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‘ndrangheta

La strategia del clan Mancuso per annientare i rivali. «Mettevano una famiglia contro l’altra»

Il pentito Michele Iannello racconta i suoi rapporti con la cosca di Limbadi. «Ho ucciso per loro. Volevano eliminare Damiano Vallelunga»

Pubblicato il: 06/03/2023 – 7:00
La strategia del clan Mancuso per annientare i rivali. «Mettevano una famiglia contro l’altra»

VIBO VALENTIA È attorno al clan Mancuso che ruotano tutte le ‘ndrine del Vibonese. Dato consolidato da anni di indagini antimafia che riemerge dai brogliacci dell’inchiesta “Olimpo” assieme a un interrogatorio nel quale emergono elementi inediti sulla strategia della cosca di Limbadi. Sono le considerazioni di un pentito, Michele Iannello, le cui dichiarazioni erano già confluite nell’inchiesta “Imponimento”, a svelare il modus operandi. Iannello, condannato in via definitiva per il delitto di Nicholas Green (per il quale si è sempre protestato innocente) parla per conoscenza diretta.

Le strategie dei Mancuso secondo il pentito Iannello

Era un killer, Iannello. «Le notizie che ho riferito e vi sto riferendo – dice in un verbale del giugno 2016, anche sulla struttura della ‘ndrangheta, le ho apprese direttamente perché facevo parte dell’associazione; inoltre, io ero in diretto contatto, per questioni criminali, con i Mancuso». Il collaboratore di giustizia sarebbe stato «uomo di fiducia di Giuseppe e Luigi Mancuso, per i quali ho commesso numerosi reati (anche omicidi, tant’è che io sono stato condannato nel processo “Tirreno” per degli omicidi in cui il mandante era Peppe Mancuso)». L’avvicinamento alla famiglia egemone nel Vibonese avviene «nel periodo successivo alla faida intercorsa tra il mio gruppo e quello dei Galati di Comparni, e nello specifico a seguito dell’omicidio di mio fratello». È proprio Luigi Mancuso, secondo Iannello, a riferirgli che «l’omicidio era stato effettuato dai Galati e pertanto mi consigliava o di “guardarmi” oppure di procedere personalmente all’eliminazione di questi e in particolare di Carmine Galati». Un consiglio che, per Iannello, sarebbe stato non solo interessato ma anche parte di una “partita” giocata costantemente dai Mancuso: «Io poi ho capito che queste erano le tipiche strategie dei Mancuso, che quando volevano eliminare un personaggio scomodo preferivano non aggredire direttamente (cosa che se necessario comunque facevano), ma mettere una famiglia contro l’altra». In quel periodo, «i Mancuso mal tolleravano il rapporto tra Galati e gli Anello e i Vallelunga, con i quali erano in contrasto. In particolare so di contrasti di Peppe Mancuso e Saverio Razionale con Rocco Anello per questioni legate al traffico di droga».

La linea «bastarda» delle ‘ndrine Anello e Vallelunga

Iannello approfondisce le ragioni di questo contrasto: «Rocco Anello (il boss di Filadelfia, ndr) che io sappia era a capo, insieme al fratello di cui al momento non ricordo il nome, di una ‘ndrina operante nell’area dell’Angitola, ovvero nel comune di Filadelfia. Questa ‘ndrina era riconosciuta direttamente da Umberto Bellocco e non dai Mancuso. Nel periodo a cui io faccio riferimento, (anni dal 1986 al 1995), ero al corrente che sia Rocco Anello che Damiano Vallelunga erano molto in contrasto con i Mancuso di Limbadi tanto da rispondere a livello di ‘ndrangheta direttamente ad Umberto Bellocco di Rosarno, seguendo una linea alternativa (“bastarda”) rispetto al resto del Vibonese». Il pentito spiega, poi, che «fino agli anni Novanta Rocco Anello e Damiano Vallelunga erano in buoni rapporti con i Mancuso. Successivamente, e mi riferisco agli anni 1993-1994, ho saputo invece che tra i loro vi furono dei contrasti tanto che Peppe Mancuso voleva uccidere Damiano Vallelunga». Uno scarto notevole rispetto agli esordi della ‘ndrina dei Vallelunga, che «inizialmente facevano riferimento ai Mancuso, tant’è che uno dei fratelli di Damiano Vallelunga portava in copiata Luigi Mancuso».
Iannello parla dell’area di Serra San Bruno: «Ricordo che i Vallelunga in un periodo, a livello di ‘ndrangheta, erano collegati anche ai Ruga operanti nella zona jonica reggina, per come mi chiedete della zona di Monasterace». Vallelunga e Anello, per il collaboratore di giustizia «si erano distaccati dai Mancuso e facevano capo direttamente a Umberto Bellocco di Rosarno. Comunque Umberto Bellocco ed i Bellocco in generale – insieme ai Pesce – facevano parte della locale di Rosarno riconosciuta e quindi penso facessero sempre capo a Polsi alla fine». (ppp)

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