CROTONE Tre carte di credito, una carta bancomat e 500 dollari americani in contanti. Viaggiava così S. F., turco di 50 anni, uno dei due scafisti del barcone che si è distrutto a poche centinaia di metri della spiaggia di Steccato di Cutro facendo strage di una settantina di migranti. Lo scrive il Gip di Crotone che, recependo le risultanze del precedente decreto di fermo, ha convalidato il fermo per Sami Fuat e altri due presunti scafisti, Khalid Arlan, pakistano di 25 anni, e il turco Gun Ufk, al momento irreperibile, «fuggitivo» lo definisce il Gip (mentre per il più giovane del gruppo, I.H, pakistano di 17 anni, procede il Tribunale dei minorenni di Catanzaro che ha fissato l’udienza di convalida per oggi). Nell’ordinanza del Gip si cristallizza il ruolo dei quattro skipper in base alle testimonianze raccolte , nell’immediatezza della tragedia, dai sopravvissuti, testimonianze in genere concordanti e affidate alla traduzione del mediatore culturale presente sul luogo della tragedia in quell’alba tragica di domenica scorsa.
«Tutti gli escussi – rileva il Gip – indicavano nei turchi Sami Fuat e Gun Ufuk i principali nocchieri del mezzo nautico» mentre i due «colleghi» pachistani I. H. e Khalid Arlan «invece avrebbero svolto attività accessorie funzionali alla gestione dei migranti, tanto nel territorio turco quanto sul mare aperto». Insomma,dai racconti emerge che Sami Fuat era una sorta di capitano dell’imbarcazione, quello su cui si sarebbero indirizzate le attenzioni di gran parte dei migranti a bordo nel corso di un viaggio che sarà un’odissea: è Sami Fuat che, nascostosi in mezzo ai superstiti, rischierà il linciaggio una volta riconosciuto da uno di loro, “salvato” dalle forze dell’ordine. È Sami Fuat – secondo le testimonianze raccolte nel decreto di fermo poi recepito nell’ordinanza del Gip – il presunto scafista che «grazie all’uso di apparati informatici idonei gestiva la navigazione fino alle coste calabresi». E ancora – riferiscono alcuni sopravvissuti – «gli scafisti disponevano di telefono satellitare ed apparecchio che sembrava tipo Jammer o apparecchiatura per inibire le onde radio/telefoniche. Il Jammer era attivo poiché nessuno dei cellulari di noi imbarcati aveva segnale telefonico».
A bordo del “caicco” ognuno dei presunti scafisti aveva un compito, con l’obiettivo di sorvegliare i migranti ammassati nella stiva. A questo provvedevano essenzialmente i due pakistani Khalid Arlan e il minorenne I. H. che – si legge nel decreto di fermo e nell’ordinanza del Gip – «gestivano i migranti secondo le direttive impartite loro direttamente dagli scafisti». «C’erano due soggetti pakistani che ci tenevano segregati nella stiva per impedirci di salire sul ponte dell’imbarcazione. Tali pakistani… ci facevano salire soltanto per esigenze fisiologiche o prendere pochi minuti di aria, prima di farci ritornare nella stiva». E tra il materiale probatorio a carico di Sami Fuat il Gip, con un linguaggio anche piuttosto colorito, ritiene importante l’esame del cellulare del minorenne, che – riporta l’ordinanza – «conteneva immagini celebranti un segmento del viaggio nel corso del quale l’indagato, allocato sulla parte superiore dell’imbarcazione (non già stipato come una bestia sotto coperta) e apparentemente libero di muoversi, sorrideva ignari del destino che attendeva la sua persona e le altre centinaia che la bagnarola accompagnava». (c. a.)
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