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SETTE GIORNI DI CALABRESI PENSIERI

I sommersi e i salvati nella tragedia di Steccato di Cutro

Le parole (sbagliate) di Piantedosi nell’ora del silenzio. La Calabria umana nell’umanità devastata. Il conforto e la denuncia della Chiesa

Pubblicato il: 04/03/2023 – 6:55
di Paride Leporace
I sommersi e i salvati nella tragedia di Steccato di Cutro

Quando apro la televisione domenica, dopo aver appreso la notizia, hanno tirato dal mare diversi cadaveri, adagiati sulla spiaggia di Steccato di Cutro, coperti da lenzuoli bianchi, costellati da fiorellini gialli. Quanti sono i morti? Si capisce che saranno molti. La conta con i naufraghi del mare ha tempi indefiniti.
Scrive Jean Claude Izzo: «Un immigrato è qualcuno che non ha perso niente, perché là dove viveva non aveva niente. La sua unica motivazione è sopravvivere un po’ meglio di prima». È una storia antica come il mondo. Enea fugge da Troia con il padre Anchise in spalle e il figlio Ascanio per mano. Sta scritto anche nei classici che avrà letto il ministro Piantedosi, quello che ha detto in prima battuta davanti al dramma: «La disperazione non giustifica i viaggi a rischio». Era l’ora del silenzio, del capire quello che non aveva funzionato. Le parole sono importanti in politica. Necessarie. Un ministro non parla a vanvera. Quanti sono i morti?
C’erano molti bambini, un neonato, due gemellini. Piantedosi: «Non dovevano partire». Il governatore Roberto Occhiuto malcelato nel dolore, da cattolico sembra rimuginare se c’era Dio quella mattina sul mare forza 7 che a pochi metri dalla battigia ha infranto il veliero su uno scoglio. Il sottosegretario Wanda Ferro, pur con il suo riconosciuto buon senso, è smarrita temendo la lotta politica. forse ricorda che quando era all’opposizione e ai governi un disastro si riversa addosso con il conto dei morti.
Occhiuto a mente fredda analizza un dato per ore non analizzato da commentatori dilettanti e professionisti. La rotta turca verso la Calabria è sottovalutata, non considerata da anni. In migliaia sono sbarcati tra Roccella e Crotone, quasi fosse quella poesia di Pasolini, e nessuno governa nulla. Erdogan che prende soldi dall’Europa, l’operazione di polizia che prevale sul soccorso, mafiosi che assoldano skipper e marinai, quelli mostrati da un video sopravvissuto dalla tragedia. Un fenomeno nascosto dall’accoglienza di Calabria, terra di migranti che conosce l’andare difficile per il mondo a cercarti un altrove. È la mia gente, che ancora mi emoziona e mi esalta per come sa essere umana in questa umanità devastata.
Pescatori che non hanno mai buttato cadaveri in mare, paesani rivieraschi e di collina che corrono verso il pericolo, uomini in divisa che strappano naufraghi alla morte. Uomini della protezione civile che alle telecamere del circo mediatico mostrano volti segnati da attimi angoscianti e proferiscono parole di prammatica per antica gentilezza verso chi è forestiero. I calabresi che aprono case ricche e povere e prestano soccorso e accoglienza da anni. A Badolato, a Riace, a Reggio hanno sempre mostrato l’umana pietà a coloro che scappano dalla guerra, dalla fame, dalla povertà infima e che la gran parte di loro che sono stati poveri, e ancora a volte lo sono, riconoscono come figli e madri. Nonna Nicoletta, 80 anni, guardava la televisione come me, e ha offerto la cappella di famiglia per far riposare quei corpi caduti accanto al marito morto. Nicoletta si è ricordata dello zio disperso nella guerra in Russia e non tornato a Botricello neanche cadavere.
I naufraghi cercano i parenti sulla spiaggia di Steccato di Cutro. Una madre urla il nome del figlio. Uno scafista viene sottratto al linciaggio. Anche i disperati diventano massa brutale in un primordiale desiderio di non poter sopportare un terribile eccidio.
Le telecamere di Giletti mostrano il dottor Orlando Amodeo. E bisogna riconoscere che nella cronaca bisogna sempre sapere cosa raccontare. Amodeo noi cronisti calabrese lo conosciamo bene. È un ex medico della Polizia che nel corso degli anni ha salvato migranti in mare, anche in condizioni proibitive. Piantedosi reagisce e invoca l’Avvocatura di Stato mentre si cercano cadaveri. Le parole sono importanti. Ministro Piantedosi, tra il 24 aprile e il 25 aprile 2021, furono salvati a Crotone 119 migranti a bordo di un peschereccio in difficoltà con mare a forza 7 e raffiche di vento a 40 nodi. La Guardia costiera coordinò un’operazione durata dalla notte al giorno.
C’era un caicco in mezzo al mare stipato di famiglie che non avevano visto il Mediterraneo, l’aereo l’ha avvistato, il pescatore calabrese ha lanciato l’allarme. Gli scafisti hanno visto le luci, forse hanno tentato una manovra assurda, le onde hanno portato la morte. I preti calabresi hanno portato conforto e denuncia. Vescovi e parroci dalla spiaggia al palazzetto della morte.
Una fila di bare marrone e bianche sovrastate da ghirlande dei fiori. Quando sono arrivati da tutta Europa i parenti dei morti sembravano le madri di San Giovanni in Fiore che andavano a prendersi i loro morti al disastro di Mattmark, i padri che cercavano i figli al treno caduto della Fiumarella di Catanzaro. C’era una bambina rimasta senza nome a Steccato di Cutro. L’hanno chiamata kr14f9 per identificarla. Il sindaco di Catanzaro, Nicola Fiorita, si è offerto di seppellirla nel capoluogo della Calabria, mai così capoluogo, e di chiamarla Angelita, come la bambina trovata sulla spiaggia di Anzio dai marines americani con quattro conchiglie in mano. Hanno giocato con il lutto al braccio i giocatori di Cosenza-Reggina e l’incasso della partita è stato devoluto alle famiglie delle vittime. Amo questo nostro essere patetici di noi calabresi. Nel senso più alto del termine. Nella rappresentazione della sofferenza altrui, noi sempre ultimi in tutte le classifiche raggiungiamo quasi sempre il sublime.
Ha scritto Andrea Monda sull’Osservatore Romano che oggi Cristo è dall’altra parte della soglia, e dice le parole, contenute nel libro dell’Apocalisse, che ripeterà fine alla fine del mondo: «Io sto alle porte e busso». Cristo non più fermo ad Eboli, ma in mezzo a noi negli sbarchi in Calabria che apriamo le porte senza aspettare l’Europa, i ministri, i presidenti, i dignitari, gli ambasciatori.
Edmondo De Amicis, che fu anche giornalista, decise di imbarcarsi su un piroscafo che trasportava 1500 migranti italiani in viaggio di speranza verso l’Argentina in un esodo biblico che ha molte similitudini con le vicende di oggi. Ne trarrà il romanzo “Oceano” l’autore di “Dagli Appennini alle Ande” racconto lungo del Cuore che non si legge più. Ancora meno si conosce la poesia “Emigranti” dello stesso autore in cui si legge: «Sulla gelida prua morsa dai venti, Migrano a terre inospiti e lontane; Laceri e macilenti, Varcano i mari per cercar del pane. Traditi da un mercante menzognero…», versi che tornano attuali, quelli della “carne da cimitero”.
Chi sono i sommersi e i salvati in questa drammatica storia di Steccato di Cutro? E dove sta la zona grigia? Quella della mezza coscienza. Primo Levi invitava a tenere sospeso il giudizio verso questa categoria. È avvenuto, quindi può accadere di nuovo. Ha detto con schiettezza Nicola Gratteri su questo disastro: «Ho visto tutti i politici battersi il petto, tutti indignati. Ho sentito le stesse frasi pronunciate quando sono morti nel canale di Sicilia circa 300 profughi. La verità è che fra tre giorni dopo i funerali, ci sarà un altro argomento da prima pagina e ad occupare i tg, la vita corre veloce e digeriamo tutto». No, niente voti questa settimana in questa rubrica. Il giudizio resta sospeso. Solo cattivi pensieri addolciti dalla patetica umanità delle sorelle e dei fratelli calabresi che hanno accolto morti e vivi giunti da un altrove a bordo di un vecchio caicco.

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