diventata ormai famosissima. In quell’anno Aloisio lavorava nell’Argentinos Juniors e in Argentina si disputavano i Mondiali di calcio. Fu lui ad insistere con Di Marzio, allora allenatore del Napoli, perché vedesse giocare il giovane Maradona, offeso e imbronciato perché non era stato convocato in nazionale. Da quel giorno Di Marzio e Aloisio fecero di tutto perché il futuro pibe de oro potesse arrivare in Italia e da lì alle più alte vette del successo calcistico. Ho letto con commozione le parole con cui il figlio di Di Marzio, Gianluca, ricorda Settimio Aloisio. Sono certo di interpretare il sentimento di tutti gli aiellesi – conclude il suo pensiero Iacucci – nel dolore per la morte di Settimio e nell’abbraccio a tutta la sua famiglia, al fratello Italo, alle sorelle, ai figli e ai nipoti. Uno di loro Carlito ha seguito le orme dello zio ed è procuratore di calcio, chissà che non ci regali qualche sorpresa in futuro. D’altra parte buon sangue non mente».
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