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Gli Arena di Verona, la bella vita in smoking della ‘ndrangheta 2.0

La truffa alla Fondazione. I verbali di “Mimmo il calabrese”. I clan passati dai santini alle cartiere del riciclaggio. Le dimenticanze del Comune nella terra degli “sghei”. Dove i Giardino hanno a…

Pubblicato il: 09/03/2023 – 12:45
di Paride Leporace
Gli Arena di Verona, la bella vita in smoking della ‘ndrangheta 2.0

A Verona c’è la Fondazione Arena che si occupa degli spettacoli di un tempio della cultura italiana e ci sono gli uomini e le donne legati al celebre clan degli Arena di Isola Capo Rizzuto.
Domenico Mercurio detto “Mimmo”, imprenditore calabrese, era arrivato nella città scaligera un trentennio fa e ne aveva fatto di strada. Lui all’Arena ci andava vestito in smoking insieme alla buona società veronese che conta. Con altri abiti, invece, metteva in relazione veneti e calabresi per una ‘ndrangheta imprenditrice 2.0 che nel Nord Est ha messo da parte i riti di affiliazione trovando nuove camere di compensazione legate al profitto facile.

La truffa alla Fondazione Arena

Domenico Mercurio collabora con la giustizia da tempo. Ha anche svelato che all’Arena di Verona non ci andava a vedere solo l’opera lirica, ma si era adoperato con altri a permettere che una società costituita ad hoc come la Euro company group di Giorgio Chiavegato gestisse i servizi che un tempo erano forniti dal Comune. False fatturazioni per raccogliere con i clan i soldi eccedenti e dividerli con i colletti bianchi veneti su attività in parte inesistenti. La Fondazione Arena (che è parte lesa in questa vicenda) avrebbe pagato tra i 150mila e i 200mila euro in più al mese per servizi non ricevuti.
Michele Bertucco, assessore comunale al Bilancio nella giunta Tommasi che ha sconfitto la vecchia destra egemone scaligera, ha dichiarato sul punto al giornalista d’inchiesta Gianni Belloni: «Sulla condotta dell’Euro Company di Chievegato abbiamo sempre nutrito forti dubbi e richiesto più volte chiarimenti».

La scelta di Mimmo il calabrese

Chiarimenti chiesti soprattutto sul quindicennio che ha visto una città modello del Nord Est operoso essere guidata dalla destra e soprattutto da Flavio Tosi, uomo forte un tempo della Liga Veneta e passato in diversi partiti. Il Mercurio che ha chiarito molti rebus della vicenda è stato Mimmo il calabrese. Erano le 10 del 28 settembre del 2020, quando Mimmo Mercurio, in una stanza del carcere di Rebibbia davanti a due pm della Dda di Venezia e a un ufficiale dei Ros a domanda risponde: «Ammetto di partecipare al sodalizio mafioso facente capo alla cosca Arena Nicoscia attraverso i Giardino». A Sona, cittadina di 17mila abitanti, a metà strada tra Verona e il lago di Garda, sorge la palazzina di vetro e cemento dei Giardino in via Piemonte 13, sede di diverse società di questa famiglia numerosa arrivata in zona circa quattro lustri fa. Mercurio è collaboratore credibile, parla anche di suoi reati non contestati dalla Dda e mostra di sapere tanto. Anche la geografia ‘ndranghetista di zona: «Il gruppo Napoli, Versace, Albanese controlla Isola della Scala, Valeggio, Sommacampagna, Villafranca e in parte la città di Verona arrivando anche verso il lago di Garda. Intendo dire che in parte è controllata la città di Verona perché il centro in senso stretto è controllato da Michele Pugliese e Rosario Capicchiano, affiliati al clan Arena-Nicoscia», però retto in zona dai Giardino. Niente armi in giro e niente affiliazioni a Verona: «Ad oggi è sufficiente per favorire un’associazione mafiosa fare una fattura per legarsi ai nostri gruppi».

La ‘ndrangheta 2.0 dai santini alle cartiere

Insomma il santino di San Michele è stato sostituito dalle cartiere del riciclaggio, i clan operano spesso insieme, mescolano calabresi e veneti e il vecchio santista è stato sostituito dall’organizzatore di false fatturazioni qual era Mimmo Mercurio.
Lo scorso primo marzo si è tirata una bella linea sulla ‘ndrangheta a Verona. Il processo “Isola Scaligera” ha sentenziato 150 anni di carcere per la gran parte degli accusati. Trent’anni di galera ad Antonio Giardino detto “Totareddu” il capo, altre 30 anni al fratello Alfredo. Invece 15 anni sono andati a Francesco Vallone, titolare del Centro Studi “Fermi”, in cui gli operatori della municipalizzata Amia avrebbero dovuto seguire dei finti corsi di aggiornamento antincendio mai svolti. Nel rito abbreviato invece era stato condannato a 2 anni e 8 mesi per tangente, ma senza aggravante mafiosa, Andrea Miglioranzi, ex presidente dell’Amia, municipalizzata dei rifiuti veronesi. Nel suo curriculun vanta di essere stato un leader storico del Veneto Fronte Skinhead e del gruppo musicale “Gesta bellica”, è stato anche uno dei primi ad andare in carcere per la legge Mancino. Con molta provocazione il sindaco Tosi lo aveva mandato a presiedere l’Istituto storico della Resistenza ma sul montare delle polemiche fu costretto a dimettersi. Ai rifiuti le dimissioni non sono state ideologiche ma contaminate da malapianta calabrese per il politico che oggi è approdato alla dorotea Fratelli d’Italia.

Il Comune “dimenticò” di costituirsi parte civile

L’Amia si è costituita parte civile nel processo “Isola Scaligera”. In quella motivazione di sentenza sta scritto infatti che «il Miglioranzi, nella sua qualità di presidente Amia, svende il proprio ruolo ottenendo un anticipo di 3 mila euro per fornire al Vallone le indicazioni necessarie affinché egli possa formulare l’offerta con modalità tali da assicurarsi di vincere la gara». Non era una banale tangente con soffiata. Il sindaco di Verona, Damiano Tommasi, all’indomani dell’ultimo verdetto ha dichiarato: «La sentenza di ieri era attesa. Non ci coglie di sorpresa ma ha indubbiamente un valore eccezionale perché ufficializza quello che prima era solo un sospetto, una sensazione, ovverosia la presenza strutturata della ‘ndrangheta a Verona». E poi aggiunge: «Osservo che nella lista dei soggetti che, nell’ambito del procedimento giudiziario, si sono costituiti parte civile il Comune di Verona non figura: vorrei precisare che da parte nostra non trascureremo di valutare, in casi analoghi e al ricorrere dei presupposti, l’esercizio di tale facoltà».

La vecchia ala militare e la nuova cupola in cravatta

È cambiata la percezione del problema ‘ndrangheta a Verona. Damiano Tommasi, ex calciatore, cattolico, candidato civico, ha sconfitto il candidato della destra ma anche Tosi, che nelle inchieste sulla ‘ndrangheta è stato indagato e prosciolto, e forse proprio per questo non chiaro sulle infiltrazioni in città e dintorni. Nell’ultimo processo è stato invece condannato a 4 anni e 8 mesi Nicola Toffanin detto “l’avvocato”, veneto del Polesine, pianificatore delle estorsioni, delle attività di gioco d’azzardo, il cassiere della bacinella, anche se non si chiama così nella terra degli “sghei”, chiamato da Totarellu a investire il denaro illecito.

Una figura di cerniera tra la vecchia ala militare e la nuova cupola in cravatta che coopera con Francesco Vallone, affiliato alla massomafia dei Mancuso di Limbadi e titolare del diplomificio privato Centro studi Fermi. Nelle ricerche specialistiche trovate scritto che a Verona «ci sono stati imprenditori che hanno pagato i mafiosi per recuperare crediti, per picchiare sindacalisti o lavoratori che reclamavano il proprio Tfr dopo essere stati licenziati. Da vittime, i titolari di alcune aziende sono diventati complici dei boss». E ancora oggi a leggere un report della locale prefettura sono state «1.096 le operazioni finanziarie sospette nei primi mesi del 2022 a fronte delle 1.965 del 2021, secondo i numeri forniti dall’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia – attentamente monitorata dalla prefettura in particolare rispetto al rischio di esposizione del territorio provinciale alle mire della criminalità organizzata».

Le amicizie altolocate dei Giardino nel Nord Italia

Qui i grandi lavori sono sempre all’ordine del giorno nel Nord Est, e quindi la vigilanza è alta. Negli anni Ottanta quando da queste parti arriva Domenico Multari, organico alla cosca Dragone, si presenta e interloquisce come imprenditore edile. I Giardino non erano “famiglia” o clan acclarato calabrese. Grazie a questo mimetismo hanno potuto operare nel settore dell’armamento ferroviario, ottenendo subappalti anche in Danimarca. Si legge in un’informativa dei carabinieri di Crotone del 2014: «I Giardino hanno molti rapporti con persone altolocate del Nord Italia tra cui figurano anche esponenti politici del veronese, con i quali iniziano una trattativa che riguarda appalti pilotati e l’affidamento della gestione di un centro sportivo comunale che loro sperano di ottenere in cambio dei voti che hanno raccolto per sostenere il politico amico». A spulciare le ordinanze non mancano neanche le intercettazioni recenti, ma i mafiosi spesso millantano. Una certezza ora però l’abbiamo. A Verona, una delle città più belle e antiche del Nord Italia, c’è la ‘ndrangheta. E non è solo una questione di calabresi.

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