CROTONE «La certezza che questo paese abbia delle colpe imperdonabili ti toglie il fiato quando scopri, come è successo a noi oggi, entrando dentro il Cara di Crotone prima col Comune e poi con l’Onorevole Franco Mari, dove sono stati collocati i sopravvissuti. I superstiti delle famiglie spezzate di cui tutta Italia ha pianto la tragedia, sono reclusi in due capannoni antistanti al centro, due magazzini. Un hotspot improvvisato con la metà dei letti che servirebbero, gli altri dormono sulle panche. Donne e minori in mezzo agli uomini adulti. Il bagno in comune. Le pareti scrostate, nessun riscaldamento. Niente lenzuola. Niente scarpe chiuse. Nemmeno la possibilità, essendo confinati lì se non per poche uscite programmate e scortate, di restare accanto alle bare e ai parenti venuti qui a Crotone da lontano per identificare e piangere i morti». Alessia Sciurba è una docente di Deontologia, sociologia e critica del diritto all’Università di Palermo, dove coordina la Clinica legale Migrazioni e Diritti in collaborazione con l’Associazione Cledu. È a Crotone da venerdì e descrive con amarezza le condizioni in cui sono costretti a vivere i sopravvissuti della tragedia di Steccato di Cutro. «È difficile – affida le proprie riflessioni a Facebook – rispondere mentre chiedono come potere superare le rigidità insensate delle leggi europee che gli vietano di seguire le salme dei loro cari nei casi in cui queste verranno portate in altri paesi Ue dove si trovano familiari partiti prima di loro. Non dormite sogni tranquilli pensando che almeno ai sopravvissuti sia riservata una solidarietà vera, fatta di rispetto e diritti. Oltre alla verità e alla giustizia sulla morte delle loro famiglie, è loro negata adesso, in terra italiana, anche la dignità delle vittime».
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