LAMEZIA TERME Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha chiuso la propria audizione in Senato sul naufragio di Cutro spiegando che «l’assetto aereo Frontex che per primo ha individuato l’imbarcazione dopo le 22 del 25 febbraio a 40 miglia nautiche non aveva segnalato situazioni pericolose o di stress a bordo, evidenziando la presenza di una sola persona sopra coperta e altre sotto coperta e una buona galleggiabilità». Giusto qualche minuto e le agenzie riprendono una comunicazione nella quale l’agenzia Frontex fa sapere che «come sempre in questi casi, abbiamo immediatamente informato dell’avvistamento il Centro di coordinamento internazionale e le altre autorità italiane competenti, fornendo la posizione dell’imbarcazione, la rotta e la velocità». La parola «competenti» non è scelta a caso: Frontex evidenzia che spettava alle autorità italiane intervenire. Poche frasi aprono il guazzabuglio del conflitto di competenze che ha portato al mancato intervento. E a una sorta di “peccato originale” che prende forma proprio nel primo avviso dell’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera. Alle 23.03 di sabato, il velivolo Frontex Eagle 1 aveva segnalato la barca dei migranti: a 38 miglia a sud est di Capo Rizzuto, «con una persona visibile in coperta», che «procedeva a una velocità di 6 nodi» e che «non evidenziava elementi che facessero pensare a una unità in distress». È, questa, la stessa notazione che finirà nella relazione inviata dalla Guardia costiera alla Procura di Crotone.
Il resto della storia è ancora da scrivere. Alcuni documenti pubblicati oggi dal Corriere della Sera raccontano le versioni di Guardia di finanza e Guardia costiera. Dopo il primo dispaccio Frontex, due mezzi della Guardia di finanza partono per intercettare il barcone. Questo il virgolettato riportato dal quotidiano: «Alle ore 03:40 circa la Sala Operativa del Comando Provinciale GdF di Vibo Valentia comunicava all’Autorità Marittima di Reggio Calabria che le due unità navali della Guardia di finanza sono state costrette ad interrompere la navigazione per avverse condizioni meteo marine. Gli operatori di sala richiedevano alla medesima Autorità l’intervento di proprie unità navali per raggiungere il target, senza ricevere riscontro».
Quel «senza ricevere riscontro» assume connotati diversi nella relazione della Guardia costiera. «Alle ore 3.48», dice il documento di cui il Corsera riporta i virgolettati, «la Guardia di finanza di Vibo Valentia informa i nostri di Reggio Calabria che i mezzi stanno tornando indietro per le condizioni avverse del tempo. Ci hanno chiesto se avevamo unità operative nella zona, noi abbiamo risposto che al momento non ne avevamo in attività operativa ma che le avremmo impiegate se ci avessero chiesto soccorso». Di più: la relazione della Guardia costiera spiega che, parlando con la Finanza di Vibo in quel contatto delle 3.48, «concordavano sulla mancanza di elementi di criticità» rifacendosi, in sostanza, agli elementi dati dall’avvistamento Frontex. Il “peccato originale”, appunto.
C’è poi, la questione dell’acquisizione del «target». Scrive la Guardia di finanza: «Alle ore 03:50 la Sala Operativa del Provinciale Gdf di Vibo Valentia, mediante la postazione della rete radar costiera, acquisiva un target verosimilmente riconducibile alla segnalazione Frontex». Secondo la ricostruzione del Corriere della Sera, la Guardia costiera avrebbe segnalato «che in quel momento (alle 3.48, appunto) le imbarcazioni della Gdf non battevano nulla al radar». La Guardia costiera, in sostanza, avrebbe ricevuto la prima segnalazione di un «possibile target battuto al radar» alle 4.25. «A quell’ora – scrive il Corriere – viene a sapere che uno dei mezzi della Finanza, tornando indietro, aveva individuato, appunto, un possibile target “a 7 miglia, in zona Steccato di Cutro”. Tra l’altro l’informazione è priva di coordinate: “Solo la distanza di un target con l’indicazione geografica della località”».
Altro punto oscuro: più di sedici ore prima che il velivolo Eagle di Frontex intercettasse il barcone con 200 migranti poi naufragato al largo di Crotone, un «dispaccio generico di allerta distress» relativo a una imbarcazione era stato lanciato dal Centro per il coordinamento del soccorso in mare di Roma (Mrcc). Il dispaccio, pubblicato il 26 febbraio dal giornalista di Radio Radicale Sergio Scandura, avvertiva in ben quattro invii sia il 24 febbraio sia il 25 febbraio che una «stazione radio italiana ha ricevuto un mayday circa una barca in potenziale distress», non ne recava le coordinate e invitava «tutte le navi in transito nel mar Jonio» a tenere sott’occhio l’area e a «riferire qualsiasi avvistamento o comunicazione» al Centro. Calcoli della rotta e dei tempi portano a escludere che si trattasse dello stesso barcone che si è schiantato contro la secca di Cutro. Resta il dubbio su chi abbia lanciato il mayday.
Ieri Vittorio Aloi, il comandante della Guardia costiera di Crotone ha detto: «A me non risulta nessuna comunicazione per imbarcazione in distress». E sulla gestione dell’intervento di domenica mattina ha aggiunto: «Le operazioni le conduce la Guardia di finanza finché non diventano operazioni di Sar». È il nodo cruciale della vicenda: operazioni di polizia o di soccorso. Ed è legato a sua volta al primo avviso di Frontex, una segnalazione che non “presentava” le condizioni del barchino poi naufragato come precarie. Da parte sua, l’agenzia europea ribadisce che la competenza sugli interventi di soccorso spettava alle autorità italiane. Che, però, si sono affidate alle segnalazioni di Frontex. Una giungla di competenze che la magistratura è chiamata ad attraversare per sciogliere dubbi e chiarire eventuali responsabilità.
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