COSENZA «Ho paura che il mio rigagnolo possa finire nello stesso fiume se non troverà un nuovo corso da seguire». Quella ricerca costò la vita a Sergio Cosmai: il direttore del carcere venne trucidato a colpi di pistola e fucile da Stefano Bartolomeo e Dario Notargiacomo. Era il 12 marzo del 1985, mentre il funzionario dello Stato si stava recando a bordo della sua 500 a Commenda di Rende. Doveva prendere la figlia all’asilo. La bimba, Rossella, aveva due anni e mezzo e quel giorno attese invano il papà che non avrebbe mai più rivisto.
A distanza di 38 anni da quel delitto organizzato e deciso dalla mala cosentina, la città dei bruzi ha ricordato la figura di Cosmai al quale è intitolata una delle principali arterie che collegano Rende a Cosenza ma anche l’istituto penitenziario che ha ospitato la visita del sottosegretario alla giustizia Andrea Delmastro. Alla cerimonia presenti i figli di Cosmai, Rossella e Sergio (nato poco dopo la sua morte) e la moglie Tiziana Palazzo che non ha retto alla commozione ripercorrendo in una intervista – al Corriere della Calabria – i momenti successi all’assassinio del marito deciso dal boss Franco Perna, al quale Cosmai «non si inginocchiò». Una ferma opposizione che il direttore del carcere pagò con il sangue. Il procuratore di Cosenza, Mario Spagnuolo ha incontrato e stretto in un abbraccio la vedova Cosmai chiedendo «scusa» per il ritardo nell’ottenere giustizia e nella condanna dei responsabili del delitto. Palazzo ha ringraziato Spagnuolo sottolineando come il marito sia stato «tradito proprio nelle aule dei tribunali» e «non dimentichiamo l’assoluzione degli esecutori materiali rivelatisi poi tali». Tiziana Palazzo, nel suo intervento a Palazzo dei Bruzi nel corso della cerimonia di ricordo di Cosmai, ha rivelato il contenuto inedito di una lettera inviatale da un detenuto, dopo la morte del marito.
A prendere carta e penna è Salvatore Forciniti, detenuto nel carcere di Cosenza. Sergio Cosmai è stato assassinato qualche giorno prima della missiva che viene spedita dal penitenziario bruzio all’indirizzo dell’abitazione della famiglia del direttore ucciso. E’ il 1985. «Scrivo con le lacrime agli occhi, le scrivo il mio dolore per la perdita di suo marito, per la sua onestà, per i principi e l’umanità. E’ aberrante quanto gli hanno fatto, la notizia del suo attentato mi ha sconvolto ed ho pregato che si salvasse. Devo molto a suo marito – continua il detenuto – mi ha aiutato a scacciare l’angoscia che mi perseguitava. Spero con tutto il cuore che accetti questa mia poesia». Forciniti amava scrivere e il direttore Cosmai lo incitava a continuare. «Mi chiedeva di scrivere le cose che sentivo, avrei dovuto consegnare le poesie a lui prima che lo uccidessero, ne avrei dovuto consegnarne cinque». «Lo consideravo un caro amico – chiosa – ho pianto per lui ed è difficile dirle quello che provo. Mi auguro di portare dei fiori sulla tomba del dottor Cosmai. Sentite condoglianze da un detenuto molto legato a suo marito».
(f.benincasa@corrierecal.it)
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