CROTONE «Quanto accaduto domenica a Steccato di Cutro non è un naufragio, ma una strage che ha delle precise responsabilità politiche da ricercare nelle politiche verso i migranti degli ultimi decenni portate avanti da governi di centrodestra e centrosinistra». Lo ha detto Stefano Mancuso, portavoce della Rete 26 febbraio 2023, costituita da 200 associazioni della regione, che, nel pomeriggio, ha organizzato a Crotone un sit-in davanti alla Prefettura per protestare contro le scelte dell’attuale governo sull’immigrazione. Alla manifestazione, che si è svolta malgrado la pioggia, ha partecipato un centinaio di persone tra cui anche molti parenti delle vittime del naufragio che sono giunte a Crotone da tutta Europa. «Troviamo vergognose – ha aggiunto Mancuso – le parole del ministro e il balletto delle responsabilità su quanto accaduto. Chiediamo verità e giustizia per questa strage e la fine delle politiche migratorie criminali che generano queste tragedie. Chiediamo l’apertura di procedure legali affinché chi scappa da guerre, da oppressioni e da fame estrema non debba mettersi in pericolo in questi viaggi della speranza».
«Noi ringraziamo di cuore il Presidente Mattarella, che è venuto qui due giorni fa. So che è un uomo di parola, il popolo italiano è un popolo grande e il governo italiano è potente. Noi afghani, parenti delle vittime, chiediamo aiuto al governo e al signor Presidente che è venuto qui e ci ha promesso che avrebbe fatto il possibile. Noi siamo qui per portare queste vittime nei paesi di origine o nei paesi dove vivono». A parlare, in un italiano incerto, è Mohammad Haroon Faizi, un ragazzo afghano che vive in Italia dal 2015. E’ lui il primo a prendere la parola al presidio davanti alla Prefettura organizzata da 277 associazioni riunite sotto la sigla “Rete 26 febbraio”. «Speriamo che il Presidente mantenga la sua parola – dice Mohammad – E la metta in pratica». Poi dice: «Vogliamo due cose: che debbano continuare le ricerche dei dispersi e che le vittime recuperate dal mare vengano trasferite nei paesi di origine. O dove vogliono i parenti. Ancora non è chiaro. Sappiamo che hanno detto ”Faremo prima possibile”, ma non sappiamo nulla». «Ci dicono solo ”dovete essere calmi”. Per avere il certificato di morte deve essere il comune a venire da noi o dobbiamo andare noi dalla Polizia? Non ci dicono nulla».
«Abbiamo il diritto da esseri grattati da esseri umani. Noi siamo qui per chiedere aiuto -dice – e poi le salme iniziano a fare cattivo odore, vanno spostate da lì. Tutti sono preoccupati, i familiari. Noi vogliamo solo sapere cosa fare. Basta saperlo, noi vogliamo che la gente possa portare via i propri cari. Tutti abbiamo un lavoro, e rischiamo di perderlo». E conclude: «Non vi preoccupate, non siamo dei pesi, io lavoro come voi. Tutti volevano una vita come voi». «Brancoliamo nel buio senza alcuna informazione – dice poi Manuelita Scigliano dell’associazione Sabir -. Siamo il loro punto di riferimento. Siamo noi a essere martellati dalle loro richieste. Che documenti dobbiamo preparare? Non sappiamo nulla. Va data la documentazione ma anche le risposte. Mattarella ha promesso di facilitare le pratiche».
«Chiediamo che ci sia un vero coordinamento. Non li si può lasciare soli: servono risposte concrete. Sarà una procedura lunga. Molti speravano di partire oggi ma non è possibile. Va garantito il rispetto: bisogna garantire il rispetto per il culto religioso. Molti lamentano di non avere potuto espletare pratiche del loro culto. Rispetto e risposte».
«Sono arrivata dall’Olanda, perché non vedevo l’ora di riabbracciare dopo anni mia sorella e i suoi figli, avevo anche portato dei giocattoli per le bimbe, ma ora mi ritrovo solo delle bare con dei corpi irriconoscibili». Piange, Mina, Aisha, una signora di 50 anni con il viso stravolto dalla disperazione, originaria dell’Afghanistan, che da alcuni anni vive in Olanda. Era arrivata sabato a Crotone, in attesa dell’arrivo del barcone con a bordo la sorella e i suoi nipotini, tra cui una bimba di 7 anni. «Ci eravamo sentite anche la sera di sabato e mia sorella mi aveva detto che dopo poche ore sarebbero arrivate sulle coste di Crotone. Poi, all’alba, la tragedia. E ora mi ritrovo qui, al Palasport a piangere sui corpi dei miei cari. Tutto questo non è giusto», si dispera la donna.
Ad occuparsi della donna è Francesca Cardamone di Sos Villaggio dei Bambini, che in questi giorni ha ascoltato molte storie tristi, tutte simili, di mancati ricongiungimenti di famiglie lontane da anni. Mina sta aspettando da ieri l’avvio delle procedure per il rimpatrio delle salme. Oggi ha partecipato al sit in di protesta organizzato davanti alla Prefettura di Crotone, insieme con tanti altri parenti delle vittime o dei dispersi. Accanto a lei c’è un’altra donna, anche lei vestita di nero. Anche lei ha perso diversi familiari. Le storie si assomigliano tutte, nella loro disperazione.
«Siamo arrivati in macchina dall’Olanda – spiega Mina all’Adnkronos – doveva essere una festa, invece è una tragedia». Ma Mina non è la sola ad aspettare i documenti per potere riportare a casa i propri cari. Sono numerosi i parenti, arrivati soprattutto dalla Germania e dall’Olanda, che stanno cercando di capire come potere riportare in Afghanistan i familiari morti nel naufragio. Fino a questo momento il maggior numero di richieste per il rimpatrio arrivano dalla Germania e dell’Afghanistan. «Sentirò la Farnesina per vedere come risolvere il problema delle salme che torneranno in Afghanistan. Sarà necessario farle transitare attraverso un Paese che abbia rapporti con Kabul», ha precisato Khaled Zekriya, l’ambasciatore afghano in Italia nominato dal vecchio governo di Kabul prima del ritorno al potere dei talebani, che nei giorni scorsi è venuto a rendere omaggio alle vittime.
L’ambasciatore si è recato sulla spiaggia di Cutro. «I feretri dei familiari che non hanno prestato il consenso alla sepoltura in Italia sicuramente verranno trasferiti a Kabul», ha spiegato.
Gira con tre fogli in mano, i certificati di morte cdel consolato afghano che contengono i nomi della zia, Munika, e delle due cuginette, di 12 e 8 anni, Maewa e Hadija. Ma Alauddin Mohibzada, un ragazzo afghano di 23 anni, arrivato lunedì dalla Germania a Crotone per il riconoscimento delle salme, dopo 25 ore di macchina, non sa dove andare, a chi chiedere, per potere rimpatriare le salme dei congiunti in Afghanistan. Un altro figlio della zia, di appena 5 anni, Tajib, risulta ancora disperso. Gli unici superstiti del naufragio di domenica della famiglia di Alauddin sono lo zio Wahid, il marito di Munika e il figlio di 14 anni, Mustafa. Ancora sotto choc, al Cara di Capo Rizzuto. Alauddin partecipa alla manifestazione in corso davanti alla Prefettura di Crotone, insieme con decine di altri familiari e amici delle vittime o dei dispersi. «Abbiamo incontrato nei giorni il Presidente Mattarella e lo ringraziamo di vero cuore», dice ancora il giovane, che in Germania, a Gelsenkirchen, fa l’educatore per i bambini rifugiati, «e ci ha promesso che si sarebbe occupato personalmente di noi, però da quando se n’è andato non ci hanno detto più nulla. Io dovrei tornare in Germania per lavorare, non posso restare ancora per molto tempo».
Alauddin si rivolge, dunque, allo Stato Italiano e «alle autorità affinché mi possano aiutare, così come tutti gli altri miei connazionali, a potere portare i miei cari in Afghanistan». «Non ci dicono neppure a carico di chi sono i costi dei rimpatri delle salme – continua il giovane -. Ho saputo che per potere trasportare le tre salme ci vogliono quasi 30mila euro ma io questi soldi non li ho. Vorremmo solo essere presi in considerazione. Ci hanno promesso un aiuto. Abbiamo già perso tutto, adesso chiediamo solo un po’ di considerazione».
Alauddin è anche preoccupato perché le salme che si trovano nel Palasport di Crotone non sono in un luogo refrigerato e «dopo tutti questi giorni i corpi rischiano di andare in decomposizione. Per favore, aiutateci. Non vogliamo nulla, ma solo un po’ di comprensione». Lo zio Wahid non se l’è sentita di venire al sit in davanti alla Prefettura. Ha perso quasi tutta la sua famiglia, la moglie Munika di 35 anni e le tre figlie di 12, 8 e 5 anni. Il viaggio della famiglia di Wahid è iniziato mercoledì scorso da Smirne, in Turchia. «Per sei persone hanno pagato 30mila euro – dice – Tutti i risparmi della loro vita. Erano così felici di potere venire in Germania». Sabato notte l’avvicinamento alle coste di Crotone. «Alle 3.45 è arrivato il messaggio audio su whatsapp – ricorda Alauddin – e mio zio era tutto contento perché ormai il peggio era alle spalle». Invece, alle 4.10 lo schianto sulla secca, costato la vita a 70 vittime ufficiali e altre decine di dispersi. «E dopo una settimana di pianti e disperazione siamo ancora qui a chiedere di potere riportare i nostri cari in patria», dice Alauddin. Che vorrebbe trasportare le salme anche in Germania. Ma fino a oggi nessuno gli da indicazioni. E le salme restano al PalaMilone di Crotone. (Elvira Terranova/Adnkronos)
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